Wild Nahani
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L’Aquila reale
Biologia, etologia e conservazione
Foto: Jari Peltomäki (Finlandia)
© Copyright
Tutti i diritti riservati
" Oh tu, aquila macchiata che vivi nel cielo vicino
a Ukan-Tanka, quanto sono possenti le tue ali!
Tu sei l'Uno che si prende cura del sacro divenire
della nostra tribù e di tutto ciò che la fa vivere.
Possano tutti i popoli essere felici e illuminati!"
Canto Sioux
To the free continuity of the wild world and in loving memory
of my wife Elzbieta Mielczarek
Alla libera continuità del mondo selvaggio
Elzbieta Mielczarek (1963 - 2014)
This book of mine is dedicated to you, dear Elzbieta, for all the hours / days / years we spent together in the mountains to observe the Golden eagles.
Thank you,
I will always remember you and I will always love you!
Forever Young!
Nota dell’Autore
Questo libro vuole essere un compendio delle osservazioni e delle ricerche che ho effettuato direttamente sul campo durante il volgere di oltre un ventennio. Il lettore vi troverà la descrizione della storia naturale dell’Aquila reale, presentando gli aspetti biologici ed etologici del rapace nonché le tematiche protezionistiche sulla specie. Per motivi strettamente protezionistici tutto il testo non fa mai riferimento alle collocazioni specifiche delle aquile se non, occasionalmente, in forma del tutto generale.
Ulteriore intento dell’opera è quello di indirizzare l’attenzione del lettore alle problematiche ambientali, giacché non ci si potrebbe occupare della biologia di specie faunistiche, com’è appunto l’Aquila reale, senza tener conto dell’intimo rapporto che intercorre tra alterazione e/o distruzione di uno specifico ambiente ed estinzione della fauna che in quell’ambiente vive. Infatti la minaccia che pesa attualmente sulla vita di molte specie animali, tra cui le aquile con gli altri rapaci, il lupo, l’orso bruno, la lince, la lontra, ecc. non deriva soltanto dalle uccisioni dirette, già di per sé cariche di gravi conseguenze, ma discende anche dal progressivo degrado del territorio in cui quelle specie vivono.
Con il presente scritto ci si augura di riuscire a dare un contributo alla conoscenza della storia naturale dell’Aquila reale e alla sua salvaguardia oltre a quella dell'ambiente nel suo insieme. Certo, questo modesto lavoro non può adempiere che marginalmente un siffatto impegno, ma si potrebbe essere tuttavia orgogliosi se solo si fosse contribuito alla definizione della vera identità di un rapace che, nel mutuare nel suo nobile aspetto la solennità stessa dei monti, appare come l'emblema del mirabile e delicato casuale equilibrio che regge l'ecosistema. In verità, in queste pagine, l’Aquila reale non viene osservata alla stregua di un oggetto passivo, ma diviene essa stessa un soggetto, ed assume anzi il ruolo di protagonista di una storia affascinante.
I luoghi dello studio sono stati molteplici, soprattutto per un utile riscontro comparativo delle varie coppie insediate in territori completamente diversi l’uno dall’altro, ed hanno avuto il loro fulcro nel contesto europeo (Scandinavia, Scozia, Alpi francesi, svizzere, Pirenei spagnoli, Carpazi polacchi) anche se è netta la prevalenza di quello italiano (Appennino centrale e qualche distretto delle Alpi) dove, tra l’altro, ho svolto il mio lavoro di naturalista con il Corpo Forestale dello Stato. E' doveroso infine ricordare che il presente lavoro non ha la pretesa di rappresentare uno studio completo sulla vita dell'Aquila reale, ma semplicemente una tappa nel difficile cammino verso la conoscenza dei fenomeni naturali.
Introduzione
Al di là del suo grande rilievo naturalistico l'Aquila reale è universalmente considerata un simbolo di forza e di dominio, tanto che molti Paesi si sono appropriati della sua immagine per rappresentarla sulle bandiere o sugli stemmi. Onorata dai poeti, sovrana incontrastata delle più alte vette, così da meritare l’appellativo di “regina delle montagne”, l’Aquila è nella mitologia messaggera di Zeus, e per di più custode dei suoi fulmini (gli indiani nordamericani la chiamavano "l'uccello del tuono"). Gli Jowa ponevano fine alle loro danze di guerra con il "ballo dell'Aquila", simboleggiando movimenti e versi ad imitazione del divino uccello (Baumgartner, 1988) mentre i Pueblo degli Stati Uniti sud-occidentali mantenevano l'Aquila reale, l'aquila della guerra, per raccogliere le sue penne durante la muta (Burnham, 1991). Gli stessi amuleti indiani presentavano simboli aquilini e le penne d'Aquila ornavano copricapi e diademi. Quando venne presentata l'alleanza a Mosè, l'Aquila rappresentava la protezione e la forza del Dio. Lo stesso Shakespeare nei suoi scritti ricorre molto spesso alla citazione dei rapaci in generale e dell'Aquila in particolare. Anche le immagini pubblicitarie si sono largamente appropriate della figura dell'Aquila. Gli esempi potrebbero continuare a lungo. Scrive W. Fischer riferendosi alle Aquile detenute dai falconieri (in Baumgartner, 1988) "L'Aquila è un animale dalla forte personalità che si situa su di un piano relazionale molto stretto, quasi di uguaglianza con il proprietario. Grazie ad una memoria notevole, è in grado di registrare esperienze negative trasformandole in impressioni durevoli." Riconosce il suo padrone anche dopo anni di separazione ne dimentica sgarbatezze e buoni gesti (Baumgartner, 1988). Il fascino esercitato dall’Aquila con il suo volo planato, che sembra sfuggire alle leggi della gravitazione universale, con la rapidità del suo attacco che coglie la preda con la velocità del fulmine, ha da sempre stimolato la fantasia popolare con le credenze più strane, tra cui quella che concerne il suo nido inaccessibile e misterioso (Pedrini, 1987) o quella che, in tempi non troppo lontani, narrava di un’Aquila dai poderosi artigli che rapiva i neonati dalle culle. Ma, né la connaturata fierezza del rapace, né l’alone di leggenda che lo circonda, hanno potuto preservarlo da una secolare, sistematica persecuzione che è stata sul punto di minacciarne l’esistenza stessa. Se si pensa che l’Aquila (come molti altri predatori) era in tempi non troppo lontani ancora iscritta tra le specie “nocive” da distruggere con ogni mezzo (trappole, fucilate, bocconi avvelenati, distruzione dei nidi, prelievo delle uova, ecc.), ci si rende conto del grande rischio di estinzione che la specie ha corso. Fortunatamente negli ultimi decenni, grazie alle pressioni esercitate dal mondo scientifico e dalle associazioni protezionistiche, molti Paesi hanno adottato provvedimenti per la sua salvaguardia, che è stata ovviamente estesa anche agli altri rapaci. Permangono tuttavia gravi pericoli per la sopravvivenza dell’Aquila reale, derivanti non solo dalle uccisioni di frodo, ma anche dalla manomissione del territorio montano reso sempre più accessibile (leggasi turismo); in tal modo larghe parti del territorio hanno definitivamente perso la tranquillità e la pace, requisiti essenziali per la nidificazione e per la caccia esercitata dal rapace oltre che per il resto della fauna selvatica; una realtà del genere non farà altro che insidiare gravemente la libera esistenza dell’Aquila reale e porrà a repentaglio le ultime vestigia del suo habitat. Scrive a tal proposito Paolo Pedrini (1987): “...E’ una circostanza che va considerata nella politica di gestione e fruizione degli ambienti montani, se non si vuole vanificare nel futuro quanto l’Aquila reale è riuscita a ricostruire, da sola, riparando i danni provocati da secolari persecuzioni”.
E' dunque essenziale per la tutela di specie animali o vegetali, e nel nostro caso dell'Aquila reale, proteggere attivamente gli ambienti nel loro insieme. Ma il mondo naturale potrà avere un avvenire? La risposta parrebbe essere negativa, perché l’uomo è ormai prigioniero di un modello di sviluppo che comporta irreparabili squilibri ambientali ed è, per di più, protagonista di una paurosa esplosione demografica che gli ha fatto superare ormai da tempo il limite massimo del rapporto numero individui-carico ambientale. A ciò si aggiunge che una gran parte della popolazione del pianeta conduce un tenore di vita che comporta l’uso di una quantità enorme di energia nonché il consumo di preziosi metalli che si avviano ad un progressivo impoverimento.
Il degrado ambientale è arrivato a sì alto livello ed i problemi sono a tal punto complessi che, ipotizzare una loro soluzione all’interno di un solo Paese significa consumarsi in uno sforzo velleitario, giacché il degrado è, per così dire, ecumenico e non s’arresta davvero innanzi alle barriere doganali. Infatti è necessario osservare che il degrado non è uniformemente distribuito sul pianeta, in quanto esso presenta una distribuzione che potremmo definire a “macchia di leopardo”; sarebbe comunque una fallace speranza quella che intendesse ricostituire l’equilibrio ecologico generale mediante provvedimenti che curino le “macchie” caso per caso, poiché occorre al contrario che l’influenza negativa esercitata dalle attività umane sull’equilibrio ambientale venga drasticamente ridotta dappertutto.
Occorre poi sgombrare il campo degli studi naturalistici da una pregiudiziale che è di un tale rilievo da assumere il valore di una contraddizione in termini, poiché tale è appunto la pretesa di chi si ostina a considerare il problema ambientale esclusivamente in funzione dell’uomo. L’uomo è una parte, un tassello dell’ecosistema, non è l’ombelico della natura, perciò cade in un grave errore chi subordina la salvaguardia dell’ambiente al primato dell’uomo. Cade in grave errore chi dice, ad esempio, “ se continua la distruzione delle foreste il danno si ripercuoterà sull’uomo”...” se si continua ad avvelenare i campi anche l’uomo ne resterà avvelenato”. C’è insomma il rischio che nei nostri discorsi si ripresenti ognora il nostro inveterato antropocentrismo, tutto e sempre per l’uomo. Occorre ribaltare una siffatta concezione per porre al centro di tutto gli interessi globali della vita sulla Terra (visione olistica). La regola deve tendere a salvare un bosco secolare non per l’uomo, ma per il bosco stesso; alla fine anche l’uomo se ne avvantaggerà, ma sarà un riflesso, non lo scopo di quel salvataggio. La wilderness deve essere preservata per il suo valore in sé! Scrive a tal proposito Franco Zunino: ".....L'uomo deve rispettare la natura per il suo valore in sè, e deve sapersi tirare indietro non appena la sua presenza vi incide negativamente, non trovare cavilli e rimedi provvisori per giustificare la necessità o, peggio, il 'diritto' della sua presenza".
Le nostre azioni distruttive sono molteplici e quasi mai si comprendono appieno le implicazioni connesse agli interventi che turbano l’equilibrio naturale: se ad esempio l’uccisione di un’Aquila reale da parte di un bracconiere costituisce una drammatica ferita all’ambiente, una turbativa ancora maggiore è insita in quegli atti che, nel modificare l’ambiente in sé stesso, determina, col tempo, la scomparsa di tutte le Aquile nel territorio esaminato. Queste considerazioni sull’Aquila reale ci portano a riflettere ancora sull’interconnessione dei problemi ambientali. In natura non esistono fenomeni vitali che esauriscono in sé stessi la ragione di essere; tutti i fenomeni sono concatenati tra loro, un po’ come accade per le singole scansioni musicali di una sinfonia. Tenuto fermo tale principio, è del tutto intuitivo che in un siffatto concerto naturale l’assetto territoriale eserciti un’incidenza che sovrasta gli altri fattori, a simiglianza di quanto accade col “leit-motiv” di un testo musicale.
In natura ogni specie svolge la propria parte all’interno di un processo dialettico che tende al conseguimento di uno stato di equilibrio; questo non è ovviamente perenne, ed ha in sé stesso la capacità di assestarsi sui parametri che via via si andranno definendo. E' da notare che ogni singola specificità biologica, allorché entra nel processo evolutivo che determinerà il punto di equilibrio dell’ecosistema, assume un suo ruolo ben definito. In teoria anche l’uomo dovrebbe partecipare al processo evolutivo a parità di diritto con le altre specie, sia animali che vegetali, ma ciò in realtà non accade perché l’uomo, a causa del suo sviluppo intellettivo è, tra l’altro, in grado di modificare e stravolgere l’assetto del territorio mediante opere gigantesche, come - ad esempio - le dighe che sbarrano i fiumi, le autostrade lunghe migliaia di chilometri, il prosciugamento dei laghi, la costruzione di città; a ciò si aggiunga che, forte della sua sofisticata tecnologia, l’uomo ha la possibilità di sterminare, nel volgere di un breve arco di tempo, qualsiasi altra forma vivente. L'uomo è dunque uscito dall'armonico rapporto con le risorse naturali e, autonomamente, ha accresciuto la propria popolazione e le proprie necessià a totale scapito della natura.
Da queste considerazioni appare chiaro che, attesa la estrema gravità del degrado ambientale, occorre intervenire radicalmente, senza compromessi, ponendo la salvaguardia dell’ambiente in posizione preminente rispetto a qualsiasi altro interesse; ciò può essere conseguito solo attivando una diversa corrente di pensiero che ha alla base una volontà opposta a quella attuale: quella di conservare. Ma solo se si acquisisce nella coscienza questa nuova forma mentis, si potrà veramente proteggere la natura e quindi in fondo anche noi stessi, altrimenti nessuna legge o coercizione impositiva potrà garantire una vera e reale salvaguardia dell'ambiente. Fin quando non considereremo per esempio un bosco o qualsiasi altra risorsa naturale come qualcosa di "unito" a noi e al tutto, nessun risultato o protezione di un territorio avrà valore e sopratutto concretezza.
E' triste doverlo ammettere, ma l'impatto che l'uomo esercita sul territorio è in drammatica contrapposizione con le esigenze dell'economia naturale (che domina è sempre l’economia umana). Sarebbe auspicabile pervenire ad una sostanziale riduzione della pressione demografica, ma un tale auspicio si colora purtroppo di folle utopia. Ridurre drasticamente la pressione demografica: un grande atto di altruismo verso la natura (ma anche verso noi stessi), è questo il precetto che ognuno di noi dovrebbe imparare a memoria, ma sappiamo bene che l'invocazione ha poche possibilità di essere ascoltata. E' inutile discutere sulla riduzione dei consumi, sull'inversione delle tendenze o sul controllo dell'inquinamento: sono solo parole che vanno via con il vento. La realtà è un crudo “aut-aut”, o si ridimensiona l'uomo o la natura. E' l'uomo che deve addattarsi alle esigenze della natura e non viceversa. La natura deve essere salvata e rispettata per il suo valore in sé, non per un nostro interesse, materiale, spirituale o etico che sia.
Fin quando l'umanità persevererà nell'attuale modello di sviluppo, gli animali selvatici vedranno ridurre il proprio spazio vitale giorno dopo giorno per fare posto al "signore uomo" re del creato. “Come i venti e i tramonti, la vita selvaggia era considerata sicura finché il cosiddetto progresso non ha cominciato a portarla via. Ora ci troviamo di fronte al problema se un ancora più alto livello di vita valga il suo spaventoso costo in tutto ciò che è naturale, libero e selvaggio” (A. Leopold).
Solo la totale scomparsa dell'antropocentrismo salverà la vita sul pianeta terra! Ogni altro compromesso sarà destinato a fallire. E ancora “C’è solo una speranza di respingere la tirannica ambizione della civiltà di conquistare ogni luogo della terra. Questa speranza è l’organizzazione delle genti più sensibili ai valori dello spirito, affinché combattano per la libera continuità della natura selvaggia” (Robert Marshall).
All’uomo risale dunque la responsabilità di provvedere alla protezione della natura (perché è l'uomo che la distrugge e quindi è lui che deve conservarla), a meno che non si voglia considerare l'uomo alla stregua di una semplice componente del materialismo dialettico, a cui sarebbe stato affidato il compito di sovvertire l'ambiente naturale tramandatoci dalla biblica "creazione": solo questo potrebbe essere in chiave ironica l'essenza della filosofia antropocentrica. John Muir giustamente asseriva che la “civiltà” non può prescindere dalla wilderness, la natura selvaggia ed incorrotta.
A commento di queste osservazioni vorremmo porre in rilievo, concludendo con l’Aquila reale, che dietro la superba fierezza e l’ammirata energia del rapace si cela in realtà una natura di insospettata fragilità, fragilità che d’altronde si ritrova nell’intero ecosistema, tutto incentrato su un equilibrio casuale estremamente sensibile a tutto ciò che turba “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
Prima di iniziare
Per realizzare la stesura completa del libro, ho dovuto affrontare il compito più arduo: raccogliere i voluminosi appunti di campo inerenti alla vita dell’Aquila reale annotati nel corso di molti anni. Non è stato un compito facile perché, oltre a dover assemblare in forma armonica ed ottimizzata l’ampio spaziare della ricerca (un vero e proprio puzzle), ho dovuto anche sviluppare in forma cronologica e conseguenziale tutti gli eventi annotati che, negli appunti, erano presenti in forma disgiunta ed estemporanea ed in più ho dovuto consultare moltissima bibliografia esistente sull’argomento per le necessarie integrazioni e per delle importanti conferme. Ma, pur dovendo impiegare per questo lavoro oltre due anni di “tavolino”, non ho provato mai un senso di disagio o di fastidio perché, mentre scorrevano le pagine o rileggevo gli appunti, la mia mente correva nel contempo a tutti quei bellissimi momenti che ho vissuto, nei vari luoghi, ad osservare le aquile. Mi sovveniva inoltre la bellissima sensazione di star continuamente a contatto con il mondo selvaggio, non solo riferito alle aquile, ma anche, più in generale, con i luoghi bellissimi e spesso solitari in cui mi sono mosso per ottenere i dati di questo studio. Ho pensato inoltre che in fondo non si sia trattato di uno studio vero e proprio, perché tale definizione è appropriata quando ci si dedica esclusivamente a ricerche inerenti alla vita dell’uomo (storia, filosofia, ecc.), ma con più precisione ad una scoperta o meglio riscoperta del mondo naturale che non è affatto disgiunto da noi, come millenni di cultura umana lo hanno fatto intendere, ma è un unicum esistenziale, inscindibile dal vivere. Ho compreso come il dualismo antropocentrico, ovvero la natura da una parte e l’uomo con le sue opere e la sua vita da un’altra, sia profondamente erroneo, non solo dal punto di vista concettuale, ma soprattutto dal punto di vista reale, perché la scissione dei due mondi è stata la causa del declino del genere umano e con esso quello del mondo selvaggio, perché trascinato dall’insensato operato dell’uomo verso il degrado ed il ridimensionamento. Gli insanabili contrasti nel pensiero occidentale tra economia e natura o tra cultura e natura, sono vere e proprie basi minate poiché, accesa la miccia, ogni cosa viene via.
Questo mio modesto lavoro, visto dunque in una ottica unificatrice, ha dunque contribuito, sin da quando iniziai le osservazioni, a farmi maturare e soprattutto a farmi riconnettermi con l’unicum dell’esistenza. In altri termini la wilderness dei luoghi e dello spirito.
E, con queste riflessioni che man mano mi tornavano alla mente mentre lavoravo alla stesura del testo, il mio essere è riuscito a travalicare quei fenomeni di chiusura e di visione unilaterale della natura per approdare invece in un olismo, che dal particolare osserva sempre il generale.
Infatti, in un’altra mia opera ho affermato: ...... - Una nuova etica ambientale non si riconosce con i dogmi e con le rigidità scientifiche specialistiche, ma soprattutto con una maturazione dello spirito, delle sensazioni e quindi del pensiero. Hargrove (1990) risponde all’interrogativo di Darwin sulla perdita, da parte dell’evoluzionista, dei gusti estetici verso la natura, affermando che tale perdita “è una conseguenza naturale dei suoi tentativi d’essere scientifico, di trattare coi soli fatti”. Lo sviluppo della specializzazione scientifica ha portato ad una sorta di “sordità specialistica” (Boulding in Pignatti 1994), cioè l’incapacità di percepire i caratteri generali di un sistema a causa della concentrazione ossessiva dell’attenzione sui particolari (Pignatti, 1994). La nozione olistica di paesaggio (natura) tende invece a superare questa particolare “sordità” ricercando una rappresentazione globale del sistema (Pignatti, 1994). Infatti Kuhn (1978) ci ricorda che “la scienza normale è un tentativo strenuo e determinato di costringere la natura nelle caselle concettuali fornite dall’istruzione professionale”...... -
Ovviamente, come accennato, il presente lavoro non può prescindere da particolarismi tecnici inerenti alla vita delle aquile, ma sono particolarismi che io li ho sempre visti in un contesto generale.
Prima di sviluppare analiticamente le varie fasi della biologia ed etologia dell’Aquila reale, ho inserito un primo capitolo in cui brevemente riassumo la “trama” del documentario della vita del rapace, così, successivamente, pur conoscendo i tratti salienti della storia, la “proiezione” intera del “filmato” farà scoprire e approfondire tutti gli eventi di questa vicenda naturale.
Il testo, redatto in forma diretta, non è accademicamente interrotto da tabbelle o diagrammi, così che la storia può seguire un filo conduttore continuo e sostanzialmente lineare.
Buona visione.
I. La trama del “documentario”
L’Aquila reale colonizza per lo più gli ambienti montani recanti pareti rocciose poco accessibili per nidificare ed ambienti aperti dove poter esercitare la caccia. Nelle località pianeggianti (Nordeuropa, Asia, ecc.), o in ogni caso prive di pareti rocciose, l’Aquila costruisce il proprio nido su grossi alberi e caccia nelle radure circostanti. Tuttavia nidi su alberi si rinvengono anche in zone dove sono presenti pareti rocciose; quest’ultimo caso però rappresenta quasi una rarità.
E’ di estrema importanza garantire la tranquillità dei territori occupati da una coppia di Aquila reale, poiché se il disturbo antropico diretto ed indiretto supera una soglia critica, l’Aquila si vede costretta ad abbandonare la zona. In aggiunta, se l’impoverimento della fauna predabile si acuisce particolarmente, la nidificazione può essere sospesa o messa in serio pericolo.
Negli anni passati, un gran numero di territori ha visto ridurre il numero delle coppie stabilmente insediate, sia per un forte impoverimento delle prede e sia per le persecuzioni dirette di cui è stata oggetto la specie al pari degli altri rapaci. Ora, grazie ad una tutela pressoché generale accordata dalla maggior parte degli Stati, le Aquile stanno recuperando il terreno perduto anche se certe località, per una serie di motivi (scarsità delle prede, disturbo, manomissione permanente del territorio, ecc.), non registrano ancora un recupero completo degli effettivi.
Occorre evidenziare che l’Aquila reale, al pari degli altri grandi rapaci, è molto sensibile al disturbo diretto soprattutto durante la nidificazione; la lentezza dell’accrescimento della popolazione è controbilanciata in natura dalla longevità degli individui adulti, non considerando ovviamente gli interventi distruttivi dell’uomo.
Le mie osservazioni sul campo si sono svolte in numerosi territori europei, ma prevalentemente in quelli italiani (soprattutto nella zona Appenninica e in forma minore in quella alpina).
Ogni coppia possiede un proprio territorio la cui estensione può variare da poche decine di km2 a diverse centinaia. Ciò in stretta relazione con le caratteristiche dei luoghi, della disponibilità delle prede, dell’orografia, del disturbo antropico, ecc.
Le fasce altitudinali di presenza variano a secondo del periodo stagionale. Infatti, durante la stagione invernale, soprattutto se c’è carico di neve in quota, le altitudini si abbassano anche sostanzialmente. Al di fuori del periodo riproduttivo le Aquila pur mantenendo la loro presenza base nel cuore del loro areale, la zona dei nidi, hanno più libertà di movimento e non è raro osservarle anche a notevole distanza da dove abitualmente si fanno vedere. Il possesso dei nidi viene ribadito sin dall’autunno-inverno, tanto che con regolarità si riesce ad osservarle mentre praticano accurate opere di riordino dei nidi mediante l’apporto di rami secchi o verdeggianti. Vi è una netta preferenza verso i nidi protetti dalle intemperie, anche se ho registrato diversi casi dove i nidi erano tutt’altro che protetti. Il sito di caccia principale è preferibilmente posto al di sopra dei nidi, questo per ovvi motivi di facilitare il riporto delle prede al nido. Nelle highlands scozzesi in alcune circostanze non ho rilevato questa caratteristica, caratteristica praticamente assente nei territori pianeggianti della taiga scandinava, siberiana o canadese (solo per fare alcuni esempi geografici).
Nelle località rocciose la morfologia del territorio di nidificazione è spesso articolata e spettacolare, pur non mancando nidi localizzati in ambienti meno appariscenti su pareti rocciose di minime dimensioni. In genere è il terzo superiore della parete la parte interessata alla collocazione del nido e questo per assicurare la massima inacessibilità al sito. In merito all’orientamento è difficile dare una rilevanza particolare. Normalmente le coppie possiedono mediamente 2-4 nidi, utilizzati a rotazione con spesso la preferenza per uno o due di essi. Una coppia in particolare, pur avendo 4 nidi a disposizione, tutti in ottimo stato, ne sceglieva quasi sempre uno. Una delle coppie da me spesso seguita ha a disposizione ben 10 nidi anche se solo 3-4 sono quelli che predilige nel corso degli anni tanto che alcuni risultano praticamente abbandonati. In una occasione ho riscontrato un nido solo accennato nella costruzione e non più ultimato né tanto meno utilizzato. All’interno del suo territorio vitale le Aquile non hanno solo i territori di caccia ed i siti di nidificazione, ma anche numerosi posatoi preferenziali per il riposo, per l’alimentazione o per esercitare la caccia da appostamento. Ovviamente oltre a questi posatoi abituali vi sono in abbondanza anche quelli occasionali ed estemporanei.
