venerdì 28 giugno 2019

La tecnologia e la pressione demografica

Wild Nahani





“La tecnologia ha illuso l’uomo che con essa egli possa migliorare la sua vita e le sue difficoltà. Ma in effetti l’uomo tecnologico è diventato ancor più schiavo e vincolato di reali catene che gli cingono i polsi e le caviglie: è diventato totalmente dipendente delle sue ‘creazioni’ tanto che la sua stessa esistenza viene meno senza quella campana di  vetro che si è costruita. O peggio: ha perduto per sempre la sua essenza e, paradossalmente, la sua libertà. E’ divenuto lui stesso, in altri termini, una macchina e una prigione di cui ne è stato il volontario creatore!”.  Lo sviluppo tecnologico è legato a volte alla ricerca pura, ma è più spesso sollecitato dall’esigenza di aumentare i mezzi di sostentamento della crescente popolazione del pianeta. Per ottenere tale scopo non si esita ad esercitare una distruttiva violenza sull’assetto naturale dell’ambiente, tagliando intere foreste, impiantando immensi complessi industriali, scaricando nei corsi d’acqua sostanze altamente inquinanti, cementificando ed asfaltando grandi superfici del territorio, prosciugando le paludi, sbarrando i fiumi e installando faraonici allevamenti di bestiame che producono enormi quantità di rifiuti organici. E' intuitivo, se non ovvio, che una così ampia manomissione del territorio e dei connessi ecosistemi si traduca nell’estinzione di molte specie di uccelli e di mammiferi, evento che si è purtroppo frequentemente verificato nell’arco di tempo che ci separa dall’inizio della rivoluzione industriale. E' necessario notare che l’aggressione esercitata ai danni della natura non sempre avviene in territorio contiguo a quello in cui si verifica l’accentuata pressione demografica, ma - grazie allo straordinario sviluppo dei mezzi di trasporto - le risorse ricavate dall’opera di manomissione vengono spesso convogliate anche a grande distanza, ove esse effettivamente occorrono, in prevalenza verso la fascia nord-atlantica che, a fronte di una popolazione che è pari a circa il 15% di quella mondiale, consuma quasi il 75% delle risorse planetarie. Uno squilibrio tanto accentuato non è dovuto soltanto ad uno “ standard” di vita adeguato alla domanda di una società “civile”, ma è causato anche da sprechi sconsiderati, come avviene ad esempio nel riscaldamento domestico, nell’illuminazione, nell’alimentazione, nell’uso di motori elettrici, nella produzione di beni inutili, nell’abuso degli antiparassitari chimici, ecc. ecc.

A questo punto domandiamoci se vi è la possibilità di comporre pragmaticamente il dissidio che oppone l'uomo alla natura; si, forse ciò è possibile se si riconsidera il problema nella sua globalità, che significa individuare un nuovo modello di sviluppo, e applicarlo nella sua interezza. Nuovo modello di sviluppo significa valutare le riserve di energia disponibili a livello planetario, programmarle e ripartirle in proporzione alla pressione demografica di ogni singola zona. Ma significa anche influire drasticamente sul comportamento del singolo uomo nei confronti della natura; quest’ultimo è un punto essenziale del problema.

Scrive saggiamente Dalla Casa (1996): “....Alla luce di tale andamento esponenziale del fenomeno ‘civiltà industriale’, appare perfettamente logico che per un paio di secoli non si sia notata la vera natura distruttrice di tale civiltà. Infatti i suoi effetti reali sulla Vita non possono evidenziarsi se non pochissimo tempo prima della sua fine.....

Quindi la persistenza del modello attuale per due secoli, fatto su cui poggia l’idea di continuazione della civiltà industriale sempre-crescente, costituisce invece un’ulteriore prova della sua fine imminente: come si è visto, il modello può esistere senza manifestare la sua vera natura per un tempo quasi uguale a quello della sua esistenza complessiva......

..continuiamo con la più grande incoscienza ad eliminare una specie dopo l’altra, ed apparentemente non succede nulla nell’ecosistema globale. Ma ad un certo punto salterà tutto “.