Gli accoppiamenti tra le Aquile avvengono quasi sempre nei pressi del sito riproduttivo e non presentano caratteristiche particolari. Grande spettacolarità assicurano invece le parate nuziali visibili durante quasi l’intero arco dell’anno ma più frequenti nel periodo compreso tra la fine dell’autunno e l’inizio della primavera. Esse si articolano in volteggi, acrobazie aeree, planate in coppia, picchiate del maschio sulla femmina e congiunzione in volo con gli artigli; poi d’improvviso uno dei due si lascia cadere, subito seguito dal partner; sono frequenti i voli ondulati e i classici “voli a festoni” che consistono in fulminee salite a candela, seguite da picchiate ad ali chiuse o semichiuse. Il volo a festoni è effettuato dalle Aquile anche per riaffermare il possesso territoriale nei confronti di intrusi. A volte ho notato la partecipazione del giovane dell’anno precedente, senza che gli adulti abbiano mai mostrato fastidio per tale partecipazione.
Nel periodo antecedente alla deposizione l’Aquila, soprattutto la femmina, apporta di continuo materiale nuovo al nido (sterpi, rami secchi, fronde verdeggianti) senza preoccuparsi di mimetizzarsi. Quando invece incomincia la cova, si può notare come spesso l’Aquila nell’uscire, ma soprattutto nell’entrare, compie particolari evoluzioni al fine di rendere meno visibile il suo rapporto col nido (sovente rasenta le rocce per mimetizzare la propria figura). Si è osservato che più va avanti la nidificazione più la fase d’ingresso al nido si arricchisce di cautele, cautele che raggiungono il massimo quando il pullo è già nel nido. In ogni caso l'ingresso finale al nido è quasi sempre dal basso, in risalita.
L’apporto di materiale verde al nido, effettuato anche nella fase dell’allevamento, ha certamente lo scopo di rinfrescare il nido, di ammorbidire la lettiera, e difendere dal sole gli eventuali resti alimentari, ma ha altresì lo scopo di riaffermare il dominio territoriale sia nei confronti dei conspecifici, che nei confronti dei potenziali predatori. Per lo stesso motivo può accadere che l’apporto di materiale verde venga effettuato anche a favore di altri nidi a disposizione, nonostante che per quell’anno essi non siano stati prescelti per l’allevamento. Ciò lo ho notato in tutte le coppie tenute sotto la mia continua osservazione. Anche se le Aquile un anno decidono di non riprodursi apportano ugualmente materiale legnoso ai nidi sia prima che durante la stagione riproduttiva (di solito però in misura ridotta).
L’Aquila reale veleggia spesso a grandi altezze sfruttando le correnti termiche ascensionali o planando in linea retta da una versante all’altro di una valle. Estremamente raro e del tutto occasionale è invece il volo stazionario.
I membri della coppia si distinguono dalla taglia; la femmina infatti arriva a pesare anche un paio di chili più del maschio ed ha una apertura alare maggiore di almeno 20-30 cm. Tale differenza è poco evidente all’osservatore, a meno che le Aquile non volteggino in coppia e sullo stesso piano. Differenze di colorazione e di taglia si evidenziano anche tra le varie sottospecie.
La colorazione degli individui varia con l’età. Infatti nelle Aquile giovani e subadulte il piumaggio è di un bruno scuro, quasi nero, con ampie macchie bianche sopra e sotto le ali (remiganti) e su gran parte della coda (timoniere), alla cui estremità è però ben visibile una banda scura. Questa colorazione varia gradualmente nel tempo finché, verso il quarto-quinto anno, l’Aquila presenta una colorazione marrone nel complesso più chiara con riflessi dorati in più punti del corpo, con particolare evidenza nel capo. Le colorazioni bianche della coda e delle ali scompaiono del tutto nell’età adulta; occorre tuttavia osservare che alcuni adulti possono conservare tracce del piumaggio bianco delle timoniere e delle primarie tanto da indurre ad errate valutazioni gli osservatori (sfasatura tra colorazione del piumaggio ed età effettiva). A volte inoltre si registrano anomalie del piumaggio sin dall’età giovanile (mancanza parziale o totale delle chiazze bianche, ridottissima estensione delle stesse, ecc.). L’età adulta di 4-5 anni, cui ci siamo poc’anzi riferiti, rappresenta anche l’epoca della maturità sessuale; nell’età giovanile o in quella di immaturo-subadulto l’Aquila non può riprodursi e se lo fa la nidificazione non andrà in porto. La muta del piumaggio si protrae in genere da aprile a settembre. In una occasione osservai un giovane dell’anno senza la parte chiara delle timoniere, mentre in un’altra circostanza un giovane di un’altra coppia era privo delle macchie alari.
Le fasi di caccia sono spettacolari ed articolate anche se assistere alla “presa” finale della preda è tutt’altro che un evento comune. Più agevole invece osservarne le fasi generali della caccia: le Aquile sorvolano il territorio a bassa quota quasi radente il suolo, costeggiando i fianchi vallivi, le creste, le praterie di altitudine lasciandosi guidare dalle ondulazioni del terreno; così facendo il rapace riesce a sorprendere la preda che è quasi sempre catturata a terra, anche se non è raro osservare l’Aquila mentre cattura in volo qualche uccello. In quest’ultimo caso essa può compiere virate e improvvisi cambiamenti di direzione che lasciano sbalorditi per l’agilità mostrata dal rapace nonostante la sua mole. Oltre a questo tipo di caccia l’Aquila reale usa catturare le proprie prede anche con la tecnica dell’appostamento. In quest’ultimo caso il rapace, posato su una roccia, cerca di individuare gli eventuali movimenti di qualche animale a terra o in aria. Quando ciò si verifica l’Aquila parte d’improvviso aiutandosi con poderosi battiti alari se necessario.
Dopo lunghe osservazioni esperite sul campo ho avuto modo di registrare in alcune coppie un leggero divario tra la percentuale di successo conseguita dalla caccia di appostamento e quella conseguita dalla caccia di rastrellamento, ma i dati raccolti sono tuttavia insufficienti per una qualsiasi valutazione "venatoria" dell'argomento. Ma ora vediamo di sviluppare alcune considerazioni sulle due tecniche di caccia.
Come abbiamo appena visto, il rapace nella caccia da appostamento resta immobile su un posatoio dominante, scrutando attentamente le zone circostanti. Se individua una probabile preda si lancia con decisione in picchiata ad ali chiuse o semichiuse a seconda della velocità che vuole raggiungere (la sua poderosa vista gli permette di scorgere una lepre anche ad un chilometro e mezzo di distanza!). Quando sta per ghermire la preda protende in avanti le zampe munite dei poderosi artigli ed allarga le ali per frenare la corsa. E' questo il momento decisivo: se riesce a catturare la preda questa non ha possibilità di scampo; se invece la preda, accortasi dell'arrivo dell'Aquila, riesce con un balzo ad eludere l'insidia, inutilmente il rapace potrà sperare in un secondo tentativo. Infatti quando è a terra l'Aquila reale è estremamente goffa ed impacciata, ed impiega un tempo notevole per riprendere il volo nel tentativo di catturare la preda ormai in fuga. Alcune volte però, soprattutto se la vittima è una lepre, il secondo tentativo riesce ad andare in porto. Quando si tratta di una volpe, ho potuto osservare che se il primo tentativo va a vuoto è estremamente difficile che l'Aquila riesca a catturare lo scaltro mammifero in seconda battuta. Infatti il comportamento della lepre e quello della volpe, divergono in modo rilevante (ciò solo in riferimento ad osservazioni particolari non generalizzabili): quando la lepre subisce l'attacco dell'Aquila fugge immediatamente a grande velocità, consentendo a volte al rapace di riprendere il volo per ghermirla poco oltre. La volpe, al contrario - specie se si trova in territorio aperto che non offre nelle vicinanze un riparo sicuro - una volta che ha subìto il tentativo di caccia da parte dell'Aquila, non fugge quasi mai al primo tentativo di predazione ma controlla la situazione a distanza ravvicinata (1-2 metri), attendendo le ulteriori mosse dell'Aquila; alcune volte la volpe, di sovente con la coda alzata, si limita a compiere qualche giro intorno al rapace per disorientarlo. Una volta che l'Aquila ormai rassegnata riprende un po' a fatica il volo, la volpe trotterellando e sempre tenendo sotto controllo la situazione, si allontana con relativa tranquillità per guadagnare il primo rifugio sicuro. In una occasione mi è invece capitato di vedere una volpe fuggire immediatamente al tentativo di caccia dell'Aquila per portarsi all'interno di un boschetto distante solo una decina di metri. Ciò è avvenuto poiché il riparo naturale era a brevissima distanza.
Con la caccia a rastrello la tecnica cambia radicalmente in quanto, come abbiamo prima visto, il rapace deve compiere una ricerca attiva sorvolando un territorio notevolmente esteso, mantenendosi a bassa quota per scrutare tutte le pieghe del terreno. Con questa tecnica l'Aquila cerca di cogliere di sorpresa la preda che, vistasi scoperta, fugge per non essere ghermita (a volte la cattura avviene senza che la preda riesca a fuggire). Spesso questo tipo di caccia è esercitata contemporaneamente da entrambi gli individui della coppia (caccia in tandem): uno dei rapaci fa bella mostra di sé per distrarre la preda e spingerla allo scoperto; l'altro rapace raccoglie i frutti dell'inganno piombando all'improvviso con volo radente sulla sciagurata vittima. La caccia in tandem affascina per la perspicacia che la distingue, significando un’importante traguardo evolutivo raggiunto dalla specie.
Le osservazioni dirette delle coppie seguite hanno confermato i dati statistici in merito al successo della predazione da parte delle Aquile, nel senso che esso come negli altri predatori è alquanto basso, poiché non va oltre il 25-40% del totale dei tentativi di predazione (sembra che il successo venatorio sia comunque maggiore dove le prede sono molto abbondanti). Infatti su numerosi tentativi di predazioni (o presunti tali) alle quali ho assistito (36) solo 8 hanno avuto buon esito e di queste 5 erano il frutto della caccia a rastrello, contro 3 da appostamento. Le osservazioni sulle attività venatorie delle Aquile seguite hanno evidenziato come la caccia da appostamento sembra venga privilegiata durante il periodo invernale periodo in cui è molto importante per l'Aquila, come d'altronde per la maggior parte degli altri animali selvatici, ridurre al minimo il dispendio di calorie. In questo periodo infatti non è raro che il rapace rimanga a digiuno anche per più di una decina di giorni, mentre per compensare le basse temperature sarebbe necessario un maggiore apporto calorico. Quanto affermato ovviamente è solo una considerazione indicativa tutt'altro che generalizzabile. Alcuni ricercatori affermano che le Aquile preferiscono esercitare la caccia all’agguato.
Occorre altresì ricordare la grande importanza che assume l'esperienza venatoria per l'Aquila reale spinta in tal modo a conseguire un approfondita conoscenza del proprio territorio, il che è essenziale anche nei confronti dell'allevamento dei piccoli.
In una occasione durante l'allevamento del pullo, osservai un'Aquila maschio transitare in volteggio con una lepre tra le zampe appena predata dinanzi al nido nel quale la femmina era posizionata sul bordo a protezione parziale del piccolo che aveva 20 giorni di vita. Dopo una lunga esibizione, durata circa 4 minuti, il rapace si allontanò scomparendo alla vista dietro un profilo roccioso. Trascorsi una ventina di minuti l'Aquila riapparve alla vista sempre con la lepre tra le zampe; dopo un ulteriore ampio volteggio, di circa 3 minuti, in scivolata e senza esitazione si diresse verso il nido lasciando la preda sul bordo. Andato via il maschio, la femmina, sempre posizionata sul bordo, rimase inattiva per oltre 2 ore prima di lacerare le carni della preda per alimentare il pullo.
Il regime alimentare è in stretto rapporto con le prede disponibili che sono a loro volta in correlazione con la latitudine della zona e con il variare delle stagioni. Nella coppie seguite ho riscontrato che i mammiferi rappresentano l’alimento base; seguono poi gli uccelli, i rettili e le carogne che costituiscono una buona fonte alimentare, specie se c’è scarsità di prede vive (importante incidenza invernale). Durante la stagione estiva, soprattutto nelle località meridionali (Appennino italiano, Spagna, ecc.), vengono predati un grosso numero di rettili. Occorre comunque osservare che le carogne non vengono mai date come alimento ai pulli nel nido e solo poco prima dell'involo si registrano rari casi di alimentazione con carne proveniente da carogne fresche. Sui Tatra polacchi, per esempio, raramente le Aquile riportano al nido qualche tipo di rettile, mentre, nelle località nordiche (p.e. Scandinavia), gli uccelli sono quasi sempre le prede dominanti.
Nelle zone dove non vi è una eccessiva presenza di prede, probabilmente perché in passato sterminate da una irrazionale attività venatoria e da una notevole alterazione del territorio, condiziona non poco le fasi riproduttive delle coppie di Aquila reale, riproduzione spesso disturbata dalle presenze umane favorite dall’accessibilità dei luoghi frequentati dalle Aquile. Non è un caso, che solo raramente vengono allevati due aquilotti (probabile sinergia di condizioni: scarsezza alimentare-disturbo). Vigono tuttavia le dovute eccezioni. Infatti, potetti verificare che una coppia insediata in un territorio apparentemente “insignificante”, coronava abbastanza spesso il proprio allevamento annuale con l’involo di due esemplari. Un’altra coppia invece, pur vivendo in un’area protetta e apparentemente ricca di prede, non riusciva sovente nemmeno a completare la cova!
Negli ultimi anni molti territori risultano sempre più protetti (parchi nazionali, regionali, riserve, ecc.), la pratica venatoria vietata o fortemente regolamentata e le altre attività umane tenute sotto controllo (almeno sulla carta). Si spera in tal modo che i territori possano nel volgere di qualche anno riequilibrarsi almeno in parte. Tuttavia, le attività “ecocompatibili” sempre più diffuse all’interno delle aree protette e spesso promosse dalle stesse amministrazioni che gestiscono dette aree, nella realtà non sono compatibili affatto (leggasi turismo) determinando un gravissimo disturbo alla fauna e un addomesticamento dei territori più tranquilli e selvaggi. E’ bene riflettere attentamente prima di “favorire” in qualsiasi modo la presenza umana nel territorio montano o in quelli ugualmente delicati.
Durante l'allevamento del pullo la femmina provvede a pulire il nido dai resti delle prede. In molte occasioni ho visto la femmina portare via gli intestini avanzati dall'alimentazione del pullo; in una occasione però un'Aquila portò nel nido, dove erano presenti due pulli di 40 giorni, gli intestini freschi di una lepre. E' questo uno dei rari casi, almeno da quanto personalmente osservato, in cui le parti interne vengono utilizzate per l'alimentazione dei nidiacei. E' pur vero che non tutto viene sempre rimosso, tanto che quando si visitò l'interno di un nido di Aquila reale tre mesi dopo la nidificazione, si rinvennero ossa, penne e pelame di mammifero. In linea generale però il nido si mantiene accettabilmente pulito tenendo conto che anche il pullo stesso si impegna, per quanto possibile, ad indirizzare le proprie deiezioni al di fuori del nido.
Come accennato in precedenza, sin dai mesi invernali le Aquile danno luogo alle consuete parate nuziali fatte di voli a festoni, agganci degli artigli, rotazioni, nonché numerosi accoppiamenti. A partire dal mese di febbraio le parate si accentuano notevolmente ed anche l’apporto di materiale ai nidi si infittisce. Il giovane di solito in alcune coppie seguite viene tollerato sino a pochi giorni prima della deposizione delle uova.
In genere tra la fine di marzo ed i primi di aprile la femmina inizia a covare il primo uovo. Come norma la cova è assicurata principalmente dalla femmina, mentre il maschio si limita a sostituirla 1-3 volte al giorno (nelle ore notturne è sempre la femmina che si occupa della cova, almeno in base alle mie esperienze dirette). Durante l'intero periodo dell'incubazione il maschio provvede quasi sempre da solo al sostentamento alimentare della femmina. Quando ha catturato una preda la porta su un posatoio dove la femmina vi si reca successivamente per alimentarsi (questa divisione del lavoro rimane anche durante la prima fase della schiusa dei piccoli, dovendo la femmina provvedere a proteggerli dalle intemperie, dal sole eccessivo o da altri fattori). In una occasione ho avuto modo di assistere ad un evento raro (almeno considerato tale in base alle mie esperienze dirette): il maschio ha portato una piccola preda (forse un mustelide) sul bordo del nido e subito si è allontanato. Dopo qualche minuto la femmina si è alzata dalla posizione di cova ed ha cominciato a mangiare energicamente la preda. L'operazione è durata 19 minuti dopo di che la femmina, ormai sazia, si è rimessa regolarmente in cova. In precedenza non avevo mai osservato la femmina mangiare sul nido durante la cova delle uova.
In genere entro la metà di maggio si schiudono le uova; a volte vengono alla luce due pulli. Nei primi giorni la femmina rimane costantemente nel nido per proteggere i nidiacei. Trascorsi alcuni giorni (a volte anche fino a 20-30), si constata la morte del secondogenito, quando è presente (in genere sopravvive solo nel 20-30% dei casi), ucciso dal 1° pullo (fenomeno denominato "cainismo") o morto per cause naturali. L'abbondanza del cibo sembra svolgere un ruolo fondamentale nella sopravvivenza del secondogenito. In una occasione verificai la morte del secondo pullo all'età di 52 giorni quando ormai sembrava che entrambi avrebbero raggiunto l’involo.
In genere alla scomparsa del secondo pullo si contrappone l’aspetto florido e pieno di vitalità del primo nato. Occorre aggiungere che a volte un uovo o entrambe le uova possono non schiudersi affatto (non fecondate, danneggiate, raffreddate, ecc.).
Lo sviluppo del pullo è abbastanza regolare in quanto l’apporto di prede al nido viene normalmente espletato con sufficiente regolarità. In 5 settimane il pullo ha un aumento ponderale di ben 32 volte.
Il pullo, dopo aver cambiato il piumino (il primo piumino viene sostituito da un secondo piumino più consistente, lanoso e voluminoso) e incominciato a mettere le penne, acquista poco alla volta la livrea consueta. A 40 giorni di età si può già osservare in posizione elevata, mentre dopo i primi 40 giorni comincia a mangiare anche da solo. In diverse occasioni è capitato di vedere la femmina imboccare il giovane, malgrado questi aveva oltre 60 giorni e riuscisse a mangiare da solo abbastanza agevolmente (constatazione del tutto atipica).
A 70-75 giorni l’aquilotto ha già messo il piumaggio di giovane ed esegue esercizi battendo le ali. Di solito per invogliare l'aquilotto ad abbandonare il nido, i genitori negli ultimi giorni diminuiscono drasticamente l'apporto di prede al nido.
Abitualmente l'involo dei giovani avviene tra la terza decade di luglio e i primi di agosto (75-80 giorni). Il primo volo è sempre molto breve coronato da un atterraggio goffo e scomposto. In questo periodo è facile localizzare il giovane in quanto emette continuamente il richiamo, specie quando vede i genitori o quando li segue in volo.
Occorreranno alcune settimane per l’apprendimento da parte dei genitori della difficile arte venatoria. Entro la stagione riproduttiva successiva (febbraio-marzo) l’aquilotto verrà allontanato dai genitori dal territorio di origine. Vagherà per nuove mete alla ricerca di un territorio libero e stabile: è questa la fase più pericolosa e difficile della sua vita. In talune circostanze ho osservato il giovane stazionare per un periodo più o meno lungo nelle zone marginali dell’home range dei genitori, ma successivamente si allontanò definitivamente.
Nei territori abitualmente seguiti ho spesso verificato la rapida ricostituzione delle coppie smembrate per varie cause. Ciò dimostrerebbe che il contingente degli esemplari erratici è tutt’altro che inconsistente.
Malgrado il grosso rapace sia formalmente protetto, le insidie umane dirette ed indirette sono tutt’altro che estinte e non è raro rinvenire esemplari di Aquila reale morti per mano dell’uomo. Non è un caso che sette/otto giovani su dieci muoiono per cause non naturali prima che abbiano raggiunto la maturità sessuale (4-5 anni).
II. Classificazione, distribuzione, status
2.1. Classificazione
L’Aquila reale, Aquila chrysaetos (Linneo 1758), viene così classificata:
Classe = Uccelli
Ordine = Falconiformi
Famiglia = Accipitridi
Genere = Aquila (Brisson 1760)
Specie = chrysaetos
In tutto il mondo si contano sei sottospecie:
chrysaetos (Linneo 1758)
homeyeri (Severtzov 1888)
daphanea (Severtzov 1888)
kamtschatica (Severtzov 1888)
japonica (Severtzov 1888)
canadensis (Linneo 1758)
Le varie sottospecie si differenziano leggermente fra loro per la taglia e per la tonalità del piumaggio.
L’origine etimologica del termine chrysaetos è dal greco chrusos = dorato e aetos = Aquila ovvero “Aquila dorata”
Altri nomi europei:
Francese: Aigle royal, Aigle fauve, Aigle doré - Spagnolo: Aguila real - Inglese: Golden eagle - Tedesco: Steinadler - Olandese: Steenarend - Svedese: Kungsörn – Finlandese: Maakotka - Polacco: Orzel przedni - Cecoslovacco: Orol skalny.
Il genere Aquila è presente in tutto il mondo con la sola eccezione del Sudamerica. Globalmente si contano 9 specie di cui 5 presenti come nidificanti in Europa e una sola in Italia (Aquila reale). Le nove specie sono (con l’asterisco quelle presenti anche in Europa):
Aquila reale (Aquila chrysaetos) *
Aquila imperiale (Aquila heliaca) *
Aquila anatraia maggiore (Aquila clanga) *
Aquila anatraia minore (Aquila pomarina) *
Aquila rapace (Aquila rapax) *
Aquila di Verreaux (Aquila verreauxi)
Aquila dalla coda lunga (Aquila audax)
Aquila di Gurney (Aquila gurneyi)
Aquila di Wahlberg (Aquila wahlbergi)
N.B. L’Aquila delle steppe (Aquila rapax nipalensis) è una sottospecie dell’Aquila rapace, ma alcuni Autori la considerano come specie a se stante (Aquila nipalensis).
2.2. Distribuzione
L’Aquila reale ha una distribuzione cosmopolita riferita però solo all’emisfero settentrionale (corologia oloartica). Attraverso il suo vastissimo areale di presenza è rappresentata, come abbiamo visto, da 6 sottospecie (politipica) che variano leggermente tra loro per la taglia e la colorazione. La specie giapponese (japonica) e nordafricana/spagnola (homeyeri) tende ad essere più piccola, mentre quella siberiana (kamtschatica) più grande (Love & Watson, 1990). La sottospecie americana (canadensis) risulta essere la più scura, mentre quella russa-scandinava (chrysaetos) è la più chiara.
A causa di vecchie ed accanite persecuzioni è scomparsa in molte zone o ha notevolmente ridotto le proprie popolazioni dove è ancora presente. In questi ultimi anni però, grazie ad una protezione pressoché totale praticata nella maggior parte degli Stati in cui essa vive, è in ripresa e sta ricolonizzando i territori che una volta le erano propri. In ogni caso le popolazioni attuali sono certamente più ridotte rispetto a quelle dei secoli passati (soprattutto in certi areali come per esempio negli Appennini). Oltre ai rischi connessi ad atti di bracconaggio nonché all’inquinamento, il principale pericolo che incombe sul rapace è la distruzione, l’alterazione o il disturbo apportato all’ambiente dove essa vive (attività turistiche, impianti di risalita, apertura di strade, ecc.).
Le sei sottospecie sono così distribuite (da Fasce & Fasce, 1984 ;1992):
chrysaetos, Eurasia, con esclusione della Spagna, Siberia ed Altai.
homeyeri, Spagna, Nord Africa, fino all’Egitto, Creta e in Asia Minore fino al Caucaso e all’Iran.
daphanea, Turkestan sino alla Manciuria e alla Cina sud-occidentale, India settentrionale e Pakistan.
kamtschatica, Asia, dalla Siberia occidentale e gli Altai, dove verso Est si sostituisce gradualmente a chrysaetos.
japonica, Corea e Giappone.
canadensis, Nord America dall’Alaska al Messico, Siberia orientale.
Gli adulti dell'Aquila reale sono stanziali, a differenza dei giovani che si spostano frequentemente, con erratismo o vera e propria migrazione tendente alla ricerca di nuovi territori da occupare anche se posti a distanze notevoli. Nelle latitudini più settentrionali durante il periodo invernale anche gli adulti migrano per dirigersi verso sud onde sottrarsi ai rigori del clima ed alla scarsità di luce (Canada settentrionale, Scandinavia settentrionale, ecc.). Per fare un esempio, in Finlandia sono presenti 250/300 coppie. Poiché il 90% di dette coppie ha il proprio areale riproduttivo nelle regioni settentrionali (Lapponia), in inverno ho verificato direttamente che moltissimi esemplari si spostano verso sud. Interessante notare anche che agli esemplari “finlandesi” si aggiungono anche altri provenienti dal nord della Russia e da altre contrade, tanto che la stima invernale dei soggetti presenti sul territorio arriva a 600/900 (Koskimies & Lokki, 2002). Il flusso migratorio si registra in marzo-aprile e settembre-ottobre (Chiavetta, 1981). Occorre dire che l'Aquila reale nelle zone di svernamento o in migrazione può presentare parziali tendenze gregarie.
In Europa l’Aquila reale è praticamente presente quasi ovunque con popolazioni di varia consistenza: Spagna, Portogallo, Francia, Belgio, Liechtenstein, Italia, Gran Bretagna, Svizzera, Austria, Germania, ex Cecoslovacchia, ex Jugoslavia, Polonia, Norvegia, Svezia, Finlandia, Grecia, Bulgaria, Ungheria, Romania, Turchia, parte europea dell'ex URSS.
In Italia l’Aquila reale colonizza l’intero arco alpino, buona parte dell’Appennino, nonché la Sardegna e la Sicilia.
Nel resto del mondo vive in gran parte dell'Asia, dell'Africa nordoccidentale e del Nordamerica.
L’Aquila reale si riproduce principalmente nelle zone montuose (nei Paesi antropizzati è stata praticamente "scacciata" dalle pianure), ed i nidi, nella Regione olartica, si possono rinvenire dal livello del mare sino ad oltre 2000 metri. Nei luoghi dove vive, la fascia altitudinale in cui è possibile osservarla, spazia dal livello del mare ad oltre 4800 metri (osservata personalmente dallo scrivente oltre la cima del Monte Bianco).
2.3. Status della specie nel mondo
Il presente paragrafo elenca con una certa approssimazione lo status e il trend delle popolazioni di Aquila reale distribuite nel pianeta. I dati hanno solo valore indicativo in quanto le variazioni della loro consistenza sono quanto mai frequenti. Mentre in alcune zone geografiche le popolazioni sono oggetto di approfonditi studi (per esempio Alpi, Gran Bretagna), di molte altre zone rimangono ignoti molti aspetti, tra cui, come accade per esempio per la Mongolia, perfino la consistenza stimata delle popolazioni.
Status indicativo della specie/Trend della popolazione
Numero di coppie nidificanti
(dati desunti da Watson, 1997 pag.340, salvo diversa indicazione)
Italia Numero di coppie: 353-408 (censimento Lipu, 1992) - Trend: incremento, anche se l'eccessiva antropizzazione del territorio non consente la libera espansione del rapace
Mongolia Numero di coppie: ? (forse qualche migliaio) - Trend: ? (fonte ?)
Finlandia Numero di coppie: 250/300 (Koskimie & Lokki, 2002) - Trend: stabile, in leggero recupero.
Svezia Numero di coppie: 600-750 - Trend: stabile.
Norvegia Numero di coppie: 700-1000 - Trend: stabile.
Belgio Numero di coppie: 30-40 - Trend: decremento.
Liechtenstein Numero di coppie: 1-2 - Trend: stabile.
Germania Numero di coppie: 48-50 - Trend: incremento.
Austria Numero di coppie: 200-250 - Trend: incremento.
Svizzera Numero di coppie: 200-250 - Trend: stabile
Francia Numero di coppie: 279-285 - Trend: stabile.
Spagna Numero di coppie: 1192-1265 - Trend: stabile.
Andorra Numero di coppie: 3 - Trend: stabile.
Portogallo Numero di coppie: 15-20 - Trend: minacciata/decremento.
Croazia Numero di coppie: 100-150 - Trend: stabile.
Slovenia Numero di coppie: 10-25 - Trend: stabile.
Albania Numero di coppie: 40-50 - Trend: minacciata ?
Macedonia Numero di coppie: 100 - Trend: decremento.
Grecia Numero di coppie: 155-205 - Trend: decremento.
Turchia Numero di coppie: 100-1000 ? (Watson, 1994) - Trend: stabile?
Ungheria Numero di coppie: 2 - Trend: incremento.
Romania Numero di coppie: 28-30 - Trend: decremento.
Bulgaria Numero di coppie: 130-140 – Trend: ?
Repubblica Ceka Numero di coppie: 50 (Hammond & Person, 1993) - Trend: stabile
Repubblica Slovacca Numero di coppie: 50 - Trend: stabile.
Polonia Numero di coppie: 15 - Trend: leggero decremento
Russia Numero di coppie: 200-400 - Trend: stabile.
Estonia Numero di coppie: 25-30 - Trend: stabile.
Lituania Numero di coppie: 10 - Trend: ?
Ucraina Numero di coppie: 5-6 - Trend: ?
Gran Bretagna Numero di coppie: 424 + 87 isolati, concentrate in Scozia (solamente 1-2 coppie in Inghilterra) (Dennis et al., 1984) - Trend: stabile.
Israele Numero di coppie: 10 (Gensbol, 1992) - Trend: stabile/ incremento.
Egitto Numero di coppie: 1-2 (Gensbol, 1992) - Trend: ?
Tunisia Numero di coppie: 16 (Gensbol, 1992) - Trend: ?
Algeria Numero di coppie: numero limitato (Gensbol, 1992) - Trend: ?
Marocco Numero di coppie: 100-500 (Gensbol, 1992) - Trend: stabile ?
Canada Numero di coppie: complessivamente forse non stimato (diverse migliaia?), ma certamente inferiore alle potenzialità del territorio - Trend: ? (fonte ?)
Stati Uniti Numero di coppie: 50.000-70.000, stima (compreso il 20/30% dei soggetti non nidificanti) Trend: decremento (a seconda degli stati) (Watson, 1997, modificato)
Giappone Numero di coppie: 120-140 - Trend: stabile (fonte ?)
Totale popolazione mondiale stimata: 125.00 – 250.000 esemplari (Watson, 1997)
III. Descrizione, identificazione e
caratteristiche generali
3.1. Descrizione ed identificazione in natura
Gli adulti di Aquila reale non si differenziano nel piumaggio; variano invece nelle dimensioni, in quanto la femmina è sempre più grande del maschio (dimorfismo sessuale inverso, DSI). La specie è monogama; solo la morte di uno dei due partner interrompe il legame della coppia. Tuttavia alcuni Autori (p.e. Martin, 1993) affermano che non è certo che le coppie di Aquila reale siano legate per tutta la vita. Love e Watson (1990) citano rari casi in cui una femmina viene scacciata e sostituita da un’altra. In ogni caso comunque può affermarsi che generalmente le coppie sono stabili e durature. Evidente è il dimorfismo cromatico tra giovane ed adulto.
In relazione all’età l’Aquila reale viene così classificata:
Pulcino o pullus = sino a 70-80 gg. (fino all'involo)
Giovane o juveniles = 1° anno di vita
Immaturo e subadulto = 2° - 4° anno di vita
Adulto = dal 5° anno di vita in poi
Pulcino
Indole: inetto.
Primo piumino: poco folto, bianco o tendente al grigio.
Secondo piumino: più folto, lanoso, morbido di colorazione biancastra o tendente al rosa.
Iride: scura.
Cera: giallastra.
Becco: scuro.
Zampe: giallastre.
Sviluppo delle prime penne: a partire dalle remiganti e dalle timoniere.
Impiumatura completa: 8-9 settimane.
Incremento ponderale sino all'involo: 32 volte il peso iniziale.
Giovane (1° anno)
Colorazione generale: uniforme, marrone scuro quasi nero.
Evidenze cromatiche: vistose macchie bianche grosso modo nella parte centrale delle ali (remiganti) e sulla coda quest'ultima con evidente banda scura terminale. Forte contrasto tra le parti bianche e quelle scure (si registrano rari casi di piumaggio giovanile con parti bianchi delle ali poco estese o addirittura assenti o quasi).
Cera: color carne.
Becco: scuro.
Zampe: gialle.
Tarsi: calzati.
Gambe: rivestite di penne (formano i cosiddetti "calzoni").
N.B. A volte il capo può presentare già dei deboli riflessi dorati.
Immaturo e subadulto (2° - 4° anno)
Colorazione generale: graduale impallidimento con tendenza verso il marrone; perdita progressiva di uniformità.
Evidenze cromatiche: riduzione dell'estensione e del contrasto cromatico delle vistose macchie bianche delle ali e della coda.
Cera: color carne.
Becco: scuro.
Zampe: gialle.
Tarsi: calzati.
Gambe: rivestite di penne.
Capo: si accentuano i riflessi dorati.
Adulto (oltre il 5° anno)
Colorazione generale: definitiva acquisizione della colorazione marrone. Infatti le penne di color castano chiaro e scuro è la caratteristica più evidente del piumaggio dell'adulto. Le remiganti secondarie appaiono più chiare rispetto al marrone scuro delle primarie e delle timoniere. In lontananza il piumaggio dell'adulto può apparire quasi uniformemente scuro. A volte si osservano individui anziani con macchie scapolari bianche (Fasce & Fasce, 1992).
Numero penne principali: remiganti primarie, 10 - remiganti secondarie, 12-16 - timoniere, 12-14.
Colorazione definitiva: 5°-7° anno di vita.
Piumino: bianco.
Evidenze cromatiche: eliminazione delle macchie bianche delle ali e della coda.
Iride: marrone.
Cera: gialla.
Becco: grigiastro tendente al nero verso la punta.
Zampe: gialle con unghie scure.
Tarsi: calzati.
Gambe: rivestite di penne.
Capo: si intensificano ulteriormente i riflessi dorati. Quando la testa è ben illuminata appare evidente la colorazione dorata; da qui la denominazione inglese Golden aegle (Aquila dorata).
N.B. 1 - Non sono rari i casi di variazioni del piumaggio negli adulti. Alcuni mantengono piccole chiazze bianche al centro delle ali (osservazione personale). Ciò a volte determina confusione per l’individuazione approssimata dell’età (sfasatura tra colorazione del piumaggio ed età effettiva).
N.B. 2 - Variazioni delle tonalità del piumaggio e delle dimensioni degli adulti in relazione alla località geografica. Aquile leggermente più piccole nell'areale meridionale occidentale.
3.2. Le penne e la muta
3.2.1. Penne
Le remiganti primarie negli adulti hanno una colorazione tendenzialmente scura (bruno-nerastra) con una tonalità più chiara nella parte interna della penna; in alcune si evidenziano anche delle maculature irregolari nel tratto medio-basso. Il vessillo per la maggior parte di queste penne si presenta smarginato.
Le secondarie hanno la parte apicale scura, screziature chiare nel tratto medio e, alla base, nel vessillo interno, colorazione chiara.
Le timoniere presentano un’ampia fascia apicale scura (bruno-nerastra), una colorazione più pallida e screziata nella parte mediana, mentre la base si caratterizza per una tonalità cromatica da bruno pallido a grigio cenere.
Le copritrici primarie si presentano marrone all’apice, maculata irregolarmente nella parte mediana e chiare alla base.
Le remiganti primarie ammontano a 11 con una lunghezza indicativa compresa tra i 6,5 cm e i 60 cm circa. Le remiganti secondarie sono 17 ed hanno una lunghezza indicativa compresa tra i 37 ed i 38 cm ca. Le timoniere sono invece 12 con una lunghezza indicativa compresa tra i 33 cm e i 37 cm ca.
Dalle osservazioni sul contrasto della colorazione del piumaggio e della estensione delle macchie bianche poste sulle ali di giovani involati da 6 coppie di Aquila reale nel giro di 7 anni, ho ricavato che quasi il 50% presentava macchie poco estese, soprattutto sulle ali, mentre solo il 35/40% aveva una colorazione classica e un 10/15% media.
In una occasione sono stato testimone dell’involo di un giovane con le sole timoniere bianche mentre le remiganti si presentavano quasi completamente scure. Il resto del piumaggio era invece regolarmente scuro tanto che la colorazione chiara delle penne della coda spiccava in modo particolare. I genitori avevano una colorazione complessiva più scura rispetta alle altre coppie delle Aquile adulte stanziate nei territori limitrofi. Ho verificato un caso su un soggetto giovanile imbalsamato di assenza totale delle chiazze giovanili chiare. In un altra circostanza un giovane dell’anno era privo della colorazione chiara delle timoniere.
Sembra che i maschi assumono il piumaggio adulto un anno prima della femmine (Nelson, in Teresa, 1980 da Fasce & Fasce, 1984).
3.2.2. Muta
Differenze tra esemplari adulti, immaturi e subadulti. Possibili variazioni individuali.
Adulti: da marzo-aprile a settembre.
Consistenza: non tutte le penne sono sostituite ogni anno.
Immaturi e subadulti: muta progressiva pluriennale a partire dal capo e dal collo; per ultimo mutano le timoniere e le ultime primarie rimaste.
N.B. 1 - In genere gli esemplari che nidificano mutano più tardi rispetto ai non nidificanti (Glutz et al., 1971).
N.B. 2 - Alcuni Autori asseriscono che spesso alcune primarie si mantengono giovanili sino al quarto anno di vita (Jollie, 1947; Cramp & Simmons, 1980 in Fasce & Fasce, 1992).
3.4. Caratteristiche varie
3.4.1 Organi di senso
Le Aquile, come d’altronde la maggior parte degli uccelli da preda, hanno una vista acutissima, di una capacità di azione che è 8-10 volte quella umana (tre volte secondo certi Autori - Bergmann, 1994). Le Aquila hanno gli occhi collocati frontalmente con una campo visivo totale di 250° contro i 340° degli uccelli che hanno gli occhi posizionati lateralmente. Il campo visivo binoculare è di 50°. Gli occhi, oltre ad essere dotati di comuni palpebre protettive inferiori e superiori, possiedono, come negli altri rapaci, una terza membrana chiamata “membrana nittitante”. Essa contribuisce a tenere umida e pulita la cornea.
L'udito dell’Aquila, abbastanza sensibile, si appalesa utile nelle attività di coppia e diviene ancor più importante durante l’allevamento della prole, dato che questa chiama sovente i genitori anche dopo l’involo. La voce è ben sviluppata tanto da permettere all’Aquila di farsi sentire anche a notevole distanza. Tuttavia l’emissione di versi e suoni non è frequente negli adulti. I richiami delle Aquile sono accentuati durante il periodo riproduttivo. I pulcini emettono deboli suoni già da quando sono ancora nell'uovo. Per la richiesta del cibo il giovane dell'Aquila è molto vocifero, mentre i genitori spesso emettono richiami al nido con la preda. Durante la cova invece la femmina spesso chiama il maschio, soprattutto quando è nei paraggi del nido (in queste circostanze anche il maschio è più vocifero). Parimenti le vocalizzazioni degli adulti si ascoltano a volte durante le parate nuziali o nella difesa attiva dei siti di nidificazione da intrusi conspecifici.
Il richiamo in play-back, se ben eseguito, spesso può infastidire le Aquile creando un certo scompiglio e agitazione (è una pratica da evitare assolutamente). Anche il verso del gufo reale, durante le ore diurne nei pressi del nido, provoca attenzione e allerta da parte dell'Aquila intenta nella cova (osservazione personale).
L’olfatto, anche se certamente sviluppato, sembra essere del tutto insignificante, come d’altronde nella maggior parte delle specie di uccelli, rapaci inclusi (Chiavetta, 1981; Bergmann, 1994). Unica eccezione certa tra i rapaci spetta all’avvoltoio dal collo rosso (Cathartes aura), diffuso nelle Americhe ed in grado di localizzare le carcasse anche con l’olfatto. Tra gli altri gruppi di uccelli si trovano invece numerose specie che utilizzano l’olfatto per molte attività quotidiane (kiwi, oche, procellaria codaforcuta, ecc. - Bergmann, 1994).
Il senso della posizione, della rotazione e dell’accelerazione sono elementi indispensabili per il dominio dello spazio aereo da parte degli uccelli (Bergmann, 1994). La somma e l’unione di questi elementi determina il cosiddetto “senso dell’equilibrio” collocato nell’orecchio interno (Bergmann, 1994). Per coordinare queste sensazioni con i movimenti interviene il cervelletto, ben sviluppato e funzionale (Bergmann, 1994). Le percezioni sensoriali degli uccelli potrebbero essere ancor più efficienti di quanto si creda.
3.4.2. Le tecniche di volo
L’Aquila reale è un uccello da preda dotato di grande agilità e di straordinaria eleganza quando vola. Chiunque abbia osservato almeno una volta il suo ampio e solenne volteggio ne resta affascinato.
Le grandi dimensioni del rapace celano in qualche modo la sua eccezionale agilità nonché lo straordinario accumulo di forze che si concentra nelle sue membra. Infatti, quando l'Aquila cammina a terra o sul nido, appare estremamente goffa ed impacciata, ma appena prende il volo, ecco mostrarsi nella sua maestosità.
La struttura fisica delle Aquile si giova di tutti gli elementi che necessitano per acquisire una perfetta tecnica di volo. Il grande sviluppo delle ali consente di mantenere a lungo il volo planato (volo preferenziale); per gli spostamenti direzionali le timoniere della coda rispondono egregiamente al loro compito.
In generale si hanno quattro tipi di voli:
1. Volo battuto
2. Volo stazionario (raro)
3. Volo veleggiato
4. Volo planato
Il volo battuto è molto raro nelle Aquile che vi ricorrono fugacemente solo in certe condizioni particolari (assenza di correnti d’aria, tempo freddo e piovoso, trasporto di una preda dal basso verso l’alto, ecc.). La durata massima di tempo che ho cronometrato di un'Aquila in volo battuto continuo con brevissime pause è stato di 4,10 minuti.
Il volo stazionario detto anche “spirito santo” (hovering), del tutto occasionale nell’Aquila reale, si esplica nel rimanere immobili in aria, battendo rapidamente le ali o sfruttando il contro vento (hanging o surplace). Lo “spirito santo” usato eccezionalmente dall’Aquila è quello contro vento in surplace ed ha comunque breve durata. Alcune specie come per esempio il gheppio, il grillaio, la poiana o il biancone praticano assiduamente lo "spirito santo" che consente loro di esplorare analiticamente una porzione precisa di territorio per facilitare l’individuazione delle prede.
Il tipo di volo più usuale nelle Aquile e in genere da tutti i grandi rapaci, è quello che unisce le tecniche del volo planato e di quello veleggiato (terzo e quarto tipo). Esso consente un notevole risparmio energetico, in quanto può essere eseguito senza battito alare. Questa tecnica di volo utilizza le correnti calde ascendenti che si formano dai terreni in seguito all’irradiazione solare o come “corrente a sospensione in un pendio montuoso o sulle onde del mare” (Bergmann, 1994). I pendii sufficientemente esposti all’irraggiamento solare si prestano infatti egregiamente a formare queste correnti calde. L’aria calda, infatti, più leggera, si porta verso l’alto creando le condizioni ideali per il rapace. Il substrato roccioso di un territorio di montagna, tra l’altro, si scalda più velocemente rispetto ad un analogo ambiente ricoperto di boschi e pascoli. Ecco dunque che la configurazione del terreno e la sua esposizione può facilitare o meno la formazione di dette correnti. Ad esperienza di ciò spesso l’Aquila, nella prima parte della giornata, predilige frequentare i versanti che si scaldano più velocemente.
Questo tipo di volo può essere analizzato, come abbiamo già visto, in due fasi: “volteggio” (soaring) e "planata o scivolata" (gliding). Per riuscire a veleggiare l'Aquila reale deve innanzitutto portarsi all'interno di una corrente calda ascensionale di sufficiente ampiezza (almeno 25-30 metri), aprire al massimo le ali e la coda e compiere lente orbite circolari onde rimanere all'interno della corrente calda (improvvisi vuoti d'aria vengono colmati con brevi colpi d'ala). Quando l'Aquila ha raggiunto una altezza da essa ritenuta adeguata, esce dal flusso termico verticale della corrente e si sposta direzionalmente planando in linea tendenzialmente retta con possibili piccole variazioni, con una perdita graduale di quota o repentina (volo planato). Dopo aver percorso il tragitto desiderato per riconquistare nuovamente la quota deve rientrare in un'altra termica e così via. In planata un Aquila può percorrere decine di chilometri, anche se in media non supera i 5-10 chilometri all’interno o all'esterno del proprio home range. La velocità di scivolata è inversamente proporzionale all’apertura delle ali: più queste sono raccolte, più la velocità aumenta. Quando l’Aquila deve picchiare chiude completamente o quasi le ali e scende con traiettoria verticale o delineando un angolo di pochi gradi. A volte in scivolata l'Aquila si aiuta con qualche rapido colpo d'ala.
Con questa tecnica l’Aquila reale non spende energia in quanto non batte le ali. Quando il rapace volteggia tiene le ali a V molto aperta, il che è una caratteristica della specie, mentre quando è in planata le ali sono rivolte leggermente in alto o quasi in piano, raramente verso il basso. Oltre alle ali anche le timoniere svolgono un ruolo importante per il coordinamento del volo.
Per quanto attiene alle altitudini massime raggiungibili in volo dalle Aquile occorre dire che esse possono superare agevolmente anche i 4.500 m.
Un' Aquila reale in picchiata può raggiungere i 300 km/h (Baumgartner, 1988), ma questa è una velocità che non le è consueta come è invece probabilmente consueta al falco pellegrino. In genere nelle discese più veloci non supera i 160 km/h.
Le Aquile in volo, specie se in fase di caccia, sfiorano i pendii rocciosi fino a proiettarvi la propria ombra. L'ispezione ai pascoli di quota è fatta con sorvolo a volo radente che segue accuratamente le asperità del terreno. Il rientro dell'Aquila al proprio nido avviene quasi sempre attraverso una fase mista di discesa-risalita.
Dalle continue osservazioni sul campo maturate nel corso degli anni ho potuto constatare quanto sia importante per l’Aquila reale l’esperienza quotidiana. E' pur vero che molti comportamenti gli sono innati, ma l’affinamento delle tecniche di caccia, di volo, di perlustrazione del territorio, e così via, viene migliorato proprio grazie alla pratica esercitata di continuo. Il volo delle Aquile in certe occasioni sembra quasi affrancarsi dalle leggi della gravitazione universale, compiendo improvvisi cambiamenti di direzione, viti molto strette, picchiate a perpendicolo ed altre acrobazie. Giustamente Ragni (1976) scrive” ...Da queste, e numerose altre caratteristiche, derivano le grandi capacità di volo, l’estrema versatilità della ‘macchina’ volante, che fa dell’Aquila reale il più eclettico e magistrale volatore, a parità di dimensioni, di tutta la Regione oloartica...”. Non può essere tuttavia taciuto che, soprattutto nelle valli strette, le Aquile possono avere qualche difficoltà a calcolare la direzione di spostamento, difficoltà che il rapace supera però senza fatica posandosi per 4-5 secondi sul primo punto utile da dove riparte riprendendo la direzione desiderata (osservazione personale).
Le numerose osservazioni mirate allo studio del volo delle Aquile mi hanno convinto che spesso il rapace si mantiene in volo nelle varie sue forme (volteggio, acrobazie, ecc.), non sempre col fine di perlustrare il territorio o per esercitare la caccia, ma anche per perfezionarsi nella specifica pratica, per distendere la muscolatura (soprattutto durante la cova) e forse anche per qualche altre causa a noi sconosciuta. Molte volte mi è capitato di vedere le Aquile volteggiare a lungo senza un motivo apparente, compiendo piroette, picchiate, cabrate o lunghi veleggiamenti, per poi posarsi in riposo su uno sperone roccioso. Spettacolari sono le discese a "paracadute" che a volte fa per rientrare nel nido o per scendere in verticale avendo poco spazio a disposizione. In questo caso non è raro vedere l'Aquila posizionare le zampe penzoloni in avanti.
Come abbiamo visto l'Aquila reale è una perfetta volatrice dotata di potenza ed agilità. Anche in presenza di forti venti riesce a governare il volo in maniera sicura anche se a volte deve attuare particolari posture dell'assetto delle ali e della coda. In certe occasioni se il vento è particolarmente forte e il rapace porta con se una preda tra le zampe, per approdare correttamente al nido può compiere delle fermate intermedie (osservazioni personali). In altre circostanze mi è capitato di osservare l’Aquila lasciarsi trasportare quasi passivamente dalle spinte del vento.
Quando scende a terra o approda nel nido l'Aquila reale di solito stende le zampe all'ultimo momento (il grifone invece protrae in avanti le zampe molto prima dell'atterraggio). Anche quando afferra la preda a terra non anticipa di molto l'estensione delle zampe. Come sappiamo l’Aquila reale per esercitare in economia il volo, è intimamente legata alla presenza di correnti d’aria calda; in molte occasioni però grazie alla sua agilità e potenza muscolare può essere attiva in ogni circostanza. In una occasione ho osservato un’Aquila reale adulta posarsi a terra su una abbondante coltre nevosa di soffice consistenza. Al momento di ripartire ebbe non pochi problemi!
3.4.3. Attività giornaliera
Le Aquile possono essere teoricamente attive dall'alba al tramonto, anche se in pratica non cominciano a volare se l’aria non si è sufficientemente riscaldata. Di solito, durante le ore centrali del giorno, specie se la temperatura è molto elevata come lo è spesso in estate, le Aquile non volano affatto. Nell’arco della giornata il tempo trascorso in volo (perlustrazione generale del territorio o fase di caccia) non supera di norma un terzo del tempo totale (Chiavetta, 1981). D’inverno, quando le giornate sono particolarmente inclementi, l’Aquila può non volare affatto, in quanto può sopportare anche lunghi digiuni. Quando le ore di luce sono ridotte, come nel periodo invernale, l’uccello, se le condizioni atmosferiche glielo permettono, è molto più attivo, perché il tempo utile per la caccia è conseguentemente minore. Le Aquile passano molte ore del giorno posate su speroni rocciosi, cenge, rami di grossi alberi e arbusti spesso collocati lungo i fianchi scoscesi delle valli (posatoi). In genere si posizionano al sole per fare veri e propri bagni di sole. Durante la stagione molto calda però non disdegnano l’ombra tanto che ho osservato molte volte le Aquile rimanere per ore all’ombra e spostarsi man mano che si sposta il sole; durante queste lunghe pause si guardano intorno, si puliscono il piumaggio (preening) e sorvegliano il territorio circostante. Le ore notturne vengono trascorse su posatoi (spesso, come detto, utilizzati anche di giorno) collocati in genere nei pressi dei siti di nidificazione. Gli individui di una coppia dormono a volte l'uno vicino a l'altro (osservazione personale non generalizzabile). Sotto i posatoi, soprattutto se abituali, si rinvengono dei chiari segni di presenza (escrementi, borre, ecc.).
Le ore più insolite in cui si sono viste le Aquile in volo sono documentate da Ferrario (1985) che ha tra l'altro osservato un’Aquila reale adulta cacciare all’alba, tra le 3.40 e le 5.30, ora solare del 29 maggio, un fagiano di monte (Tetrao tetrix). Personalmente ho osservato in più occasioni durante la stagione estiva l’Aquila reale in volo già alle 6 del mattino. Tuttavia questo comportamento non può ritenersi abituale anche se come poc’anzi detto la potenza di volo delle Aquile permette loro queste performance. Ovviamente per le popolazioni dell’estremo nord (p.e. Finlandia), la questione degli orari cambiano completamente poiché, come noto, in tarda primavera/estate c’è sempre luce. Infatti non di rado ho osservato aquile in volo alle 23 o alle 2 del mattino! Si ribadisce che non sono rari i casi, specie tra i giovani, di voli finalizzati al semplice esercizio fisico o di passatempo.
Si registrano casi in cui le Aquile nel corso della giornata sembrano rispettare dei veri e propri “orari” di comportamento (passaggi in un luogo ad una certa ora, appostamento su un posatoio in un determinato momento della giornata, ecc.).
3.4.4. Comportamento dimostrativo
L'Aquila reale, al pari di altri animali, è in grado di esprimere uno specifico linguaggio mediante il variare del proprio comportamento; le circostanze che generano le variazioni di comportamento nell'Aquila sono di due tipi, l'uno connesso a particolari situazioni, l'altro collegato all'attività riproduttiva. In particolare si notano:
1. Atteggiamento terrifico
Individui interessati: nidiacei e adulti.
Scopo: assumere un aspetto più aggressivo e dare l'impressione di essere più grande di quello che in effetti si è.
Metodica: arruffare le penne, in particolare quelle del capo e tenere le ali scese aperte o semiaperte.
Nota: non è raro osservare un pullus di Aquila reale che, di fronte ad un pericolo, si accovaccia accuratamente nel nido. Quando invece il pullo è sufficientemente sviluppato anche se non è ancora in grado di volare dinanzi ad una minaccia ravvicinata (per esempio un alpinista nei pressi del nido) può involarsi prematuramente venendo così a morte sicura. Accade purtroppo che, malgrado la loro mole, le Aquile se disturbate nel nido fuggono repentinamente con grave rischio della prole o delle uova. Personalmente mi è capitato di osservare nidiate andate a vuoto a causa di lunghe assenze della femmina durante la cova in seguito al disturbo arrecato da fotografi maldestri, escursionisti, alpinisti, o da altre attività umane (per esempio sorvolo prolungato di elicotteri nella zona del nido).
2. Intimidazioni
Individui interessati: giovani e adulti.
Scopo: manifestare antagonismo nei confronti dei consimili e verso altre specie.
Metodica: molte volte l'intimidazione nei confronti di un consimile o di un potenziale nemico è espressa in volo dalle ripetute picchiate, mostra evidente degli artigli, agganci per gli artigli, ecc.
3. Richiesta del cibo
Individui interessati: pullus, giovane ed adulto.
Scopo: richiedere il cibo per fini alimentari (pullus e giovane) o per corteggiamento (adulto).
4. Parate nuziali
Individui interessati: subadulti e adulti.
Scopo: corteggiamento reciproco dei membri della coppia.
Metodica: durante la stagione riproduttiva si nota un'accentuazione dei voli territoriali, tra cui il più noto è il “volo a festoni”, serie di picchiate e di risalite lineari o con rapido cambiamento direzionale, cui si aggiunge l’esecuzione di piroette in aria con volo planato e ampie orbite in perfetta sincronia. Particolarmente suggestive le acrobatiche evoluzioni del maschio che hanno l'intento di attirare la femmina; ad un certo momento il maschio si aggancia brevemente a questa tramite gli artigli, con simulazione di una finta lotta, o cadendo quasi a peso morto. A queste parate può partecipare a volte il giovane dell’anno (osservazione personale non generalizzabile). E' alquanto raro poter vedere le Aquile intente ad effettuare delle vere e proprie giravolte (looping), mentre più comune è la “mezza vite”, specie quelle intese ad intimidire e scacciare i corvidi che le infastidiscono (maestri del looping e della mezza vite sono i corvi imperiali).
I voli appena descritti non caratterizzano soltanto il periodo riproduttivo anche se in quella fase sono più frequenti.
3.4.5. Il ruolo ecologico
Il ruolo ecologico assolto dall’Aquila reale in un determinato ambiente è di fondamentale importanza per l’equilibrio della biocenosi. Pensate invece che l’Aquila, al pari degli altri rapaci, è stata oggetto per secoli di discriminazioni e di falsità sul ruolo da essa svolto nell’ambito dell’economia naturale! Essa veniva additata come la sterminatrice della fauna “minore”, nonché degli animali domestici compresi agnelli e capretti; in tale ottica l’Aquila reale veniva perseguitata con ogni mezzo (bocconi avvelenati, trappole, uccisioni dirette, distruzione dei nidi, ecc.). A ciò occorre aggiungere i danni causati dai saccheggi dei nidi per il commercio dei falconieri o per collezionisti avidi di possedere uova di Aquila reale.
La natura, che non tiene ovviamente conto dei preconcetti da cui l'uomo si lascia guidare, ha posto l'Aquila ad un alto livello della catena naturale (superpredatore) e le ha affidato compiti di grande rilievo, tra cui non v'è certamente quello di distruggere, come l'uomo pensa, le proprie fonti alimentari! Anzi! Essa svolge una preziosa azione regolatrice eliminando gli individui in eccesso e nella maggior parte dei casi affetti da menomazioni, o feriti, malati, inesperti e così via.
Si ha una prova dell’importanza dei predatori se si considera che dove l’uomo ne ha alterato gli equilibri si sono verificati gravi scompensi ambientali, come per esempio riproduzioni eccessive di erbivori e roditori. Occorre inoltre considerare che la popolazione dei predatori, nel nostro caso dell’Aquila reale, è condizionata da appropriati meccanismi di autocontrollo, cui si aggiunge la stretta relazione che intercorre tra il successo riproduttivo e la disponibilità delle fonti alimentari. Per riferirsi ad un altro tipo di predatore, studi accurati sul lupo artico, hanno dimostrato che le fluttuazioni stagionali delle popolazioni, e quindi delle nascite, sono in rapporto con la prolificità delle popolazioni dei caribù che rappresentano la loro principale fonte alimentare per modo che se aumentavano gli uni aumentavano gli altri e viceversa.
Per concludere è necessario sottolineare che il prelievo alimentare effettuato dall’Aquila reale in un determinato territorio è molto basso rispetto alla biomassa esistente nel territorio stesso.
Scheda generale descrittiva dell’Aquila reale
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Dimensioni: lunghezza totale Maschio 82-88 cm, Femmina 85-95 cm (65-70 cm circa senza carne e piumaggio); apertura alare 200-220-230 cm (188-212 maschio; 215-277 femmina. Fasce & Fasce, 1984); ala M 60-65 cm, F 64-72 cm (i tre segmenti dello scheletro dell’ala cioè omero, radio-ulna, carpo-metacarpo, misurano mediamente a partire dall’omero 20,5 cm - 24,5 cm - 15 cm per un totale indicativo di 60 cm); coda M 30-36, F 33-38 cm; becco 38-50 mm (marcatamente più corto della scatola cranica e all’apice presenta un uncino semplice); cranio in media 7 cm; torace senza rivestimento in media 8 cm di larghezza x 13,5 cm di lunghezza; tarso 82-130 mm (i tre segmenti dello scheletro della zampa cioè femore, tibia-tarso, tarso-metatarso non contando le dita misurano mediamente a partire dal corpo 14,2 cm - 17 cm - 10,3 cm per un totale indicativo di 41,5 cm).
Peso: M 3800 g (3250-4400), F 5000 g (3750-6600). La femmina in genere è il 20% più pesante e il 10% più grossa. Peso massimo 7000 g (Love & Watson, 1990)
Habitat: zone montuose aperte a volte anche a quote basse; zone pianeggianti nel versante nord e orientale dell’areale (tundra, taiga).
Periodo riproduttivo: da marzo a luglio-agosto.
Voce: gli adulti in genere sono poco vociferi, eccettuato il periodo riproduttivo; il pullo e il giovane invece sono alquanto loquaci. Il verso degli adulti è simile all’abbaiare di un piccolo cane. Il richiamo suona più o meno così: “kiok-kiok-kiok-kiok-kiok, hua-hua-hua, iiuu”. Il pullo e il giovane ripetono lungamente il verso “kiok-kiok-kiok”.
Nido: su pareti rocciose, raramente su grossi alberi. Materiale: rami, stecchi e steli di ogni tipo; durante la nidificazione può essere rivestito all’interno con frasche di latifoglie e di conifere, rifornite assiduamente durante la riproduzione. Gli stessi nidi possono essere usati per molti anni aumentando man mano di volume (i nidi di nuova costruzione sono poco appariscenti). Una coppia può avere fino a dodici nidi anche se uno o due sono quelli favoriti (Love & Watson, 1990).
Uova: 2, raramente 1 o 3, deposte ad intervalli di 3-4 giorni. Forma e colorazione: tondeggianti, opache, biancastre a volte macchiettate di marrone, rosso castano e grigio pallido. Possono esservi variazioni di colore e di dimensioni tra le uova della stessa covata (Glutz et al., 1971, osservazione personale) Misura: 76,7 x 59,4 mm; il peso oscilla tra 130 a 160 g circa.
Nidiate: 1
Cova: 43-45 gg
Involo: 63-83/85 gg (dati estremi)
Maturità dei giovani: 4-5 anni.
Piumaggio definitivo: 5-7 anni
Anomalie del piumaggio: si
Alimentazione: mammiferi di medio-grosse dimensioni, uccelli di medie dimensioni, rettili, carogne, quest’ultime soprattutto in periodo invernale.
Spostamenti: sedentaria nella maggior parte dei territori. Migratrice parziale nelle latitudini più settentrionali (oltre il 55°-65° parallelo N in relazione alla rigidità invernale e alle ore di luce). Giovani, immaturi e subadulti erratici.
Legame di coppia: monogama.
Longevità: la specie è alquanto longeva. In cattività ha superato i 50 anni (Chiavetta, 1981) mentre in libertà raggiunge mediamente i 15-20 anni di vita. L’esemplare più vecchio, inanellato quando era un pullus, fu ritrovato all’età di venticinque anni e otto mesi (Chiavetta, 1981; Love & Watson, 1990). La consistenza della popolazione si mantiene stabile nel tempo grazie alla longevità degli adulti non considerando gli interventi umani negativi diretti ed indiretti.
Status: in ripresa in questi ultimi anni, dopo un notevole declino anche se l'eccessiva antropizzazione del territorio non consente la libera espansione del rapace.
Specie simili (stesso genere): Aquila imperiale (Aquila heliaca), Aquila anatraia maggiore (Aquila clanga), Aquila anatraia minore (Aquila pomarina), Aquila rapace (Aquila rapax), Aquila di Verreaux (Aquila verreauxi), Aquila dalla coda lunga (Aquila audax), Aquila di Gurney (Aquila gurneyi), Aquila di Walberg (Aquila walbergi).
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Caratteri distintivi dell'Aquila reale in natura
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1. Testa proporzionata ed elegante, prominente dal corpo.
2. Gli occhi sono grossi ed espressivi tanto da conferigli un aspetto fiero e selvaggio.
3. Il becco, robusto e ricurvo (aquilino), è eccezionalmente forte, in grado di lacerare anche la carne più dura.
4. Cera del becco giallastra e di consistenza carnosa. In essa si aprono le narici.
5. Orecchio sensibile, ma non visibile.
6. Ali lunghe rispetto al corpo e larghe.
7. Coda ben proporzionata e in genere larga e lunga quanto la larghezza dell'ala (Gensbol, 1992).
8. Testa alquanto prominente e slanciata.
9. Ali mantenute a V durante il volteggio. Quando plana può tenere le ali piatte, mentre raramente, e solo quando scende verso il suolo o sulla preda, sono rivolte in basso.
10. La sagoma delle ali presenta una silhouette incurvata a forma di "S".
11. Le penne primarie apicali in volteggio sono ben aperte e spesso assumono il tipico aspetto digitato.
12. La colorazione degli adulti è abbastanza uniforme con testa dorata (dal giallo al bruno pallido) e variazioni della tonalità del piumaggio a seconda della località geografica. Con una buona illuminazione è possibile scorgere numerose striature chiare (base delle remiganti, copritrici superiori). I giovani invece presentano un piumaggio uniformemente scuro con evidenti macchie bianche sulle ali e sulla coda. Nessuna variazione stagionale.
13. Malgrado le grandi dimensioni in volo è sempre molto agile e leggera.
14. Dimorfismo sessuale marcato (femmina più grande del maschio) ma non sempre distinguibile in natura se i soggetti sono distanziati tra loro.
15. Tarsi calzati.
16. Molto evidenti e possenti sono le zampe munite di artigli lunghi e robusti (fino ad 8-9 cm) che permettono di stringere senza “perdonare” la preda. Estremamente mobili si chiudono a scatto. Spetta a loro la funzione principale di cattura ed uccisione delle prede.
17. Le "gambe" sono rivestite di penne scure formanti i cosiddetti "calzoni".
18. Sale facilmente a spirale guadagnando la quota mediante l'utilizzo delle correnti ascensionali di aria calda, poi plana lungamente o compie ampi volteggi su una determinata zona. Quando batte le ali, lo fa con colpi decisi e di breve durata. Predilige il volo veleggiato.
19. Mantiene senza troppi problemi l’assetto nel volo anche in presenza di forti venti.
20. Quando è in caccia ispeziona i fianchi delle montagne o le praterie di quota con volo quasi radente per sorprendere le potenziali prede.
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IV. Habitat
4.1. Premessa
L’Aquila reale occupa nella maggior parte dei casi zone di montagna (un tempo presente anche a quote basse, ma in certi Paesi l’antropizzazione del territorio l’hanno relegata per lo più negli ambienti montani più tranquilli) ricche di pareti rocciose e di ampie superfici scoperte; le prime costituiscono l'ambiente di elezione per la difesa del nido, le seconde appaiono come lo scenario ideale per l'esercizio della caccia. Tuttavia in alcune regioni geografiche (per esempio Nord Europa, Mongolia, ecc.) le Aquile possono occupare zone in cui le pareti rocciose sono scarse o addirittura assenti; in quel caso, come abbiamo più volte visto, il nido viene collocato su grossi alberi o in mancanza di questi direttamente a terra (caso molto raro e localizzato). In Mongolia è relativamente frequente l'osservazione di Aquile che volteggiano sulle immense steppe degli altipiani. Cospicue anche le popolazioni che vivono nella tundra, nell’estremo nord.
4.2. Suddivisione del territorio
Il territorio occupato dalla coppia può essere schematicamente così suddiviso:
Home range: area complessiva occupata.
Nesting territory: territorio di nidificazione nel suo complesso.
Nesting site: sito di nidificazione vero e proprio.
Hunting territory: sito di caccia
4.2.1. Home range
Lo sviluppo e la dimensione dell’home range non si rifà ad un modello "standard” ma varia a seconda delle zone geografiche in cui insiste.
In genere esso è costituito da una o più valli contigue con presenza di pareti rocciose precipiti e praterie di altitudine. Le zone più elevate dell’home range vengono per lo più utilizzate per le battute di caccia del periodo estivo, mentre durante l’inverno la caccia si esercita nei territori più a valle dove l'innevamento è più breve e dove si condensa un maggior numero di prede. La presenza di fitte foreste ostacola l’attività predatoria del rapace.
La superficie complessiva dell’home range varia notevolmente a seconda delle condizioni faunistico-ambientali. Essa può oscillare tra un minimo di 25-30 km2 ad un massimo di circa 500 km2 (ultimo dato: Parellada & De Juan, 1981 in Fasce & Fasce, 1984). Più comunemente i territori più ampi hanno una estensione di 2-300 km2. La notevole espansione dell’home range di una coppia può significare che si è in presenza di zone molto boscose o povere di prede (ipotrofiche) o in ogni caso molto disperse. Sulle Alpi l'home range è in genere più ristretto rispetto agli Appennini. Infatti nella regione alpina, zona ricca di prede potenziali, si scende in alcune località sino al minimo di 40 km2, con una media di 100-120 km2 (Fasce & Fasce, 1984); nel cantone svizzero del Grigioni, su un territorio di 4300 km2, vivono 44 coppie di Aquila reale con una media di 97,7 km2 per coppia (Baumgartner, 1988), mentre sugli Appennini (regione in genere ipotrofica) la media sale anche oltre 200 km2 (80-350 km2). Particolare interesse assumono i dati che riguardano la Scozia ove i territori misurano da 25 a 75 km2 (Love & Watson, 1990) e risultano essere tra i più piccoli d’Europa e forse del mondo. In Scozia tra l’altro si registrano, tra coppie limitrofe, numerosissime sovrapposizioni di parte degli areali (Martin, 1993). Negli Stati Uniti una coppia può coprire anche 180 km2 (Love & Watson, 1990).
Il calcolo da me fatto su 9 coppie di Aquila reale insediate nell’Appennino centrale, ha rilevato un’ampiezza media del tutto indicativa del proprio home range di 124,4 Km2 per coppia con una punta massima di 160 Km2 e minima di 100 (nel calcolo è compreso anche il territorio non utilizzabile per le necessità vitali).
Ai dati suddetti va aggiunto un 10-30% in quanto le Aquile per esercitare la predazione spesse volte si spingono anche oltre le zone principali (ciò accade soprattutto nelle località ipotrofiche).
Nella valutazione delle superfici dell'home range va considerato che non tutto il territorio è utilizzabile dall’Aquila, in quanto in esso ricadono anche porzioni di territorio non sfruttabile, come le cime più elevate, i dirupi o, come detto, le zone fittemente boscate. E’ da considerare altresì che i territori di caccia possono essere a volte sfruttati da più coppie contigue. Per esempio, sui Monti Tatra (Carpazi) in molte occasioni ho constatato parte del territorio di caccia sfruttato sia dalla coppia del versante polacco che da quelle limitrofe slovacche. Queste coppie infatti hanno in comune almeno il 20-30% del proprio territorio. L'estensione dell'home range è condizionata altresì dalla presenza dell'uomo, nel senso che quanto più la zona è antropizzata, tanto più tende a restringersi il territorio a disposizione dell'Aquila. Se l'ampiezza del territorio si restringe al di sotto del minimo potenziale (minimo in relazione alle disponibilità trofiche), l'Aquila abbandona la zona.
Pertanto nelle regioni con minore densità delle prede potenziali l’home range si sviluppa su una superficie maggiore (carryng capacity).
L’home range teorico presente e passato in un'area da me analizzata dell’Appennino centrale, includendo anche il territorio non utilizzabile dalle Aquile, è risultato il seguente:
Area studiata: 2200 km2
N° coppie di Aquila reale attualmente presenti: 8
Areale medio: 275 km2
N° coppie presenti in precedenza nello stesso territorio: 14
Areale medio 157 km2
Nei territori selvaggi (p.e. in Canada) può accadere che le prede potenziali pur essendo numerose e variate possono essere distribuite su un’ampia superficie. Ne consegue che l’home range delle Aquile stanziate in quei territori sarà molto ampio. Come abbiamo detto, la presenza di fitte foreste ostacolo non poco l’attività predatoria del rapace; tuttavia gli esemplari insediati in territori per lo più boscati (p.e. nella taiga), sono perfettamente adattati a sfruttare al massimo le radure che qua e là s’aprono nella foresta. In una coppia della Finlandia centro/settentrionale il cui habitat presentava ovviamente una cospicua porzione coperta da alberi, notai che riusciva a cacciare (o a tentare di farlo) abbastanza frequentemente anche ai margini del bosco e nelle piccole radure.
I rapaci più piccoli rispetto a quelli grandi tendono a tenere territori di nidificazione più piccoli ed un raggio di azione minore per procacciarsi il cibo. Ne segue che i rapaci più piccoli tendono ad avere densità maggiori rispetto a quelli grandi (Newton, 1991).
Le dimensioni corporee, quelle del territorio e la densità riproduttiva sembrano essere in stretta correlazione tra loro (Newton, 1991). In ogni caso le dimensioni del territorio di residenza dipendono dalle disponibilità di cibo. La densità riproduttiva è massima dove le prede principali sono più numerose. Quindi la densità dei rapaci riproduttori è dipendente dalle popolazioni delle prede.
I cambiamenti a lungo termine della densità dei rapaci spesso sono associati con le attività umane.
La densità delle coppie di Aquila reale insediate in un territorio varia a seconda del luogo geografico di presenza considerato. In Scozia per esempio in certe località possono registrarsi finanche 40 coppie su 1000 km2 di superficie (Love & Watson, 1990), per scendere invece a 8-10 in Scandinavia e a sole 4 in Italia sempre su 1000 km2 (Love & Watson, 1990) (riferimenti medi e solo indicativi).
4.2.2. Nesting territory, nesting site
Il territorio di nidificazione costituisce la parte centrale e culminale dell’home range ed è attivamente difesa dalla eventuale presenza di conspecifici. Il fulcro del territorio di nidificazione è il sito di nidificazione vero e proprio rappresentato dal voluminoso nido (o più di uno). Questa distinzione netta del territorio vitale dell’Aquila reale si attenua in quei territori dove la conformazione orografica non individua chiaramente i vari settori (per esempio zone pianeggianti della Scandinavia, della Siberia o del nord del Canada).
I nidi vengono localizzati nella maggior parte dei casi su pareti precipiti di solito molto ampie. Per costruire il proprio nido l’Aquila sfrutta i buchi o le fratture naturali della roccia, o anche cenge che presentino però, quanto possibile, una certa protezione verso l’alto; alcune volte il nido, collocato in un anfratto roccioso, si compone anche di una parte esterna che poggia su grossi cespugli sporgenti. In più occasioni si sono rinvenuti nidi costruiti su sporgenze rocciose senza alcuna protezione verso l'alto; tale protezione è invece molto importante perché ripara il pullo dalle intemperie, nonché dalla forte insolazione diretta. Se costrette (per mancanza di ampie pareti) le Aquile possono costruirsi il nido anche su pareti rocciose di minime dimensioni; in questa evenienza tentano di mimetizzarlo con estrema cura.
Nelle località dove scarseggiano le pareti rocciose (Nord Europa, Siberia, ecc.) l’Aquila reale come si è già notato suole costruire il suo nido su grossi alberi in genere di conifere tanto che in Svezia l'età media degli alberi utilizzati sarebbe di 320 anni (Gensbol, 1992) (un nido da me localizzato nel centro-nord della Svezia, era appunto ubicato su un pino di ragguardevole età). In tal caso la mancanza di copertura del nido costringe l'Aquila a fare ricorso a numerosi accorgimenti, come quello che consiste nel coprire il nido ancor prima della deposizione per mantenerlo sgombro dalla. Tuttavia anche i nidi posti sul albero possono a volte presentare una qualche forma di protezione grazie alle fronde dei rami o al tronco dell’albero stesso (osservazione personale). Tranne rare eccezioni i nidi vengono collocati in zone poste ad un livello altimetrico inferiore a quello del terreno di caccia principale, allo scopo di facilitare il rientro al nido in scivolata con le prede. Tuttavia questa caratteristiche della collocazione altitudinale dei nidi è tipica delle zone montane, mentre diviene relativa nelle località pianeggianti o debolmente ondulate (p.e. in Finlandia). Raramente si segnalano nidi su alberi nel Centro-Sud d’Europa (Alpi-Appennini). Nidi usati da più generazioni di Aquile possono avere anche centinaia di anni.
I nidi, costituiti dalla sovrapposizione di rami lunghi anche 2 metri, vengono riutilizzati anno dopo anno con apporto continuo di materiale legnoso; ciò determina appunto la voluminosità del nido. Due nidi da me direttamente verificati e misurati presentavano i seguenti dati:
1. Larghezza 125 cm - Lunghezza 210 cm - Altezza 220 cm
2. Larghezza 130 cm fronte, 180 cm retro - Lunghezza 220 cm - Altezza 70 cm
In generale la profondità della coppa è sempre minima, come avviene nei nidi della maggior parte dei rapaci.
E' da notare che i rami vengono aggiunti anche se il nido è occupato per la nidificazione, ma in questo caso si tratta sempre di rami verdeggianti. Sembra che il continuo rifornimento di materiale nel nido sia anche un modo di riaffermarne il possesso, tanto è vero che la specifica circostanza può riguardare anche gli altri nidi della zona, nonostante che essi non siano occupati per la nidificazione. Nel territorio di nidificazione l’Aquila ha infatti a disposizione almeno 2-4 nidi con massimo di 10 e un minimo di 1. Ho registrato qualche raro caso di una presenza di dodici nidi per coppia con la preferenza per uno o due di essi. Infatti, in genere sono da 2 a 4 i nidi solitamente prescelti e non è raro che la nidificazione insista per più anni di seguito nel medesimo nido. Se una coppia ha solo due nidi a disposizione ed uno di essi è particolarmente disturbato, può accadere che negli anni venga scelto sempre lo stesso nido. In altri rari casi accade che una coppia ha un solo nido a disposizione (osservazione personale). Ogni anno, prima della nidificazione, l'Aquila comincia a frequentare più nidi, apportando nuovo materiale per ristrutturarli; poi, pochi giorni prima della deposizione, il rapace sceglie il nido in cui nidificherà. La mia esperienza personale ha registrato i casi di alcune coppie (Appennino centrale, highlands scozzesi, Carpazi, Finlandia settentrionale) che hanno prediletto il medesimo nido per diverse stagioni consecutive pur avendone altri a disposizione. L’alternanza dei nidi sembra dovuta alla necessità di far “riposare” il nido utilizzato per ultimo in maniera che venga convenientemente sanificato (Newton, 1979) soprattutto se l'allevamento precedente è andato a buon fine. E’ raro che l’Aquila costruisca un nuovo nido nel proprio territorio.
Come precedentemente osservato i nidi sono quasi sempre localizzati in luoghi tranquilli e isolati, lontano dai disturbi delle attività umane. Ciò tuttavia non è sempre vero poiché si verificano casi in cui in zone limitrofe al nido sono ubicate strade e abitazioni (sempre però ad una distanza minima di sicurezza). Ciò dimostra come l’Aquila si sia abituata a convivere con la preesistente presenza umana nelle località più antropizzate, a patto però che non vi sia disturbo diretto da parte dell’uomo. Se invece improvvisamente viene costruita una strada o attivato qualsiasi altro manufatto che possa alterare una zona fino ad allora tranquilla e perciò propizia alla presenza dell'Aquila, è mia opinione personale che v'è l'assoluta certezza che il rapace abbandonerà per sempre quel territorio.
Nel territorio di nidificazione la coppia di Aquila reale non ha soltanto i nidi, ma ha anche i posatoi, posti abitualmente su speroni rocciosi, su cenge, su rami di alberi, ecc.. La maggior parte di essi viene utilizzata per riposare, o fare bagni di sole, o per dormire; altri per spiumare le prede. Ciò non esclude la possibilità, tra l’altro frequente, che l'Aquila usi come posatoi punti casuali della zona. Di solito ogni posatoio è utilizzato per una specifica funzione.
Come abbiamo appena visto sappiamo che ogni coppia di Aquila reale difende strenuamente dai conspecifici i propri siti di nidificazione, mentre è più tollerante quando la convivenza riguarda parti marginali dell’home range nel quale è di solito consentita una certa sovrapposizione degli areali. E’ bene evidenziare che i nidi a disposizione di una coppia possono, in certi casi, insistere in valli o località nettamente distinte le une dalle altre anche se in genere comprese in un raggio chilometrico non eccessivo.
Per quanto attiene alla distanza che può intercorrere tra i siti attivi di nidificazione delle varie coppie di Aquila reale, si nota che essa varia a seconda delle zone geografiche prese in considerazione, così che nella zona delle Alpi la distanza può essere anche inferiore ai 3 chilometri, mentre in molte contrade del Canada o della Siberia la distanza può salire notevolmente. In media sulle Alpi è di 8-9 chilometri, per salire a circa 20-22 sugli Appennini.
In riferimento alla distanza intercorrente tra i nidi della stessa coppia, si registrano misure da pochi metri fino a diversi chilometri (anche casi di nidi di una stessa coppia localizzati in valli o zone diverse).
4.2.3. Hunting territory
Altro fattore di vitale importanza nell’home range di una coppia di Aquila reale è il territorio di caccia suddiviso in abituale e invernale-occasionale.
Sulle Alpi e sugli Appennini esso si presenta strutturato in genere in 4 differenti tipologie: praterie di quota, versanti acclivi disalberati o debolmente coperti con arbusti o bosco rado, versanti più dolci, territori di quota inferiore; va detto che sulle Alpi i territori quasi sempre si presentano più accidentati e articolati rispetto a quelli dell’Appennino. Più in generale il territorio, come accennato, viene diviso in zone abitualmente usate per la caccia e zone marginali utilizzate occasionalmente o in particolari periodi dell’anno. Accade infatti che durante l’inverno, in seguito alla copertura nevosa delle quote più alte e alla conseguente discesa più a valle delle prede, le Aquile spostino il loro territorio di caccia più in basso e nei versanti con migliore esposizione. Il territorio di caccia di una coppia, come sappiamo, può in parte essere sfruttato da una coppia limitrofa senza che vi sia contrasto tra le due coppie; infatti questa zona dell’home range non è attivamente difesa come lo è il territorio di nidificazione.
L’ampiezza indicativa dei territori di caccia principali di due coppie di Aquila reale da me analiticamente calcolato (highlands scozzesi, taiga svedese), è risultato rispettivamente di 60 e di 75 km2.
Da quanto si è sin qui osservato appare, nelle sue varie implicazioni, l'importanza che assume la delimitazione territoriale delle varie coppie di Aquila; essa è affidata oltre che a segnali diretti già precedentemente illustrati, come riporto di fronde verdi ai nidi e l'ostentazione di picchiate intimidatorie, anche ai segnali visivi o “fanerici”; a ciò si aggiungono gli avvertimenti canori che, udibili anche a notevole distanza, diffidano gli eventuali intrusi dal varcare i limiti del territorio già occupato.
La perfetta conoscenza del territorio è essenziale per la sopravvivenza di una coppia di Aquila reale e per il successo riproduttivo. Infatti è di fondamentale importanza per la coppia essere a conoscenza dei percorsi ideali per avvicinarsi alle prede, dei passaggi "segreti", dei posatoi migliori, dei rifugi invernali, e così via. In una zona sconosciuta le possibilità di sopravvivenza sono ridotte. Infatti la non conoscenza del territorio è una delle cause che favorisce la mortalità dei giovani erratici.
Come abbiamo visto, nei nostri giorni, quando l'Aquila reale è stanziata in paesi eccessivamente antropizzati vive e nidifica in montagna, in luoghi relativamente meno accessibili, dopo aver abbandonate le pianure e le colline. Anche oggi, come nel passato, allorché la popolazione umana è scarsa, le Aquile, come sappiamo, si spingono anche in collina o addirittura verso la pianura (Mongolia, Russia, Finlandia, Svezia, Canada, ecc.) nidificando spesso su grossi alberi e cacciando nelle pianure ampie o tra le radure che si alternano ai boschi. Nelle zone disabitate a volte le Aquile non temono l'uomo tanto che si riesce ad avvicinarle anche a pochi metri (osservazione personale); ciò vale soprattutto se gli animali non hanno subito esperienze traumatiche negative nei confronti dell'uomo. Gensbol (1992) asserisce che se l'Aquila reale si adatterà sempre più al mondo moderno, potrà forse tornare a nidificare anche nei pressi delle pianure coltivate o in ogni caso a stretto contatto con l'uomo ammesso che gli individui più confidenti non vengano uccisi. Purtroppo in molte circostanze è sempre la natura a soccombere e, in questo caso particolare, è l'Aquila che, se vuole sopravvivere, deve piegarsi alle pretese di dominio territoriale dell'uomo!
4.3. L'insediamento di una nuova coppia in un territorio
Il reinsediamento di una nuova coppia in un territorio occupato in precedenza dalle Aquile è un evento di estremo interesse, sia dal punto di vista naturalistico che protezionistico. In genere nel territorio abbandonato permangono i vecchi nidi lasciati dalla coppia precedente, e quella nuova non si fa certo scrupoli nel riattivarli e sancirne il possesso. Tuttavia in questi casi non sono rari i casi di costruzione di nuovi nidi, soprattutto se quelli vecchi sono estremamente fatiscenti o del tutto danneggiati. In questi ultimi anni il reinsediamento in vecchie località abbandonate, per quanto attiene al territorio italiano, è stato particolarmente evidente in quasi tutto l’arco alpino, mentre è ancora marginale nel territorio appenninico.
Altro caso che può ovviamente verificarsi è quello dell’insediamento di una coppia di Aquila reale in un nuovo territorio, mai utilizzato in passato da membri della specie. Questa evenienza può concretizzarsi più facilmente nei territori non antropizzati o in ogni caso più tranquilli dove l’Aquila reale può espandersi liberamente dovendo calcolare solo le potenzialità trofiche e riproduttive (presenza di luoghi idonei dove collocare il nido, ecc.) e non certo gli impedimenti e i disturbi umani. Vigono ovviamente le dovute eccezioni.
4.4. Località abbandonate dalle Aquile
E' triste visitare i vecchi siti riproduttivi ormai abbandonati dalle Aquile. Le persecuzioni umane sia dirette che indirette sono quasi sempre state la causa di tali abbandoni. Negli ultimi anni, grazie alla tutela di molti ambienti e soprattutto al divieto assoluto di caccia, le coppie di Aquile, come abbiamo visto, stanno ricolonizzando vecchi territori che una volta gli erano propri. In gran parte dei territori alpini la specie ha raggiunto il massimo della densità. Tuttavia le nuove nascite stagionali a mala pena riescono a coprire le perdite, tanto che allo stato attuale nella maggior parte del Paleartico occidentale, le popolazioni delle Aquile si mantengono stabili, senza crescite apprezzabili. Occorre dire che i nidi abbandonati nel volgere degli anni tentano a disfarsi completamente anche se la voluminosità della massa legnosa ne può garantire la tenuta anche per decenni. Si osservano infatti nidi abbandonati da molto tempo in buono stato di conservazione. Tuttavia il disfacimento è anche in relazione all’ubicazione in parete (posizione precaria, stabile, o su albero, ecc.), dalla consistenza legnosa (in certe località con poca vegetazione arborea, i nidi si presentano sempre poco appariscenti) e soprattutto dalla località geografica (nelle zone nordiche il continuo maltempo favorisce il disfacimento rispetto a località meridionali). A volte i nidi abbandonati possono essere utilizzati da altre specie (falco pellegrino, gufo reale, ecc.).
La presenza attuale e passata di coppie di Aquila reale in una località dell’Appennino centrale è risultata la seguente:
Area studiata: 2200 km2
N° coppie attuali: 8
N° coppie in precedenza: 14
Decremento percentuale: 43% ca.
V. Ciclo riproduttivo
5.1. Premessa
Il ciclo riproduttivo è una delle fasi più delicate per gli animali, soprattutto per quelle specie che hanno bisogno di tempi prolungati. Gli uccelli hanno tra l’altro la necessità di incubare le uova all’aperto, uova soggette all’attacco diretto dei predatori e alle variabilità del clima.
Come tutti i grandi rapaci, l’Aquila reale ha un lungo ciclo riproduttivo che la impegna per molti mesi all’anno; infatti esso si protrae per oltre 4 mesi, senza considerare che il giovane involato dipende dai genitori sino a tutto l’inverno successivo o per lo meno sino all’autunno; rimane a volte con i genitori anche più a lungo come accade nel caso che gli adulti non si riproducano di nuovo nella primavera. Non è raro registrare annate di “riposo” riproduttivo da parte di una coppia.
L’Aquila reale è, come sappiamo, monogama in quanto una coppia rimane unita per tutto l’arco della vita, così che il legame si interrompe solo con la morte di uno dei due partner. Tuttavia sono conosciuti rari casi di femmine scacciate da altre (Love & Watson, 1990). Allorché un' Aquila rimane improvvisamente sola, non trascorre molto tempo che un nuovo individuo, privo di un proprio territorio stabile, instauri un nuovo rapporto di coppia. Newton (1979) asserisce che il legame al sito di nidificazione potrebbe essere in correlazione con le buone caratteristiche del sito medesimo. In generale la prima nidificazione ha luogo all'età minima di 4-5 anni quando come abbiamo visto il rapace ha acquisito il piumaggio da adulto. A volte può accadere di vedere individui accoppiati con il piumaggio da immaturi; ciò è un evento non comune anche se non del tutto desueto; nei Grigioni su 50 coppie osservate tra il 1978 ed il 1981 sono state notate solo 4 volte delle coppie con femmine subadulte (Gensbol, 1992). Dove la specie risulta perseguitata le coppie con immaturi non sono così rare (Chiavetta, in Gensbol, 1992 - osservazioni personali). Un anno su otto coppie da me seguite in tre di esse le femmine erano subadulte. In quello stesso anno due di queste femmine malgrado, come detto, presentavano un evidente piumaggio da immaturo (max.3/4 anni), si riprodussero regolarmente portando all’involo un giovane. In un’altra occasione una femmina approssimativamente di 2-3 anni di vita fece lo stesso. Occorre peraltro aggiungere che a volte il piumaggio da subadulto non è garanzia certa dell’età del soggetto; infatti, le anomalie della colorazione del piumaggio, possono condurci all’errore (in una occasione osservai una femmina di 6-7 anni presentare ancora evidenti “macchie” bianche giovanili). Può infatti verificarsi, come detto, una certa sfasatura tra l’età effettiva del soggetto e le condizioni del piumaggio. Brown (1976a in Fasce & Fasce, 1984), asserisce che nell’ambito di un territorio considerato, se la presenza di coppie costituite da un soggetto adulto ed uno immaturo è bassa, si è nel pieno della normalità, mentre, viceversa, se tali coppie disetanee sono numerose, allora vuol significare un’alta mortalità degli adulti che rispecchia una sostanziale instabilità della popolazione.
L'Aquila reale conferma le caratteristiche riproduttive della maggior parte dei rapaci: coppie solitarie all'interno di un territorio difeso. La tutela del proprio territorio si attenua nelle zone di caccia marginali. Il maschio tende a svolgere la maggior parte della caccia, mentre la femmina cova, accudisce i piccoli e li nutre. Le cure parentali, durano ben oltre l'involo, fino a quando i giovani si disperdono.
L'Aquila reale e alcuni altri uccelli da preda hanno popolazioni riproduttive tra le più immutabili di tutti gli uccelli (Newton, 1991) (non considerando l'azione negativa dell'uomo che può sovvertire qualsiasi ordine naturale delle cose).
Quantità e successo riproduttivo sono governati sia dalle disponibilità trofiche che dai siti di nidificazione. Nelle località in cui i siti di nidificazione scarseggiano, la presenza di una specie può influenzare la quantità e la distribuzione di un'altra. L'Aquila reale su una parete rocciosa ha la priorità sul falco pellegrino e questo sul gheppio, ma difficilmente riesce a sloggiare il falcone se questo si è insediato precedentemente all’Aquila.
L’abbondante presenza di prede necessarie all’avvio e allo sviluppo della riproduzione, non deve registrarsi solo all’atto dell’allevamento primaverile ma almeno sin dall’inizio dell’inverno (Klaesson, 1985). Un inverno di “magra” non da energie necessarie per la riproduzione (Klaesson, 1985). Ciò è particolarmente vero per i territori settentrionali (Scandinavia, Siberia, Canada, ecc.).
5.2. Le parate nuziali
A partire da dicembre-gennaio le Aquile si esibiscono con lena crescente in spettacolari parate nuziali che hanno l’importante funzione di rinsaldare il legame di coppia. Nel caso che nell'anno precedente la coppia non si sia riprodotta, i voli nuziali possono aversi già dal mese di settembre (tuttavia in diverse circostanze ho osservato intense parate nuziali già nel periodo autunnale da parte di coppie che pochi mesi prima si erano riprodotte con successo).
L’esibizione più tipica concerne il cosiddetto “volo a festoni” che, come più volte accennato, si compone di in una serie di ascensioni quasi a candela con secchi colpi d’ala, seguite da picchiate ad ali chiuse o semichiuse che descrivono nel complesso una traiettoria sinusoidale. Questo tipo di volo, praticati anche da altri rapaci, non viene però eseguito solo in occasione delle parate nuziali, ma appare anche quando si tratta di stabilire diritti di territorialità sia nei riguardi di conspecifici, che verso altre specie, uomo compreso. In genere si presenta a sviluppo lineare, ma a volte si manifesta anche con improvvisi cambi direzionali.
Il volo a festoni non è la sola espressione delle parate, giacché coesiste spesso con altre evoluzioni aeree. Le Aquile compiono ad esempio traiettorie incrociate, poi descrivono dei cerchi, spesso con doppio senso di rotazione; altro effetto spettacolare è quello che è dato dal volo rapido delle due Aquile che si prendono per gli artigli, mentre un esemplare è capovolto all'ingiù. A questa esibizione che sembra essere l'espressione di una finta lotta, partecipa occasionalmente il giovane, come mi è più volte accaduto di osservare. Probabilmente le finte lotte potrebbero rappresentare una ritualizzazione del combattimento con sottintesi intenti di incrementare il legame di coppia. A volte ho notato le Aquile che si pulivano vicendevolmente (alloprening), o che si passavano dall'uno all'altro una piccola preda o un “oggetto” non identificato.
A queste parate spettacolari si aggiungono gli accoppiamenti che avvengono più volte, alcuni addirittura anche a cova iniziata, probabilmente per elevare l’affiatamento della coppia. La copula è alquanto semplice e di breve durata. Il maschio delicatamente si posiziona sulla femmina la quale alza la coda per consentire il contatto con le cloache. Il maschio, per mantenersi in questo equilibrio instabile, di tanto in tanto allarga irregolarmente le ali. Dopo pochi secondi, si allontana di qualche metro e spesso si posa. E' da sottolineare che gli accoppiamenti avvengono spesso nei pressi del nido. Personalmente ho osservato, come detto, anche diversi accoppiamenti durante la cova; ciò sembra sia finalizzato all'ulteriore rafforzamento del legame di coppia. Infatti le coppie copulano sempre oltre il necessario per la fecondazione. Addirittura in alcune specie di rapaci sino a 400-600 volte! (Village, 1991). Per le specie non monogame tali atteggiamenti sono probabilmente dovuti oltre che al rafforzamento dei legami di coppia anche all'impedimento che altri maschi fecondino le uova (Village, 1991).
Quando la coppia ha deciso di riprodursi allontana energicamente il giovane, a partire dal mese di marzo, qualche volta sin da gennaio; l'estromissione è attuata principalmente mediante ripetute, decise picchiate sul giovane, specie da parte del maschio (tuttavia, come detto, a volte il giovane per un certo periodo può rimanere nei pressi dell’home range dei genitori).
5.3. Il nido
Nel territorio di nidificazione, come abbiamo poco prima osservato, sono in genere presenti 2-5 nidi; essi vengono usati alternativamente nel corso degli anni, anche se accade che la coppia prediliga spesso uno o due nidi che utilizza con maggiore frequenza o addirittura per diversi anni di seguito. Vi sono ovviamente dei casi che esulano dalla norma; uno di questi, oggetto di personale osservazione, è quello che riguarda una località ove ho constatato che su due/tre grosse pareti poco distanti tra loro all’interno di un valle molto incisa insistono 10 nidi, di cui 2-4 usati a rotazione negli ultimi anni. In certe circostanze, come detto, (mancanza di siti alternativi, siti alternativi disturbati, ecc.) un’Aquila può utilizzare lo stesso nido anche per molti anni di seguito.
Alcune volte può accadere che malgrado una coppia di Aquila reale possegga nella propria zona diversi nidi, decida di costruirne uno nuovo per emergenza o per cause non sempre note (evento molto raro). E' capitato osservare una coppia nidificare in una cengia erbosa con pochissimo materiale legnoso apportato in poco tempo, anche se nella zona aveva a disposizione ben 9 nidi. In un’altra evenienza una coppia nidificò su una cengia priva di materiale anche se aveva a disposizione ben tre nidi. Eccezionalmente l’Aquila può riadattare e rielaborare nidi di altre specie; p.e. Ruio (1992) documenta un caso in Sardegna di utilizzo di un nido di poiana in parete.
A proposito dell'attivazione di più nidi nell'ambito della stessa coppia di Aquila reale scrive Murgia (1993): "..Poiché tale operazione richiede da parte dell'uccello un enorme investimento di tempo e di energia, si ritiene che il ritorno di tale sforzo possa essere individuato nell'importanza che tali costruzioni assumono come indicatori di presenza di un territorio occupato".
I nidi vengono dunque riutilizzati anno dopo anno, anche se nel frattempo si verificano sostituzioni di uno o di entrambi gli individui della coppia. L’apporto di materiale trasportato con le zampe e talvolta anche con il becco, avviene molto tempo prima della nidificazione (sin dal periodo autunno-inverno) e si indirizza non solo verso il nido prescelto ma anche verso altri. L’apporto di materiale al nido, anche dopo l'inizio della cova, sembra connettersi, come abbiamo detto in precedenza, ad una rivendicazione di possesso e di controllo del territorio, nei confronti degli eventuali conspecifici o di probabili predatori. Le fronde verdeggianti sono inoltre utili per rinfrescare il nido, per riparare le prede non consumate subito dagli insetti necrofagi e dalle mosche e per ammorbidire la lettiera. Alcuni autori asseriscono che il fogliame verde ha anche lo scopo di mimetizzare meglio il nido; ciò è particolarmente vero per quei rapaci che nidificano in ambiente forestale (astore, sparviero, ecc.).
Tra il materiale apportato prevalgono rami secchi anche di notevole dimensione, raccolti a terra o anche asportati da arbusti o alberi. Oltre a questo materiale più grosso le Aquile utilizzano anche rami più piccoli e fogliame verde sia di latifoglie che di conifere (larice, pino silvestre, pino mugo, cembro, abete rosso, abete bianco, roverella, faggio, carpino, betulla, nocciolo, acero, ecc.). L’apporto di materiale verde o secco si protrae anche se la riproduzione per quell’anno è fallita o non iniziata affatto. I rami possono essere raccolti direttamente a terra, mentre alcune volte ho osservato l'Aquila posarsi su una pianta ed oscillare con energia sino a provocare la rottura del ramo prescelto. Spesse volte invece riesce a spezzarlo direttamente con la forza dell'impatto. Riassumendo le Aquile raccolgono i rami nel seguente modo:
- A terra, raccogliendoli semplicemente
- Strappandoli a volo con forza (freschi o secchi) da piante
- Con insistenza (ondeggiamenti sulle piante) per spezzarli.
Il nido nelle parti esterne si presenta grezzo, con grossa ramaglia intrecciata, mentre la lettiera centrale, leggermente concava, è più morbida, più curata e frequentemente rinnovata. Il materiale viene portato sia dal maschio che dalla femmina anche se questa sembra più attiva nell'opera di sistemazione dei rami all’interno del nido. Se un nido è stato approntato da poco tempo difficilmente sarà molto voluminoso mentre i nidi riutilizzati anno dopo anno raggiungono dimensioni ragguardevoli, sino ad avere uno spessore e una larghezza media di oltre 2 metri.
Nella taiga svedese sono stati rinvenuti nidi su albero dallo spessore di oltre 4 metri e dal peso di una tonnellata (Klaesson, 1985). Anche Love & Watson (1990) riportano casi di vecchi nidi su albero alti quasi cinque metri. In inverno con il forte vento e con il carico di neve un nido di tale grandezza o l’albero stesso, può anche crollare (Love & Watson, 1990). Nelle zone povere di vegetazione arborea (tundre nordiche e steppe dell'Est) i nidi spesso non sono molto voluminosi. A proposito della voluminosità dei nidi Ellis (1986 in Watson, 1997) ne descrive uno, nello stato del Montana, alto 6 metri collocato su una colonna di basalto, mentre Gordon (1955) nelle Higlands scozzesi registra il caso di un nido di 5 metri su un pino di Scozia. Tuttavia i casi citati sono delle eccezioni, poiché di norma le dimensioni tipiche sono di 0,5/1m di altezza con un diametro di 1-1,5 m il cui volume è indicativamente di 0,9-1,8 mq (Watson, 1997). Dove scarseggia il materiale legnoso le Aquile possono apportare anche grossi ciuffi d'erba. Alcune volte capita di osservare dei nidi che danno l'impressione di essere quasi sospesi (piccole cenge, sporgenze limitate, ubicati su cespugli abbarbicati nella roccia, ecc.); ovviamente i nidi più precari sono soggetti ad una maggiore usura. Se il nido viene costruito su un substrato obliquo (p.e. cengia), l’Aquila ottiene il piano colmando le differenze con la ramaglia.
Un’altro fattore che influenza la scelta dei nidi è il clima. L’eccessivo freddo può rappresentare un problema, come l’abbondanza della neve può determinare l’abbandono delle uova (Watson, 1997 – osservazione personale). Problemi anche con l’insolazione diretta e continua che può portare alla morte dei nidiacei. Da queste brevi considerazioni si evidenzia come l’orientamento dei nidi contribuisca a contrastare i fattori negativi, fattori che mutano a seconda delle localizzazione geografica del sito riproduttivo (Europa meridionale o settentrionale, Alaska, ecc.). In Scozia Watson (1997) ha analizzato 407 nidi ed ha ricavato dati molto interessanti.
In Norvegia ed in Svezia con nidi collocati ad altitudini di 500/600 m soggetti a tempo inclemente, prevalgono fortemente le esposizioni meridionali (Tjernberg, 1983 - Bergo 1984 in Watson, 1997). Nel sud dell’Europa l’alta altitudine dei siti di riproduzione nelle Alpi e nei Pirenei (1500/1800 m) favorisce l’esposizione a sud (Watson, 1997), mentre in Spagna, Italia (Appennini), Sicilia ed ex Jugoslavia, con altitudini prevalenti dei nidi di 600/900 m l’esposizione meridionale è in genere evitata. Pertanto dove il caldo è eccessivo così come l’insolazione, vi è una netta predominanza delle esposizioni a settentrione. Questa stessa tipologia si registra anche in Nordamerica (Watson, 1997). Per esempio in Alaska con il clima tendenzialmente freddo l’orientamento è prevalentemente a sud, mentre nello stato dell’Utah, in genere a clima caldo, l’esposizione dei nidi è a nord (Watson, 1997).
La necessità di proteggersi contro potenziali predatori, principalmente i mammiferi carnivori e l’uomo, è probabilmente il più importante fattore che influenza la scelta del sito riproduttivo di una coppia di Aquila reale. Le strutture create dall’uomo, come per esempio i nidi predisposti sui piloni elettrici, raramente vengono utilizzate dal rapace (Watson, 1997).
Il biotopo di nidificazione sulle Alpi oscilla tra i 1500 e i 1800 m, con punte estreme di circa 750 e 2350 m, mentre l'altitudine media risulta essere di circa 1680 m (Fasce & Fasce, 1992). Un nido a 2650 m è ubicato nel Parco Nazionale del Gran Paradiso ma non è stato più utilizzato dalla fine degli anni '50 (Framarin, 1986). Sugli Appennini invece esso oscilla tra i 250 e i 1500 m. (Borlenghi & Corsetti, in stampa). L’altitudine media di 42 nidi da me analizzati nell’Appennino centrale è risultata di circa 1170 m. In Sardegna la fascia altitudinale oscilla tra i 180 e i 1200 m (Fasce & Fasce, 1992), mentre in Sicilia tra i 910 e i 1980 m (Massa et al., 1984 in Fasce & Fasce, 1984). E’ di primaria importanza che i nidi siano ben protetti dagli agenti atmosferici e dall’eccessiva insolazione. Nella maggior parte dei casi, come accennato, il nido è su roccia, mentre raramente è su albero. In Europa continentale il 10% delle coppie di Aquila reale ne costruisce uno su tale struttura (Watson, 1997). Nell’arco alpino si conoscono 12 nidi su albero, tutti su conifera (Fasce & Fasce, 1992); nel resto d’Italia si registrano solo altri due casi certi in Sardegna (Murgia, 1993) e 1 dubbio nel Casentino (nido non più in essere). In Sicilia, in aggiunta, sull’Etna si registrano alcuni casi di nidificazione su albero (De Luca, Mannino & Pantò, 1990 - Ciaccio, 1991). Come accennato in precedenza nei territori svedesi gli alberi che accolgono il nido di Aquila reale hanno mediamente 300 anni di vita e in ogni caso raramente vengono colonizzati alberi sotto i 150/200 anni (Klaesson, 1985 – Tjernberg, 1983a). Infatti in quelle località occorrono almeno 2 secoli affinché la pianta divenga sufficientemente robusta per poter sostenere strutture così imponenti (Klaesson, 1985 - vedasi anche gli ottimi studi del citato Tjernberg, 1983a). Stessa situazione ho verificato in Finlandia. Tuttavia se si analizzano i territori nel particolare può accadere che il nido sul albero divenga la regola principale; esempi sono rappresentati dalla Svezia, dalla Finlandia e dall’ex Cecoslovacchia. In Estonia, addirittura, esistono solo nidi su albero (Watson, 1997).
Un nido su roccia ha ovviamente nel tempo una tenuta migliore rispetto a quello su albero. In genere sull'Appennino centrale la costruzione del nido avviene nei terzi superiori o medi delle pareti, con netta prevalenza di quelli superiori; il terzo inferiore viene usato solo quando l'inaccessibilità dal basso è del tutto evidente. Nelle Alpi occidentali possono essere ubicati da pochi metri dalla base della parete sin quasi alla sommità di essa (Fasce & Fasce, 1992). In Scozia mi è capitato di osservare diversi nidi attivi di Aquila reale “abbastanza” accessibili, lo stesso in Polonia. A volte si può passare a nidi collocati su pareti rocciose di modestissime estensioni (p.e. in Scozia di soli 40 m) a quelli che invece si inseriscono su grosse strutture rocciose (oltre 400 m in Norvegia) (Watson, 1997). Nel territorio italiano, la scarsa presenza dei siti di nidificazione su albero (nelle Alpi occidentali solo il 2% - Fasce & Fasce, 1992), è da attribuirsi oltre che alla notevole presenza di pareti rocciose, probabilmente anche dal fatto che in un clima caldo e assolato come quello della penisola, il nido su albero difficilmente offre garanzie contro il riscaldamento eccessivo dei raggi solari (Fasce & Fasce, 1992). Le coppie da me in genere seguite hanno in senso altitudinale i territori di caccia principali al di sopra dei nidi. Come già evidenziato, nella porzione della taiga svedese da me analizzata, dove insisteva una coppia di Aquila reale, non ho verificato questa evenienza per l’orografia poco accentuata di quel territorio. Viceversa, nel Parco Nazionale di Sarek (Svezia settentrionale), le Aquile hanno i nidi su pareti rocciose e la maggior parte del territorio di caccia è al di sopra di detti nidi.
In talune rarissime eccezioni l’Aquila reale può attivare anche un nido a terra (Watson, 1997). Infatti Newton (in Watson, 1997) cita un caso nelle Ebridi dove per molti anni una coppia utilizzò un nido approntato a terra, sicuramente perché il luogo era tranquillo e non aveva predatori terrestri. In altri casi, sempre molto rari, l’Aquila, come già accennato, può utilizzare supporti artificiali creati dall’uomo. Per esempio in Scozia su un albero o nel nord America su piloni elettrici (Watson, 1997).
In diverse occasioni ho avuto modo di osservare, durante il periodo di nidificazione, un Aquila reale strappare da un arbusto un grosso ramo, volteggiare a lungo con il ramo tra le zampe (anche di fronte ai nidi) per poi lasciarlo cadere d'improvviso nel vuoto senza un motivo apparente.
Su 32 riporti al nido catalogati (rami secchi e verdi), 19 volte fu ad opera della femmina e 13 del maschio (3 coppie). Ciò ovviamente non dimostra che sono sempre le femmine a portare più materiale al nido.
Le diverse tipologie di ubicazione dei nidi nell'ambito di pareti rocciose possono essere, per grandi linee, suddivise in chiuse e aperte. Quelle chiuse sono rappresentate dalla cavità e dalla nicchia, mentre quelle aperte dal terrazzino e dalla cengia. Mentre le prime garantiscono piena protezione al nido, le seconde spesso ne sono carenti. Più in particolare, seguendo le definizioni di Torbien & Cibien (1991), avremo:
- La cavità è in genere di grosse dimensioni e permette l'apporto di numeroso materiale al nido oltre che facilitare i movimenti dell'aquilotto.
- La nicchia invece è una cavità molto ristretta occupata quasi integralmente dalla ramaglia del nido.
- Il terrazzino è un piano roccioso abbastanza spazioso che si evidenzia da una parete a strapiombo.
- La cengia infine è una sorta di scalino orizzontale o leggermente obliquo che taglia la parete.
In aggiunta a queste tipologie di base, è opportuno ricordare che si registrano casi di nidi posti in posizioni miste o non definibili rigidamente secondo un preciso schema (per esempio nidi “incassati” in una strettoia di roccia a mo’ di imbuto o nidi collocati parte su una sporgenza rocciosa e parte sul tronco di una pianta emergente dalle rocce).
In generale sembra esserci una preferenza per i nidi protetti almeno in parte dalle intemperie. Infatti la nicchia e la cavità sembrano mantenere meglio la dispersione del calore, soprattutto durante la cova (oltre ovviamente a proteggere dalle intemperie). L'analisi notturna con i raggi infrarossi (esperienza personale), ha evidenziato chiaramente questo processo fisico. Probabilmente le Aquile che nidificano in nicchie e piccole cavità riescono a mantenere meglio il calore rispetto a quelle che covano in nidi più aperti (per esempio su un albero o su terrazzino scoperto). Su 42 nidi (tra attivi e abbandonati) da me analizzati in varie località dell’Appennino centrale, sono emersi i seguenti dati: Nicchia 8, Cengia 4, Terrazzino 12, Cavità 9, Misto 6, Altro 3. La protezione dalle intemperie è risultata la seguente: nidi protetti 21, parzialmente protetti 13, non protetti 8. L’altitudine media, 1170,47 (vedi prospetto sotto).
Come abbiamo visto la fase di ingresso ai nidi da parte dell'Aquila reale ha una frequenza che è correlata al periodo stagionale; è massima durante la cova e l'allevamento dei pulli, è minima nel periodo agosto-dicembre. Ma, già a partire dalla fine dell’autunno o dalle prime settimane invernali, il rapace arricchisce di materiale alcuni nidi sia per ristrutturarli, sia per sancirne il possesso. Durante il periodo di pre-allevamento l'Aquila frequenta infatti più nidi, anche se, come ovvio, sarà solo uno quello che verrà prescelto.
In talune circostanze accade che le Aquile frequentano assiduamente un nido preferenziale tanto da far supporre con largo anticipo la scelta del sito per quell'anno.
Come abbiamo visto l'ingresso ai nidi prima della deposizione viene effettuato già dai mesi invernali, ma non sempre viene apportato del materiale aggiuntivo (rami secchi o freschi). Ho infatti osservato, in tutte le coppie seguite, moltissimi rientri "scarichi" nei vari nidi; dai dati raccolti (76 rientri scarichi a fronte di 70 carichi) mi sembra che i rientri senza materiale siano maggiori degli altri (considerazione non generalizzabile da verificare ulteriormente).
La data più precoce dopo la stagione riproduttiva (aprile-agosto) in cui ho osservato rientri consistenti ai nidi con materiale legnoso è quella del 22 ottobre.
Riassunto tipologico di 42 nidi di Aquila reale nell’Appennino centrale
Dati indicativi, soggettivi e approssimati soprattutto per quanto attiene alle altitudini
N° Alt Esp Par Gr Col Ut Pi Ml Mi Pr Nota
1 1350 O I G N F Si A No No
2 1450 O-N-O S G C/T M No/Par A Si Si
3 1460 O S G N/Ca M/S Si A Par Par
4 1450 O S G T/A A No S Par Si
5 1200 O S G N F Si A Par Si
6 1420 E S G Ca M Si M Si Si
7 1150 N-E I G/M N S Si M Si Si
8 1200 S S M T/C S No S Par Si/par (nuovo)
9 1150 N-O S G N M Si M No Par
10 1200 N M G C S No S Si Si
11 1350 S S G C M No A Par Si
12 1250 N-O S G C/N S Par S Par Si
13 1400 N-E I M Ca A Si A Par Par
14 1000 S-O S P T A Par A No No
15 1150 N-O M Mi T F Par A Si Si
16 1200 O M Mi T S/M Par A Par No
17 1280 E S G N par A Par M No No
18 1400 S-E S G Ca A Si A Par Si
19 1250 S M Mi C A No A No No
20 1050 N-O I Mi A F No A Si Si
21 1000 O S/M P T M No A Par Si/Par
22* 1100 O M Mi A F Par A No Par
23* 1100 S-O I G T - No M No Par Danneggiato
24* 1400 N I M T M Par M Par Si
25* 1400 N I M T S Par S Si Si
26* 1350 N M M Ca F Si M Si Si
27* 1350 N-O M M T S Par M Par Si
28* 1350 N-O M M Ca S Si M Par Si
29* 700 O S P Ca A Si M Par Par
30* 1100 E S M Ca S Si M Si Si
31* 1250 S I G Ca S Si M Par Par
32* 950 E M M T S Par A No No
33* 950 N-E M M A F Par A No No
34* 750 E M P T A Par S Si Par
35 950 N-E M M N F Par M Si Si
36 1050 O S G T/C F Par A Par Si
37 1000 N-E M M Ca F Si A Si Par
38 850 N-O M M/P C M Par M Si Si
39 1100 O S M T S Si S Par No
40 1000 S S M N F Si M Si Par
41 1150 S-E I M N S Si S Si Si
42 950 N-E S G T M No M Par Par
Media altitudinale : 1170,47
Legenda
N: numero nido - Alt: altitudine (indicativa) - Esp: esposizione (Nord, Ovest, Sud, Est) - Par: posizione in parete S= terzo superiore; I= terzo inferiore; M= parte mediana - Gr: grandezza parete G= grande; M= media; P= piccola; Mi= minima - Col: tipologia del nido N= nicchia; C= cengia; T= terrazzino; Ca= cavità; A= altro - Ut: frequenza di utilizzazione F= frequente; S= scarsa; M= media; A= abbandonato - Pi: protezione dalle intemperie Par= parziale; Si; No - Ml: massa legnosa M= media; A= abbondante; S= scarsa - Mi: mimetismo del nido Par= parziale; Si; No - Pr: protezione dal disturbo Par= parziale; Si; No
*: a cura di Fabio Borlenghi
5.4. La deposizione delle uova
In Europa a seconda delle zone la deposizione delle uova avviene a partire dalla metà di marzo, sino ai primi di maggio. Occorre aggiungere che non si notano variazioni notevoli (max. 15-20 giorni) dalle predette date, anche con latitudini e con climi differenti. Una coppia da seguita nel centro-nord della Finlandia deponeva normalmente le uova intorno alla prima decade di aprile. Tuttavia a volte possono verificarsi differenze di inizio cova anche di 10-15 giorni tra coppie di Aquile stanziate in due territori limitrofi (osservazione personale). Le coppie da me in genere seguite depongono nel periodo compreso tra il 15/20 marzo ed i primi di aprile.
Nel periodo precedente la deposizione, la femmina dell'Aquila reale, come in altri rapaci, aumenta di peso. Queste riserve servono per consentire la deposizione e per garantire alla femmina una scorta di cibo di emergenza in caso di scarsità alimentare. In questa maniera la femmina può sostare costantemente nel nido, anche se il maschio in quel momento è in difficoltà nel procurare il cibo per esempio a causa del tempo avverso. Oltre all'aggiunta di peso, la femmina sviluppa nel ventre una "chiazza da cova" (area del ventre, con piumaggio ridotto all’occorrenza, particolarmente ricca di vasi sanguinei atta a trasferire efficacemente il calore alle uova).
In genere vengono deposte, ad intervallo di 3-5 giorni, 2 uova, raramente 1 o 3, mentre rientra nell’eccezionalità una deposizione di 4 uova. Alcuni autori affacciano l'ipotesi, per la verità non troppo accreditata, secondo cui la deposizione di 2 uova abbia lo scopo di garantire che almeno uno vada a buon fine. In generale le deposizioni più precoci finora registrate sono quelle avvenute ai primi di marzo, con successivo involo nella prima decade di luglio; quelle più tardive si sono verificate alla fine di aprile-inizio maggio con successivo involo intorno alla seconda quindicina di agosto. Sono segnalate anche covate di rimpiazzo avvenute nella fase iniziale della cova, ma ciò rientra nell’eccezionalità.
La deposizione dell’uovo da parte della femmina avviene in modo del tutto “tradizionale” in modalità simile ad altri uccelli. In una occasione osservai che la femmina attese più di un’ora prima di coprire le uova, mentre in un’altra si pose in posizione di cova dopo pochi minuti.
5.5. Le uova
Generalmente 2, raramente 1 o 3, deposte ad intervalli di 3-4 giorni. I dati specifici sono i seguenti:
Forma: tondeggiante.
Colorazione: opaca, biancastra a volte presenti macchiettature di marrone, rosso castano e grigio pallido. Possono esservi variazioni di colore tra le uova della stessa covata (Glutz et al., 1971). Le macchie sono generalmente piccole e possono essere abbondanti o assenti. La quantità di macchie può variare nelle uova della stessa covata tanto che a volte uno dei due non è macchiato (Harrison, 1988 - osservazione personale).
Misura: 76,7 x 59,4 mm (Harrison, 1988); Glutz et al. (1971, in Fasce & Fasce, 1992), riportano misure di 76,4 x 58,0 come media di 35 uova provenienti dalle Alpi svizzere e bavaresi. Cramp & Simmons (1980) riportano misure variabili tra 68-89 x 51-66 mm. Love & Watson (1990) su un campione di 100 uova di Aquile scozzesi hanno rilevato misure variabili da 70 a 89 mm di lunghezza e da 51 a 66 mm di larghezza. Le dimensioni di un terzo uovo di una covata da me direttamente rilevate erano di 75 x 55 mm.
Peso: oscilla tra 130 a 160 gr. con variazioni tra 113,4 e 176,6 (Grobbels, Kirchner & Mobert, 1936 in Glutz et al., 1971). In genere tale misure equivalgono a circa il 3% del peso della femmina (Love & Watson, 1990).
Su 12 uova osservate direttamente ho quasi sempre constatato una differenza di maculatura tra di esse. In due circostanze (due coppie) rilevai la deposizione di tre uova (evento raro).
Le uova delle Aquile, così come quelle degli altri rapaci, sono più grandi degli altri uccelli, in rapporto alle dimensioni corporee (Olsen, 1991). Una delle probabili ragioni risiede nel fatto che i rapaci crescono molto rapidamente tanto che lasciano il nido quasi completamente formati. Nell'Aquila reale in cinque settimane il pullo aumenta il proprio peso di ben 32 volte; un uovo più grande contiene un pulcino più grande che parte quindi in vantaggio. Tuttavia tra i rapaci le specie più grandi tendono ad avere in proporzione uova più piccole. Nell'Aquila reale ciascun uovo che depone rappresenta circa il 3% del peso corporeo della femmina (Olsen, 1991). Al contrario la piccola femmina del gheppio americano (Falco sparvierus) depone uova ciascuna delle quali rappresenta l'11% del suo peso corporeo (Olsen, 1991). Le uova di una stessa covata in genere hanno la stessa dimensione e peso. Tuttavia nell'Aquila reale come in molti altri rapaci a volte il secondo uovo è più piccolo del primo.
Uova abbandonate dalle Aquile possono essere predate dai corvidi, in particolare dal corvo imperiale.
A volte una o entrambe le uova della covata possono non schiudersi affatto (uova non fecondata-e, danneggiata-e, raffreddata-e, ecc.).
5.6. La cova
L’incubazione delle uova è una fase molto delicata che ogni uccello cerca di portare avanti nel migliore dei modi possibili. Le specie più grandi, come per esempio gli Avvoltoi, hanno una incubazione di oltre 50 giorni, e, per consentire l’involo del giovane nei propizi mesi estivi, effettuano la deposizione nel pieno dell’inverno (Gipeto, Grifone, ecc.). Accade quindi che la prima fase della cova possa essere resa più difficile dall’inclemenza del tempo. Eventuali lunghe assenze dal nido possono compromettere la riproduzione.
L’Aquila reale, da par suo, necessita di 43-45 giorni (nei territori nordici pare che l'incubazione è più breve di qualche giorno. Così infatti mi è capitato di osservare in Svezia e Finlandia settentrionale) una via di mezzo tra i rapaci più celeri (Falconiformi) e quelli più lenti (avvoltoi). La cova spetta quasi esclusivamente alla femmina, in quanto il maschio la sostituisce soltanto 1-2 volte al giorno (change-over) e per breve periodo (max. 2 ore) (possibili variazioni individuali dei tempi e dei modi di cova da parte del maschio in relazione alle località e alle singole coppie - Chiavetta, 1981); la cova notturna spetta esclusivamente alla femmina (osservazione personale non generalizzabile). I due membri della coppia non mostrano però un atteggiamento similare nella fase dell’incubazione delle uova. Infatti, la femmina durante la cova si posiziona con il corpo quanto più possibile abbassato ed esteso mantenendo la stessa posizione anche per diverse ore di seguito senza palesare momenti di irrequietezza o di spasimo; durante il giorno provvede a girare più volte le uova al fine di riscaldarle uniformemente. Il maschio, al contrario, quando dà il cambio alla femmina non si accovaccia sempre a dovere, cambia spesso l'assetto e quando la femmina torna al nido per dargli il cambio si fa trovare spesse volte già in piedi sul bordo del nido e, appena la femmina atterra, vola via. Alcune volte ho notato perfino che il maschio, avvistata la femmina in volo di rientro, andava via, senza attendere l’atterraggio della femmina. Diverso è invece il comportamento della femmina; quando il maschio le dà il cambio, essa è quasi riluttante ad abbandonare le uova, tanto che indugia alquanto prima di alzarsi. Tutte queste osservazioni sono confortate da quanto riportato da Fasce & Fasce (1984). Il cambio nella cova occorre alla femmina sia per alimentarsi con le prede catturate precedentemente dal maschio, sia per effettuare il moto necessario alla tonificazione della muscolatura. Non è comunque escluso che alcune volte sia la femmina stessa ad effettuare tentativi di caccia, del che ho avuto personale testimonianza quando mi è stata data l'occasione di osservare una femmina che, appena uscita dal nido, predava uno scoiattolo (Sciurus vulgaris).
Qualora uno dei partner dopo la deposizione delle uova viene improvvisamente a mancare, il superstite anche se maschio può per un certo periodo di tempo continuare la cova. MacNally (1977) riporta un caso di un maschio che continuò ad incubare le uova per molti giorni dopo che la compagna era stata uccisa.
Il periodo antecedente alla deposizione delle uova e successivamente quello dell'allevamento dei piccoli, è caratterizzato da una presenza evidente delle Aquile. Al contrario, quello dell'incubazione delle uova è molto più tranquillo e per molte ore di seguito nel nido regna la calma più assoluta. Nel corso di 8 anni, riferendomi a due coppie dell’Appennino centrale, il tempo minimo medio della durata dei cambi giornalieri è risultato di 15, 62 minuti, mentre quello massimo di 1,75 h (estremi: min. 0,12 h, max 2,44 h).
Può tuttavia accadere che, specie nei primi tempi della cova, e con buone condizioni atmosferiche, entrambi i partner lascino incustodito il nido per assentarsi anche per più di un’ora. Personalmente ho registrato una assenza di quasi 3 ore (il 12 aprile, Appennino centrale) in una giornata mite, senza che le uova abbiano subito alcun danno, tanto che alla metà di maggio esse giungevano regolarmente alla schiusa, come riportato nella tabella successiva. Molte volte ho anche osservato la femmina durante la cova lasciare il nido per fare un ampio giro perlustrativo di pochi minuti per poi rientrare e posizionarsi nuovamente in cova. Probabilmente si tratta di semplici voli per distendere la muscolatura e per allentare la fatica della cova. In quasi tutte le circostanze il tempo atmosferico si presentava mite e tranquillo. Alcune volte ho osservato l'Aquila in cova ritrarsi per qualche minuto sul fondo del nido (cavità) al riparo dai raggi diretti del sole per poi tornare regolarmente in cova.
Per quanto concerne l'alimentazione della coppia durante la cova, è consueto che il maschio, catturata una preda, la deponga su un posatoio non lontano dal nido affinché la femmina possa nutrirsi senza porre a rischio la covata (osservazione personale - Chiavetta, 1981). In una occasione ho osservato il maschio portare una piccola preda sul bordo del nido ed andare via. Dopo qualche minuto la femmina si alzò dalla posizione di cova e si alimentò per circa 20 minuti, quindi riprese la posizione di cova. Alcune volte la femmina, uscita dal nido, può essa stessa cercare di catturare una preda per alimentarsi.
5.7. L’allevamento
Come abbiamo già notato, intorno alla metà di maggio le uova si schiudono dopo 43-45 giorni di cova, ma non contemporaneamente in quanto la loro deposizione avviene con 3-5 giorni di intervallo. Più in generale la schiusa delle uova, a seconda delle zone, può oscillare tra l’ultima quindicina di aprile e la fine di maggio, nell’estremo nord anche qualche giorno dopo. Al termine dell'incubazione, il pulcino nell'uovo emette dei richiami per avvisare la femmina che la schiusa è imminente (Village, 1991). La rottura del guscio è molto laboriosa tanto che il pulcino deve faticare sino a 1-2 giorni, aiutato dallo speciale "dente da uovo" posto sulla punta del becco (Village, 1991). In questo momento critico la femmina vigila attentamente nel nido ed è raro che si allontani in questa fase; se deve alimentarsi può anche farlo nel nido stesso. Come negli altri rapaci i pulcini dell’Aquila reale sono nidicoli.
I pulli appena nati sono ricoperti di un candido e soffice piumino bianco; bisogna attendere una quindicina di giorni prima che le penne comincino a spuntare. Trascorsa una settimana, si sviluppa il secondo piumino che è più folto, vellutato, lanoso e ancora biancastro o leggermente rosato. Le remiganti e le timoniere sono le penne che compaiono per prime; le ultime, dopo circa 60-70 giorni, sono quelle del capo, del sottogola e dei calzoni. Appena nato un pullus pesa in media un centinaio di grammi.
Nei primi 15 giorni di vita la femmina copre accuratamente i pulli per proteggerli dalle intemperie ed anche dall’insolazione eccessiva che potrebbe disidratarli. Durante questo periodo essa lascia raramente il nido e quando lo fa è per brevissimo tempo. In questa fase la femmina si dispone in posizione analoga a quella della cova, ma leggermente rialzata e cambiando spesso posizione. Al momento del pasto si sposta leggermente e con estrema delicatezza provvede ad imboccare i pulli (la femmina spesso alimenta alternativamente i due pulli).
A volte sono 2 i pulli che nascono, ma nella maggior parte dei casi è uno solo quello che sopravviverà (80% dei casi in Europa - Chiavetta, 1981; 60-70% in altre zone). La morte di uno dei due pulli è da attribuire o al fratello più grande che lo debilita irreversibilmente con continue beccate (sindrome di Caino e Abele, detta anche "cainismo") o alla scarsità di prede cacciate dai genitori i quali alimentano prioritariamente il più forte dei due pulcini; il “cainismo” è più frequente quando tra i due vi è una notevole differenza di taglia, come si verifica nel caso che il primo nato sia una femmina e il secondo un maschio. Occorre tener presente che, a prescindere della differenza di sesso, v'è una differenza di età tra i pulli, in quanto, come abbiamo appena ricordato, le uova si schiudono con 3-5 giorni di differenza (schiusa asincrona). Se dunque il primogenito è una femmina e il secondo un maschio viene a crearsi un duplice handicap per il maschio giacché, alla taglia di per sé più grossa della femmina, si aggiunge l'effetto dovuto all'età maggiore. Nel caso di penuria di cibo infatti, il primo nato tenta di appropriarsi della maggior parte dell’alimento disponibile e, non saziandosi completamente, diviene particolarmente aggressivo nei confronti del fratello. Se però il secondogenito riesce a superare il periodo critico dei primi 20-30 giorni di vita, aumenta man mano le sue probabilità di sopravvivenza. Tuttavia non sono rari i casi che il secondogenito muoia addirittura ad oltre 30 giorni di vita (osservazione personale).
A riprova di quanto sottolineato in merito all'incidenza esercitata dalla carenza di cibo sul "cainismo" (Newton, 1979) le Aquile riescono a portare all'involo 2 aquilotti, in certi casi addirittura 3 (p.e. in Scozia, v. oltre). Secondo qualche Autore sembra tuttavia che le lotte fratricide possano verificarsi anche in presenza di cibo abbondante (Chiavetta, 1981). Si potrebbe anche ipotizzare, forse per assurdo, che la deposizione di due uova avviene affinché il secondo uovo, divenuto col tempo un pullo, si trasformi in vittima sacrificale, immolata sull'altare del "cainismo". In base alle mie osservazioni dirette, non mi è mai capitato di osservare il pullo morto essere utilizzato come fonte di cibo (osservazione non generalizzabile). E' interessante osservare che il fenomeno del cainismo, in forma più o meno accentuato, si verifica in tutte le sottospecie di Aquila reale ivi inclusa quella del Giappone (Aquila chrysaetos japonica) o del Nordamerica (Aquila chrysaetos canadensis). Tuttavia è mia opinione che l'aggressione del pullo maggiore nei riguardi del fratello è una pratica codificata geneticamente frutto del processo evolutivo; in altri termini il pullo istintivamente attacca sempre il fratello indipendentemente dalle disponibilità di cibo o sotto l'influenza di altri fattori. La carenza di cibo poi favorirà il maggiore perché è in grado di farsi avanti con maggior lena nei riguardi della madre che lo alimenta, ma certamente non influisce, almeno principalmente, sui suoi attacchi (ho osservato numerose aggressioni anche dopo che il pullo maggiore era stato abbondantemente alimentato). Se poi come abbiamo visto il secondogenito per tutta una serie di motivi supera la fase critica, la crescita di entrambi andrà di solito avanti senza problemi, anzi una volta involati i due fratelli saranno molto affiatati e legati tra loro. Probabilmente il "cainismo" della prima fase della vita si è determinato evolutivamente per assicurare la sopravvivenza quasi certa di almeno un pullo. In una occasione ho verificato la morte del 2° pullo ad età molto avanzata: 52 giorni (Appennino centrale). Un fatto davvero sorprendente. Infatti il secondogenito aveva superato molto bene le difficili fasi iniziali resistendo agli attacchi del fratello, ma purtroppo quando sembrava che tutto procedeva per il meglio d'improvviso è sopraggiunta la morte. L'aquilotto era quasi completamente impiumato anche se di dimensioni più piccole rispetto al maggiore; la causa effettiva della morte non fu accertata. In un’altra circostanza un pullo morì all’età di 44 giorni (Carpazi polacchi). I pulli morti nel nido soprattutto se piccoli in genere vengono allontanati dalla madre. Come detto, non mi risulta che vengano utilizzati come fonte di cibo, ma l’affermazione necessita di ulteriori verifiche. Quando si verificano siffatte cruente competizioni tra i pulli, la madre non interviene affatto per frenare l'impeto ma provvede amorevolmente a nutrire entrambi i contendenti anche se il più aggressivo farà la parte del leone. Su tre coppie di Aquila reale nell’Appennino centrale l’età media indicativa della durata della vita del 2° pullo da me calcolata, è stata rispettivamente di 12,6 - 9,5 - 10,5 giorni.
Occorre ricordare che in certe circostanze anche entrambe i pulli possono perire, soprattutto per mancanza di cibo. Gordon (1955, in Fasce & Fasce, 1992) asserisce che in passato in Scozia non erano infrequenti involi con 3 giovani (attualmente invece l’evento è molto più raro). Si registra anche un caso nel Vallese (Praz & Fellay, 1974 in Fasce & Fasce, 1992) e in Spagna nella sierra di Càceres (Delibes & Calderon, 1977 in Fasce & Fasce, 1992). Chiavetta (1981) afferma che certe coppie hanno la tendenza ad allevare quasi sempre due pulli, mentre altre alternano la riproduzione ed altre ancora lo fanno ogni 3-4 anni. In Finlandia, una coppia da me spesso seguita, in sette anni ha nidificato un anno si e un anno no.
Quando, come abbiamo precedentemente osservato, la femmina, provvede a proteggere con il proprio corpo i pulli, nonché ad imboccarli con cura durante i loro primi 15 giorni di vita, è il maschio che si dedica interamente alla caccia per alimentare gli aquilotti, oltre che sé stesso e la femmina. La protezione della femmina, esercitata con il corpo e con le ali semi aperte, si esercita non solo se il tempo è avverso (vento, pioggia, freddo, ecc.), ma anche quando il sole diretto batte sul pullo; infatti non riuscendo ancora a termoregolarsi autonomamente, il pullo potrebbe morire disidratato. Si sono infatti registrati decessi di pulli appena nati lasciati incustoditi al sole in quanto la madre era stata costretta ad abbandonare il nido perché fortemente disturbata. Il controllo continuo della femmina durante i primi giorni di vita dei nidiacei è esercitato anche per la protezione da eventuali predatori. Man mano che passano i giorni anche la femmina incomincia ad allontanarsi dal nido con frequenza crescente per provvedere più volte al giorno ad alimentare adeguatamente la prole tanto che può già assentarsi per molte ore e a volte anche per mezza giornata. Tuttavia se il tempo è inclemente spesso si posiziona sul bordo del nido per proteggere e vigilare i pulli. Durante queste visite la femmina provvede anche a pulire il nido da resti vari o da avanzi di prede (ossa, interiore, ciocche di peli, piume e penne, ecc.). Il maschio si limita quasi sempre a deporre la preda sul bordo del nido senza preoccuparsi di alimentare l’aquilotto; non è tra l'altro in grado di farlo con i dovuti accorgimenti perché è solito offrire, quelle rare volte che accade, al pullo pezzi di carne troppo grossi o presentati male. Se durante la prima fase dell’allevamento viene a mancare la femmina, difficilmente il pullo riuscirà a sopravvivere, nonostante che il maschio si premuri di rifornire il nido di ogni sorta di prede. Si sono verificati casi di pulli morti di inedia pur essendo circondati da carcasse intere di prede, in quanto che venuta a mancare la madre, il maschio non era stato in grado di imboccarli adeguatamente. In una occasione in un sito riproduttivo siciliano, è stato osservato un maschio immaturo di Aquila reale, collaborare attivamente nell'allevamento del nidiaceo essendo deceduto il maschio adulto della coppia. Grazie a questo comportamento l'allevamento andò a buon fine (Salvo, 1993). Questa osservazione è molto interessante e rappresenta certamente un evento raro. Il maschio immaturo si legò definitivamente con la femmina adulta anche se nel successivo allevamento la nidificazione non andò in porto, probabilmente per l'immaturità sessuale del maschio (Salvo, 1993). Tuttavia se il maschio viene a mancare nell’ultimo periodo della nidificazione con il pullo nel nido di almeno 50-60 giorni, probabilmente l’allevamento potrebbe andare a buon fine. Inoltre se l’aquilotto è sufficientemente grande da non necessitare una protezione diretta dagli agenti negativi ed è peraltro in grado di alimentarsi da solo, può ovviamente sopravvivere ugualmente a patto che il genitore superstite sia in grado di procuragli l’alimento.
Nei suoi primi giorni di vita l'aquilotto non è capace di reggersi in piedi, per cui trascorre gran parte del suo tempo accovacciato e sonnecchiando; si scuote tuttavia dal suo torpore quando deve defecare, giacché - molto attento a non imbrattare il nido - si gira verso l’esterno e con un energico schizzo proietta all'esterno lo sterco biancastro e quasi liquido, le cui tracce sono visibili intorno al nido o sul terreno sottostante. Il pullo di 15-20 giorni è già in grado di pulirsi scrupolosamente il piumino o stirarsi con le ali. Personalmente ho osservato molte volte l'aquilotto svegliarsi dopo un lungo riposo, stirare adeguatamente le membra per poi fare "pulizia" con il becco in varie parti del corpo. Quando è molto piccolo (primi giorni) è la madre a provvedere a "spulciarlo". Molte volte ho osservato il pullo di 15-20 giorni rimanere del tutto indifferente sia all’ingresso della madre nel nido e sia se quest’ultima gli offriva del cibo in quanto probabilmente il pullo non era affamato. Nella maggior parte dei casi invece alla presenza della madre e in particolar modo dinanzi alle sue offerte alimentari il piccolo aquilotto tentava sempre di sollevarsi almeno leggermente sulle zampe, riuscendovi però solo parzialmente. Inoltre soprattutto quando il pullo è piccolo la madre nel nido si muove con estrema cautela come in una ripresa televisiva al rallentatore onde evitare di ferire il piccolo o i piccoli con gli enormi artigli di cui è dotata.
Dagli appunti di campo: "Oggi è una giornata molto calda, anche se siamo ancora al 16 maggio. Nel nido della coppia di Aquila reale del Monte Maggiore i pulli hanno ormai 8-10 giorni e la femmina li accudisce con scrupolosa attenzione. Alle 11,20 esce dal nido e si congiunge in volteggio con il maschio che nel frattempo era apparso sull'apice delle pareti frontali. Scomparsi entrambi alla vista per una decina di minuti, riappaiono d'improvviso sulla mia verticale a distanza ravvicinata tanto che ad occhio nudo riesco a discernere tra le zampe del maschio un grosso serpente appena predato. Dopo un ulteriore volteggio con una veloce e risoluta scivolata le due Aquile si dirigono verso il nido approdando di li a poco sul bordo. Il maschio, lasciata la preda, vola subito via. La femmina invece, trascorsi un paio di minuti, incomincia ad alimentare i pulli......". Gli appunti testé riportati descrivono il caso molto spettacolare del rientro congiunto al nido di entrambi i partner della coppia; rientri congiunti vengono effettuati anche prima della deposizione, a volte senza materiale. In un'altra occasione invece una preda catturata poco prima dal maschio e lasciata da quest'ultimo su uno spuntone roccioso, fu raccolto dalla femmina che la portò al nido dove era presente un pullo di 20-25 giorni.
Come abbiamo visto in precedenza, durante il periodo riproduttivo si nota un particolare accorgimento delle Aquile nella fase di rientro al nido; questa avviene infatti con la massima circospezione, spesso utilizzando traiettorie laterali che sfiorano le rocce, al fine di mimetizzarsi nell'ambiente e sfuggire all'attenzione dei potenziali nemici. Il mimetismo è peraltro in stretta relazione al periodo riproduttivo: durante la prima fase di cova i rientri sono più "spensierati", mentre con la nascita del pullo i rientri sono in genere più guardinghi e quindi più mimetici.
Quando hanno 40-45 giorni di vita gli aquilotti assumono per così dire l'aspetto di adulto: sono ben impiumati ed ostentano un gran dinamismo; ora tentano di nutrirsi da soli strappando maldestramente brandelli di carne dalle prede, nonostante che la madre si dia un gran da fare per provvedere all’imbeccata (alcune volte ho osservato pulli di 30-35 giorni tentare già di nutrirsi da soli). L'assolvimento di tale incombenza ha due varianti: la madre dà i bocconi al pullo man mano che li strappa dalla preda, altre volte invece, più raramente, come ho personalmente osservato, dapprima strappa alcuni pezzettini di carne, li depone dinanzi a sé, poi incomincia ad imbeccare. Soprattutto quando il pullo è sazio o stenta a mangiare non è raro vedere la madre mangiare anch’essa qualcosa al nido. Anche i più piccoli pezzettini di carne che il pullo non ingoia e fa cadere ai suoi piedi vengono scrupolosamente raccolti dalla madre per essere riofferti al pullo o mangiati direttamente. Occorre aggiungere che a volte l’alimentazione del pullo può protrarsi anche per un’ora. In questo periodo gli aquilotti incominciano sporadicamente a battere le ali per sviluppare la muscolatura. Altra peculiarità dell'aquilotto nel nido consiste nel suo essere particolarmente vocifero; chiama continuamente i genitori, specie quando sono in volo nelle vicinanze del nido e il suo richiamo si fa più insistente quando è affamato. Alcune volte può accadere che per l’intera giornata i genitori non riescano a riportare nulla al nido, ma in ogni caso l’aquilotto non rimarrà digiuno perché potrà alimentarsi quasi sicuramente con qualche resto ancora presente nel nido. Infatti in diverse circostanze ho osservato aquilotti lasciati a "digiuno" per molte ore o addirittura per l'intera giornata, nutrirsi di tanto in tanto con vecchie prede depositate nel nido; ciò accade soprattutto se il tempo avverso o altro fattore impedisce o limita l'attività venatoria degli adulti. Se l’aquilotto non è ancora in grado di alimentarsi ovviamente provvede la madre con lo stesso sistema. Anche in questo periodo di sviluppo la maggior parte della giornata viene trascorsa dal pullo in totale riposo; si sposta di tanto in tanto all’interno del nido e si ripara nel fondo della cavità durante le ore più calde. Quando i pulli sono due e si alimentano da soli con una preda portata dai genitori, possono attivare una certa competizione tra di loro. Se la fame è molta il pasto potrebbe consumarsi con una certa agitazione. Piccole dispute possono aver luogo anche per altri motivi. Per esempio una volta osservai il pullo maggiore guadagnare l'unico posto in ombra presente nel nido non prima di avervi scacciato con decisione il fratello minore. In certe occasioni il secondogenito se ben cresciuto (> 40 gg) può rivelarsi molto attivo nel "farsi avanti" quando i genitori portano del cibo al nido. Quando piove o picchia il forte sole estivo se nel nido vi è una zona protetta almeno in parte il pullo anche se di poche settimane vi si posiziona senza indugio.
A 60 giorni il pullo è del tutto impiumato, ad eccezione delle penne della testa, del sottocoda e dei calzoni. Già mangia da solo, anche se eccezionalmente la femmina può ancora imboccarlo, come ho avuto occasione di constatare in poche circostanze. Anche in questa fase può accadere di osservare la femmina che provvede ad alimentarsi all'interno del nido anche per lungo tempo tanto che in una occasione lo fece per più di un'ora. Non è raro osservare il pullo mentre svolge l’attività di preening, che consiste nell'ispezionare il piumaggio mediante il becco per liberarsi dai parassiti, da corpi estranei, nonché per ordinare le penne e le piume. L’attività di preening, come accennato, riguarda anche gli adulti che hanno bisogno di tenere il proprio piumaggio sempre in ordine e pulito ai fini dell'efficienza del volo. In molte occasioni mi è capitato osservare la femmina volare dal nido per posizionarsi a poche decine di metri da esso su una roccia o su altro idoneo appoggio. In una occasione rimase in tale posizione per ben 4 ore; le uniche attività che esibiva erano la pulizia del piumaggio e le osservazioni del territorio circostante. Inutile dire che non di rado ho registrato il “disturbo” (mobbing) di altri uccelli (gheppio, cornacchia, corvo imperiale, ghiandaia, gracchio corallino e alpino, ecc.).
L’apporto di cibo al nido aumenta progressivamente a partire dal primo giorno di vita del pullo, sino a toccare il massimo intorno alle 6-8 settimane; decresce poi nelle ultime settimane, sino a cessare quasi del tutto negli ultimi giorni di permanenza del pullo nel nido; ciò servirebbe secondo alcuni a ridurre il peso dell'aquilotto e renderlo più atto al volo, secondo altri per spingere il giovane affamato ad involarsi alla ricerca di prede. Durante l’ultimo periodo di permanenza al nido si nota che quando i genitori apportano qualche preda, l’aquilotto a volte se ne impossessa con prepotenza come per contenderla ai genitori e, nel proteggere la conquista, arruffa le penne e allarga le ali. In contrasto a quanto asserito da alcuni (ovviamente non in assoluto), debbo tuttavia sottolineare che durante le mie osservazioni personali ho potuto notare più di una volta che l’apporto di prede al nido si protraeva sino al giorno prima dell’involo dell'aquilotto, anche se con menù piuttosto spartano, costituito più che altro da arvicole e ramarri. In due occasioni addirittura ho constatato che un aquilotto venne alimentato sino a due ore prima dell’involo con due prede, un rettile prima, una arvicola dopo. Quanto affermato ovviamente non esclude il fatto che nella maggior parte dei casi gli aquilotti non vengano alimentati nei giorni prossimi all'involo (spesso i genitori depongono qualche preda fuori dal nido per invogliare il giovane ad involarsi). In molte occasioni ho costatato durante gli ultimi giorni di permanenza del giovane nel nido numerosi rientri dei genitori senza apportare prede; forse erano dei tentativi per stimolarlo ad involarsi (la teoria della mancanza della fornitura delle prede negli ultimi giorni precedenti l’involo dovrebbe essere confermata con certezza). Pedrini (1987) asserisce che il picco massimo alimento consegnato al nido per giorno avviene tra la sesta e l’ottava settimana con 2,6 prede, per poi diminuire progressivamente sino a 0,7 poco prima dell’involo, cioè intorno alla decima settimana.
Intorno ai 70 giorni l’aquilotto, pronto per l'involo, è quasi completamente sviluppato e impiumato dalla classica livrea di colore marrone scuro, quasi nero, con vistose macchie bianche nella coda e sulle ali. Per dovere di cronaca ricordiamo che mi è capitato di osservare giovani che si involavano con i calzoni ancora bianchi. Dopo l'involo si accrescerà di poco e soprattutto svilupperà e tonificherà la muscolatura.
Come abbiamo visto la frequenza con cui vengono alimentati i pulli nel nido varia a seconda del periodo considerato; durante i primi 15-20 giorni la femmina li protegge continuamente con il corpo e li alimenta in media 2-3 volte al giorno con una certa regolarità. Quando il pullo superstite cresce, ma ancora non sa alimentarsi da solo, la femmina si allontana sempre più dal nido, per reperire le prede che vengono portate al nido con una frequenza media di 2-4 volte al giorno con estremi di 1-5. Fasce & Fasce (1984) asseriscono che in questa fase i rientri al nido dei due genitori con o senza prede può arrivare fino a 15 volte al giorno. Quando il pullo è ben sviluppato e riesce ad alimentarsi da solo le prede portate al nido oscillano da 1 a 3 (dati solo indicativi). Gli ultimi giorni di presenza del pullo nel nido sono caratterizzati in genere da una brusca diminuzione dell'apporto alimentare. Quando gli adulti portano una preda al nido hanno ovviamente atteggiamenti diversi a seconda dell'età del pullo. Infatti quando il nidiaceo non è ancora in grado di alimentarsi da solo, il genitore, se è la madre, deposita la preda nel nido e non vola via perché deve alimentare il pullo. Viceversa, come è intuitivo, se l'aquilotto è in grado di alimentarsi da solo, salvo eccezioni, non appena lasciata la preda l'adulto si allontana prontamente. Nel caso del maschio non essendo questo in grado di alimentare il pullo in qualsiasi fase dello sviluppo del nidiaceo suole semplicemente lasciare la preda e volare via.
Prospetto riassuntivo dello sviluppo del pullus dell’Aquila reale
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1. A pochi giorni dalla schiusa è ricoperto dal candido piumino bianco; rimane in assetto accovacciato.
2. A quindici giorni ha già sostituito completamente il primo piumino con un secondo; si alza sulle gambe.
3. A trenta giorni comincia ad essere parzialmente impiumato e si sposta nel nido con disinvoltura. Emette il tipico richiamo. Primi tentativi maldestri di strappare la carne da solo.
4. A quaranta giorni è notevolmente scurito sulle ali su parte della coda e sulla groppa; si muove frequentemente cercando le posizioni migliori. Primi tentativi di alimentazione autonoma.
5. A cinquanta-cinquantacinque giorni incomincia ad alimentarsi da solo con disinvoltura e compie già qualche esercizio di volo.
6. A sessanta giorni l'impiumatura è completa, ad eccezione di quella che riguarda la testa, la gola, i calzoni e parte del petto, ove è peraltro in via di definizione. Si pone spesso sul bordo del nido chiamando i genitori, mangia a volte da solo, intensifica gli esercizi di volo.
7. A settanta-settantacinque giorni è completamente impiumato, ed ha perciò assunto la tipica colorazione del giovane. Pronto all'involo, si tiene quasi sempre sul bordo del nido e batte frequentemente le ali.
8. Dopo i settanta-settantacinque giorni si invola (63-83/85 gg. date estreme)
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5.8. L’involo e la vita autonoma del giovane
Nei giorni che precedono immediatamente l’involo, l’aquilotto è irrequieto, batte spesso le ali con forza, alzandosi anche per qualche istante da terra. Mi è capitato di osservare però aquilotti che sino al giorno precedente l’involo si mantenevano abbastanza tranquilli con pochi battiti alari e non lasciavano affatto presagire l’imminenza dell’evento. Dalla metà di luglio sino alla prima decade di agosto, a seconda delle zone e a seconda della data di inizio della cova, giunge il gran momento dell’involo. Un battito d’ali più forte, uno slancio nel vuoto, ed ecco che l’aquilotto si trova sospeso in aria nell'ebbrezza del volo, ma si tratta - quasi sempre - di un volo di breve durata che si conclude con un atterraggio alquanto goffo. Durante questo periodo l'aquilotto ama rimanere per lunghe ore posato su una roccia o su altra sporgenza, facendo sentire ripetutamente il richiamo, specie se avvista i genitori dai quali attende qualche preda. A volte mi è capitato di osservare l'aquilotto che tenta di ritornare nel nido; in una siffatta circostanza ho assistito all'involo di un aquilotto che, posatosi per un po' su un pendio erboso poco distante dal nido, ritornò in quest’ultimo dopo circa dieci minuti, per ripartirne dopo una breve sosta. Alcune volte può accadere di osservare l'aquilotto appena involato spostarsi per qualche metro camminando goffamente e con indecisione.
Per coloro che seguono con solerzia e con apprensione le sorti del giovane durante tutto il suo sviluppo all’interno del nido, il momento dell’involo e il conseguente abbandono del nido è fonte di una contenuta tristezza. Ricordo in proposito le parole appropriate di Ragni (1976): “...A vedere quel nido abbandonato, così familiare e conosciuto, che ho osservato per ore e ore in tutte le condizioni di tempo, di luce, di stato d’animo, sento un po’ di tristezza, è come il termine di una bella storia. E' vero che ne comincia un’altra, forse più bella e avventurosa, ma potrò mai vederla, conoscerla, seguirla come questa? E poi, la cosa più importante, sarà a lieto fine come questa? E' forse questa incertezza che rende triste, più desolante, quel nido vuoto.....”.
Come già accennato, l’involo avviene generalmente intorno ai 65-75 giorni dalla nascita, anche se ho avuto occasione di registrare un involo a 80 giorni e un altro a 83/85 giorni di età. L’involo di due aquilotti spesso avviene separatamente anche a diversi giorni l’uno dall’altro; quando ciò accade il 2° pullo è maggiormente stimolato ad abbandonare il nido non solo per i tempi maturi ma anche per l'involo del fratello. In una occasione, il secondogenito della coppia insediata sui Monti Tatra polacchi, si involò tra giorni dopo il fratello.
Una volta involato il giovane dovrà apprendere le tecniche di volo e di caccia, avendo a modello i genitori, ai quali rimarrà legato a volte sino alla successiva stagione riproduttiva. La dipendenza dai genitori, per quanto concerne il cibo, si protrae sino all’autunno (settembre-ottobre), mentre la padronanza del volo si sviluppa rapidamente, tanto che ad un mese dall’involo già l'aquilotto è padrone dell’aria anzi ad onor del vero già dopo pochi giorni acquista una buona pratica del volo. In questo periodo sono molto vociferi emettendo il classico richiamo anche quando in volo inseguono i genitori. Oltre che essere legati ai genitori essi lo sono anche con il territorio di origine. Giovani appena involati privati dei genitori non hanno praticamente possibilità di sopravvivenza. Chiavetta (1981) afferma che un giovane di Aquila reale deve compiere un apprendistato venatorio di almeno 3-4 mesi, meno per gli esemplari stanziati nelle regioni settentrionali del pianeta. In Finlandia infatti, mi è parso di verificare proprio quest’ultima evenienza.
Da quanto mi è stato dato di osservare sul campo ho constatato che nella mia zona (Appennino centrale) l'allontanamento dei giovani da parte dei genitori avviene quasi sempre pochi giorni prima dell'inizio della nuova nidificazione. In genere l'allontanamento può avvenire già a partire da dicembre-gennaio, ma da quanto mi risulta direttamente ciò è avvenuto in una sola circostanza. Infatti in un anno registrai un allontanamento definitivo sin dal mese di dicembre, ma occorre dire che in quella occasione la femmina adulta della coppia, cioè la madre dell’aquilotto, fu sostituita per una presunta morte da un soggetto subadulto (3 anni circa). Forse questo cambiamento ha influito sull’allontanamento precoce (ipotesi da verificare). In due occasioni ho invece visto il giovane dell'anno allontanato poche ore prima della deposizione; in un caso il giovane fu addirittura allontanato a giugno in quanto quell'anno la coppia non nidificò. Se infatti la nidificazione non avviene il giovane dell'anno può rimanere con i genitori sino all'anno successivo (anche 15-18 mesi dopo l'involo).
In linea generale occorre osservare che più i giovani vengono allontanati presto, per esempio in dicembre, e più aumentano le percentuali di morte del giovane nel corso del primo anno di vita; invece, i giovani allontanati nella primavera, hanno una maggiore probabilità di sopravvivere in quanto hanno più esperienza, sono più maturi e soprattutto vanno verso la stagione più favorevole alla predazione e alle altre incombenze vitali.
L’età media complessiva dei giovani involati da quattro coppie seguite dallo scrivente (Appennino centrale), è stata di 76,6 giorni ca.. Tale media scende a 71,4 nel territorio polacco/slovacco (3 coppie dei Carpazi). In Finlandia su due coppie ho potuto calcolare una media di 69,4.
Il periodo riproduttivo di alcune coppie da me attivamente seguite nell’Appennino centrale si sviluppa dalla fine di marzo-inizio aprile alla fine di luglio-inizio agosto. I dati estremi dell’inizio cova e dell’involo del giovane delle coppie citate sono i seguenti:
inizio cova più precoce: 12-16 marzo
inizio cova più tardivo: 4 aprile
involo più tardivo: 8 agosto
involo più precoce: 10/11 luglio
A volte il giovane allontanato, può rimanere più o meno a lungo nei dintorni o nei limiti esterni dell’home range della coppia tanto che la presenza sembra tollerata (da verificare ulteriormente). In una occasione registrai per più volte la presenza del giovane dell’anno nei pressi del nido nel quale la madre era in cova. La femmina si limitò a compiere dei semplici voli a festoni senza nessun attacco diretto.
Se è vero che il giovane dopo l’involo viene alimentato (non imboccato però!) per un certo periodo dai genitori, è anche vero che nel frattempo l'aquilotto deve apprendere le tecniche di caccia attraverso le seguenti mediazioni:
Apprendimento visivo. Il giovane osserva i genitori nella fase della caccia e fa tesoro degli insegnamenti che ne trae. Per osservare i genitori nelle fasi di caccia a volte si apposta su un posatoio dominante, spesso invece li segue a brevissima distanza emettendo quasi di continuo il richiamo (kiok, kiok, kiok, kiok). Non si esclude che il comportamento alquanto invadente in queste circostanze possa ostacolare il successo della caccia, a meno che non si tratti di una finta esibizione da parte dei genitori.
Apprendimento collaborativo. Il giovane partecipa, unitamente ad uno, o anche ad entrambi i genitori, alle fasi di caccia, esibendosi nei primi tentativi che all'inizio registrano un'alta percentuale di insuccessi (oltre l’80-90%). Questa è una fase molto importante perché il giovane comincia a fare esperienze dirette con i primi rudimenti delle complesse tecniche venatorie.
Tentativi diretti. Il giovane caccia da solo e si rende un po' alla volta padrone delle tecniche di caccia nelle quali potrà eccellere dopo aver esperito numerosi tentativi. Tuttavia solo dopo molto tempo sarà in grado di cacciare ottimamente.
Nel corso della mia esperienza ho avuto modo di poter seguire direttamente un tentativo infruttuoso di caccia di un giovane in collaborazione con il genitore maschio. Ecco la successione delle immagini: il maschio adulto sfiora a volo radente le pendici di una valle mentre il giovane (femmina) lo segue a breve distanza, leggermente più in quota; improvvisamente il maschio, stanata da un basso cespuglio una lepre (Lepus europaeus) che schizza via fulmineamente, vira di colpo lasciando la preda al giovane che si abbassa di quota per ghermirla con i suoi poderosi artigli; ma la lepre riesce a invertire repentinamente la propria direzione e la presa del giovane va a vuoto.
In un’altra circostanza, certamente più felice per il giovane, questo è riuscito sotto i miei occhi a conseguire un brillante successo a spese di un gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax). Mentre la giovane Aquila è in volo in prossimità di una cresta si imbatte in due gracchi che sbucano d’improvviso e, com'è loro costume picchiano sul rapace. Dopo numerose picchiate, il giovane maschio di Aquila vira all'improvviso verso destra, anticipando di qualche istante la picchiata del corvide; il gracchio arriva “lungo” e si trova così al di sotto dell’Aquila che prontamente si abbassa di quota e ghermisce con forza.
Occorre ricordare altresì che a volte la cattura di animali domestici, quali le galline, rappresenta un buon allenamento venatorio per il giovane, né può essere taciuto che questo mostra a volte, come già accennato, una certa aggressività nei confronti dei genitori che lo riforniscono di cibo dopo l'involo, impossessandosi con impazienza della preda che poi difende abbassando le ali e arruffando le penne.
Prima di riuscire ad acquisire una sufficiente esperienza di base nell'arte venatoria, il giovane impiega almeno 4-5 mesi; nelle regioni nordiche, come detto, l'apprendistato dei giovani dura di meno (osservazione personale - Chiavetta, 1981). Appena viene allontanato dai genitori dal proprio territorio di nascita il giovane deve fare appello esclusivamente alle proprie forze, in nuovi territori in genere pieni di insidie e di difficoltà tanto che questa fase è molto delicata per la sopravvivenza della giovane Aquila, come comprovano le statistiche da cui risulta che la maggior parte dei decessi avviene proprio durante il primo anno di vita con una percentuale di oltre il 60-70% (Brown & Watson, 1964 - Fasce & Fasce, 1984). La non conoscenza del territorio, la limitata esperienza venatoria, in aggiunta ai fattori negativi antropici, sono all'origine della maggior parte di queste morti.
Quale sorte attende il povero aquilotto ormai "orfanizzato"? Quale parte potrà recitare all'interno dell'incessante dialettica della natura? Avrà un ruolo da protagonista? Ebbene, la presenza di Aquile isolate è di grande utilità per l’equilibrio e lo sviluppo delle popolazioni della specie in quanto gli inquieti "trovatori", intenti alla continua ricerca di territori ancora liberi, sono sempre pronti a riempire i vuoti che si creano all'interno della coppia. In questa maniera i territori occupati permangono attivi, a meno che non intervengano fattori esterni distruttivi quali l'antropizzazione del territorio, il bracconaggio diffuso, ecc. In questa prima fase aumentano i rischi per il giovane di Aquila a causa del suo comportamento alquanto “confidenziale” nei confronti dell'uomo, di cui non riesce nemmeno ad immaginare il potenziale distruttivo. Dagli appunti di campo: "Vola aquilotto libero, il tuo spirito non è vincolato agli archetipi della complessa e falsa società umana. Non troverai sul tuo cammino l'alienazione del lavoro e del denaro. Non avrai bisogno delle tante false necessità di cui l'uomo ne è prigioniero. Il cielo, il vento, le rocce saranno il tuo contorno e vivrai spontaneamente secondo lo spirito di naturalezza. Vola libero aquilotto e ti auguro una lunga vita con la speranza di non incontrare mai la mano diabolica dell'uomo, la sola in grado di ghermire la tua libertà. L'uomo è prigioniero delle sue catene ed inevitabilmente invidia e distrugge tutto ciò che ha ormai perduto. Addio aquilotto, vola libero e gentile!".
L'esperienza costituirà comunque un ruolo determinante per la formazione dell'aquilotto che giorno dopo giorno farà progressi nella pratica del volo e della caccia ed affinerà soprattutto la capacità di intuire e sventare la insidie e gli inganni che si connettono alla lotta per la sopravvivenza.
Gli immaturi e i maturi non accoppiati, e perciò non legati ad un territorio, vagano in continuazione compiendo anche spostamenti ragguardevoli come specialmente accade nei Paesi nordici. Per esempio esemplari originari delle Alpi possono raggiungere la Francia o la parte meridionale della ex Jugoslavia, percorrendo oltre 900 chilometri (Baumgartner, 1988). Questo girovagare comporta un ovvio aumento dei rischi di sopravvivenza, connessi più che altro alla non conoscenza dei territori e alla presenza antropica che rimane la principale causa della distruzione diretta ed indiretta delle Aquile. Molto alta è anche la percentuale di giovani morti per fame, soprattutto quando si muovono in ambiente ipotrofici che per di più non conoscono a sufficienza. Nel territorio centroeuropeo nove giovani Aquile su dieci (90%) muoiono prima di compiere i quattro anni di vita (Baumgartner, 1988). Questa considerazione è avallata anche da altri Autori (Fasce & Fasce, 1984 - Brown & Watson, 1964, ecc.) con piccole variazioni percentuali (75/80%).
Si osserva altresì che il rapporto di coppia può istituirsi anche tra individui subadulti o tra un immaturo e un adulto, ed è ovvio che in questi casi la coppia non potrà riprodursi fino a quando permarrà la immaturità sessuale dei soggetti.
Alcune volte può accadere di osservare un certo numero di esemplari di Aquila reale nella stessa località. Si tratta di aggregazioni casuali di giovani erratici in cerca di territorio. Questi individui non hanno però alcun legame tra loro tanto che dopo qualche giorno si disperdono autonomamente.
Per concludere occorre sottolineare che la competizione territoriale tra le varie coppie è importante perché evita il rischio di sovrannumero nelle singole zone.
Al termine di questo capitolo si deve rivolgere una vivissima preghiera ai lettori e, per quanto possa risultare realistico che l'opera abbia un'eco, anche ai non lettori, affinché evitino di avvicinarsi ai nidi occupati dalle Aquile durante il periodo riproduttivo e imparino a rispettare le esigenze del rapace, rendendosi tra l'altro consapevoli che anche un piccolo disturbo può risultare fatale per la nidificazione. Impariamo a comportarci in modo civile, rispettosi dei ritmi della natura: l'Aquila ce ne sarà grati!
Infine un'altra raccomandazione: se abbiamo scoperto un nido attivo di Aquila o anche di un altro rapace, teniamolo gelosamente segreto poiché la notizia divulgata può giungere alle orecchie di qualche male intenzionato o di curiosi spregiudicati che potrebbero compromettere la nidificazione o in ogni caso causare grave disturbo per il rapace.
VI. Caccia e alimentazione
6.1. Premessa
L’Aquila reale è un “superpredatore”, prezioso per l'equilibrio delle popolazioni di un ecosistema, in quanto agisce a tutti i livelli della catena trofica, ivi compresi i predatori e le carogne. L'ampiezza del proprio spettro alimentare determina la sua capacità di sopravvivenza nonché la sua ampia distribuzione geografica. Dotato di un formidabile rostro non ha difficoltà nel lacerare e sezionare le carni; i poderosi artigli, lunghi fino a 8-9 cm. (artiglio posteriore), ghermiscono la preda e la uccidono, anche perché l'effetto della "picchiata" ne aumenta la capacità di penetrazione; ove ciò non basti, interviene il rostro che è in grado di sfondare la parete cranica delle prede di maggiore dimensione. Gli artigli servono anche per trasportare rami o la preda nel nido, o a spostarla da un luogo ad un altro; a volte l’Aquila utilizza il becco per il trasporto di piccole prede o di rami. Oltre che al rostro e agli artigli l’Aquila reale deve la sua straordinaria capacità predatoria all'eccezionale acutezza visiva con un alto potere di risoluzione, paragonabile a quella umana potenziata da un binocolo ad almeno 8-10 ingrandimenti.
6.2. Tecniche di caccia
Come abbiamo visto in precedenza, per procurarsi il cibo che le occorre l'Aquila reale attua due diverse tecniche di caccia: la caccia da appostamento e la caccia di sorpresa o di rastrellamento.
La caccia da appostamento è poco appariscente; il rapace si apposta su un posatoio dominante da dove scruta il territorio circostante, sin quando, individuata una preda, si getta su di essa in "picchiata", con le ali chiuse o semichiuse aiutandosi eventualmente con qualche poderoso battito alare; l'esito del cruento scontro è spesso fatale per la sventurata preda. Questo tipo di caccia sembra preferita dall’Aquila reale (Chiavetta, 1981).
La caccia di sorpresa o di rastrellamento si attua invece in volo; dapprima il rapace perlustra il territorio da una posizione alquanto alta, poi si abbassa di quota per perlustrare con volo radente praterie, ghiaioni e pareti rocciose, affidandosi al fattore sorpresa, in ciò aiutata da mascheramenti naturali, come cespugli, creste, avvallamenti, rocce prominenti. Come sappiamo, la caccia avviene anche in coppia ("caccia in tandem"), con le seguenti modalità: mentre un'Aquila vola rasente il terreno per stanare e spaventare le prede, l’altra vola più in alto, a 100-200 metri dal suolo, pronta a lanciarsi sulla sciagurata vittima che tenta di fuggire.
Occorre avvertire che quando si ha occasione di scorgere un’Aquila reale volteggiare lentamente nel cielo guadagnando quota, non si sta assistendo ad una scena di caccia, ma ad una semplice perlustrazione del territorio o ad una fase di salita di quota. Occorre altresì aggiungere che assistere in diretta ad una scena completa di caccia è un evento estremamente raro legato spesso alla casualità e a lunghe ore di osservazione. Le Aquile predano di solito a terra, ma cacciano a volte anche gli uccelli in volo. Infatti, malgrado le sue dimensioni ragguardevoli, l’Aquila reale è un vero e proprio “pilota acrobatico”, capace di afferrare in volo anche uccelli forniti di notevole agilità, come i gracchi e i gheppi. Occorre dire che quando l'Aquila cerca di ghermire una preda a terra, spesse volte l'impatto è disordinato e caotico.
Per completare l'argomento, bisogna fare menzione di: a) la cattura di prede nascoste tra le fronde apicali degli alberi; b) la predazione di grossi ungulati che l'Aquila, usando appropriate manovre, spinge verso un dirupo dal quale li fa precipitare, per potersene poi cibare con tutta tranquillità.
In una occasione osservai un fatto curioso. La femmina di una coppia apparve alla vista con un gracchio (corallino o alpino) predato stretto tra le zampe; dopo un rapido volteggio in scivolata si diresse verso il nido dove approdò di li a poco al cui interno vi era un aquilotto di circa 60 giorni. Dopo pochi istanti l'Aquila andò via, ma il gracchio niente affatto ucciso prese anch'egli il volo senza mostrare segni evidenti di menomazioni vitali. Inutile descrivere lo stupore mio e dell'aquilotto! Molto spesso ho rilevato coturnici nidificare vicino (terreni prospicienti o frontali) ai nidi attivi delle Aquile, malgrado il Galliforme rientrava discretamente nella dieta del rapace. Lo stesso ho notato in Finlandia dove, molto vicino ad un nido (su albero), era in essere una nidificazione di gallo cedrone.
A volte l’Aquila, se fallisce il tentativo diretto di catturare una preda di terra, e quest’ultima non fugge, può goffamente tentare col gli artigli di ghermirla, senza riprendere il volo, ma raramente riesce ad ottenere risultati.
La fisiologia dell'Aquila ha notevole importanza nell'espletamento della predazione, in quanto il maschio, con un’apertura alare e un peso più contenuto rispetto alla femmina, è più fulmineo nella caccia, specie per quanto concerne la cattura di uccelli. In due occasioni mi è capitato di assistere alla cattura di cornacchie in volo ad opera del solo maschio, dopo che la femmina aveva dovuto rinunziarvi, nonostante i ripetuti tentativi. La femmina da parte sua essendo più grande e robusta è però più atta a proteggere con la sua mole le uova e il pullo nel nido.
Una teoria in merito alle differenti dimensioni del maschio e della femmina, reputa che il maschio di un’Aquila reale sia più piccolo rispetto alla femmina, in genere un 10%, per evitare che durante il ciclo riproduttivo, spinto dalla sua esuberante aggressività infastidisca la femmina compromettendo la nidificazione (Amadon, 1975 in Fasce & Fasce, 1984).
E' tuttavia evidente il rapporto tra il grado di differenza di taglia tra i due sessi (dimorfismo) e la dieta (Olsen, 1991). Più in generale è possibile constatare che tra le specie che devono catturare prede agili e veloci, la femmina è molto più grande del maschio. All'opposto ci sono le specie che catturano prede lente o mangiano carogne come per esempio il grifone; in questo caso presentano scarse o assenti dimensioni di taglia (vi è quindi un leggero dimorfismo o monomorfismo) (Olsen, 1991).
Per quanto si riferisce al momento temporale, occorre osservare che tutte le ore della giornata sono buone per l’attività di caccia e per il volo, anche se alcuni Autori, come per esempio Fasce & Fasce (1984), affermano che “...In condizioni di tempo stabile esistono nell’arco della giornata due punte di attività massima, situabili una nelle prime ore del mattino, da un’ora circa dopo il levare del sole fino a tre ore dopo, un'altra ancora di un paio d’ore, nel primo pomeriggio, poco dopo che il sole ha superato lo zenith, intervallate da lunghi periodi di riposo.
Alcune volte però, questi ritmi sembrano infittiti e le Aquile volano praticamente tutto il giorno”.
Personalmente ho raramente osservato Aquile attive in fase di caccia nelle ore centrali delle giornate molto calde (nelle regioni dell’estremo nord gli orari, nel periodo estivo, cambiano ovviamente radicalmente poiché c’è sempre luce). A coronamento di quanto sin qui detto in merito alle tecniche di caccia dell'Aquila, occorre sottolineare che nel complesso i tentativi di caccia con esito negativo costituiscono oltre il 50-70% del totale. In altri termini il numero degli attacchi riusciti è molto basso. In un maschio, nelle Alpi, raggiungeva il 9% e in una coppia il 17% (Gensbol, 1992).
In una circostanza ho assistito al tentativo infruttuoso della predazione da appostamento da parte dell’Aquila reale nei riguardi di una volpe. Per un soffio il carnivoro evitò il rapace che, fallita la presa, si posò a terra a qualche metro dalla volpe. Quest’ultima, con la coda semieretta, indietreggiò prontamente ma non corse via poiché nelle immediate vicinanze non vi era un adeguato nascondiglio. Ebbe l’astuzia di controllare il rapace girandovi attentamente intorno ad una distanza di un paio di metri. Quando l’Aquila, vista l’impossibilità di proseguire la caccia riprese a fatica il volo, la volpe, trotterellando e controllando continuamente il rapace, si allontanò rifugiandosi in una macchia di rovi posta a qualche centinaio di metri di distanza.
Un attacco a sorpresa consente all'Aquila di catturare una preda anche in buono stato di salute, robusta e forte. Però se l'attacco si trasforma in inseguimento e contemporaneamente sono presenti più esemplari (per esempio corvidi o galliformi), l'Aquila probabilmente catturerà solo una preda leggera, meno dotata e forse anche indebolita (predazione selettiva) (Kenward, 1991).
In certe rare circostanze un'Aquila reale può sottrarre una preda ad un altro rapace (cleptoparassitismo) come per esempio ad un gipeto (Fasce & Fasce, 1992) o addirittura ad un falco pellegrino (osservazione personale).
Alcune volte mi è capitato di osservare un’Aquila reale passarsi durante il volo un rettile dalle zampe al becco.
Malgrado l’attività predatoria o il riperimento di carcasse da parte dell’Aquila reale si svolge normalmente in ambienti aperti, in una circostanza osservai una coppia intenta a mangiare una carogna di cervo all’interno di un bosco abbastanza chiuso. In quell’occasione le Aquile per raggiungere la carcassa coprirono un tragitto a piedi all’interno del bosco. Probabilmente la coppia riuscì a localizzare la preda grazie alle numerose cornacchie che “movimentavano” la zona (al momento dell’osservazione non registrai alcun corvide).
6.3. Il regime alimentare
Il regime alimentare delle Aquile varia a seconda delle zone geografiche in cui esse vivono, nonché del periodo stagionale considerato; v'è poi una stretta correlazione proporzionale tra le capacità potenziali alimentari del territorio considerato (carryng capacity) e la densità delle coppie presenti nel territorio stesso. L’ampia distribuzione geografica determina dunque notevoli variazioni della dieta: sulle Alpi la marmotta è una preda importante, mentre sull’Appennino lo sono le lepri e le coturnici. Nel Massiccio centrale francese il primato spetta ai conigli selvatici, mentre nell’Europa orientale al citello (Baumgartner, 1988). In Scozia il coniglio selvatico, la lepre e i Tetraonidi sono le prede preferite, mentre all’occorrenza in ogni parte del suo areale qualsiasi carogna animale è ben accetta quasi sempre durante il periodo invernale. In una coppia scozzese fu rilevato che il 94% della sua dieta era basata sul coniglio selvatico e sulla lepre (Love & Watson, 1990), mentre un’altra coppia insediata nelle Ebridi era specializzata in gatti selvatici (Love & Watson, 1990). Anche nell’Emmental (Svizzera) una coppia era specializzata nella cattura di gatti selvatici (Baumgartner, 1988). In certi distretti alpini (p.e. nella Val Monastero nei Grigioni) la marmotta, durante la stagione propizia, rientra nell’80% della dieta del rapace (Baumgartner, 1988). In Finlandia le prede principali sono gli uccelli (osservazione personale).
Nel complessivo regime alimentare dell'Aquila la parte preminente è costituita dalla predazione dei mammiferi (70-80%) di piccole e medie dimensioni (lepre, marmotta, coniglio selvatico, volpe, ecc.), raramente dai piccoli di camoscio (Rupicapra rupicapra), di capriolo (Capreolus capreolus) e di stambecco (Capra ibex). Anche alcuni animali domestici, come pollame, agnelli, capretti, cani e gatti possono rientrare nella dieta dell’Aquila reale, in particolare nelle zone fortemente antropizzate; è opportuno comunque sottolineare che queste catture non sono all’ordine del giorno e sono del tutto irrilevanti rispetto al potenziale del patrimonio zootecnico di una data zona. In Scozia l’Aquila è stata vista in molte occasione cibarsi di carcasse di pecore e di agnelli; solo raramente però ha predato agnelli vivi (Hammond & Pearson, 1993; Love & Watson, 1990).
Gli uccelli assumono in genere un ruolo secondario, ma non irrilevante, nella dieta dell'Aquila; nelle zone settentrionali del pianeta, come accennato per la Finlandia, essi rappresentano invece le prede principali del rapace, attestandosi dal 40 al 70% della predazione totale (Ménatory, 1976 in Fasce & Fasce, 1984; Klaesson, 1985). Gli uccelli predati sono costituiti per la maggior parte dai tetraonidi, seguiti dai corvidi; occasionalmente possono essere predati anche turdidi o altri rapaci (gheppio, sparviere, poiana, allocco, ecc.).
In molte zone del Sud (Italia centro-meridionale, Balcani, Grecia), dove la presenza dei mammiferi è meno rilevante, i rettili, principalmente nelle zone dove sono ben rappresentati, costituiscono un'importante fonte alimentare, soprattutto durante l’allevamento dei giovani (osservazione personale). Si registrano anche predazioni di vipere (Fasce & Fasce, 1984 - osservazione personale). Sembra segnalata anche la cattura occasionale di anfibi come rospi e rane (da riconfermare). Alcuni autori (Gordon, 1955 in Fasce & Fasce, 1984) citano anche rari casi di cattura di insetti. Si registrano predazioni di tartarughe lasciate poi cadere dall'alto per romperne il guscio (Hammond & Pearson, 1993; Mezzatesta, 1989). L’Aquila si porta a circa 30 metri di altezza, quindi lascia cadere la preda. Se il carapace non si rompe può ripetere l’operazione (atteggiamento simile al gipeto). La maggior parte dei casi sono stati rilevati in Francia, Bulgaria e Israele. In particolare una coppia insediata vicino Gerusalemme predava abitualmente un consistente numero di tartarughe (Hammond & Pearson, 1993). Occasionalmente è stata vista catturare anche pesci (Love & Watson, 1990).
Una parte non trascurabile nella dieta delle Aquile, specie durante la stagione invernale, è rappresentata dalle carogne; queste non vengono mai utilizzate per l’alimentazioni dei pulli nel nido. Tuttavia in casi eccezionali quando l'aquilotto nel nido è molto grosso e quasi prossimo all'involo, può essere occasionalmente alimentato anche con carne raccolta da una carogna molto fresca (osservazione personale).
Alle prede abituali che normalmente l’Aquila reale ghermisce nel proprio territorio di residenza, spesso si inserisce un ampio ventaglio di specie. Infatti nel nord della Svezia esaminando 3000 prede, è stato possibili individuare 57 diversi tipi di animali, di cui i 2/3 erano uccelli (Klaesson, 1985). Tuttavia in biomassa le specie ornitiche equiparavano quelle dei mammiferi. Klaesson (1985) asserisce che nella Scandinavia settentrionale l’Aquila reale ha 3 prede principali: gallo cedrone (Tetrao urogallus) (38%), lepre variabile (Lepus timidus) (30%), giovani renne (Rangifer tarandus) (17%), anche se tra un anno e l’altro possono ovviamente verificarsi delle variazioni (situazione analoga in Finlandia). Per quanto riguarda la predazione delle renne in genere le Aquile attaccano gli esemplari appena nati con una netta predilezione verso i più deboli o meglio i nati morti (Klaesson, 1985). In Svezia si è calcolato che le Aquile catturano mediamente 600 piccoli di renna l’anno (mentre la media delle nascite delle giovani renne è di circa 86.000 esemplari) (Klaesson, 1985). Ricerche in Finlandia hanno dimostrato che un terzo dei piccoli di renna catturati erano esemplari nati morti (Klaesson, 1985).
Nel corso degli anni sono stato testimone di numerosi tentativi di caccia da parte dell’Aquila reale anche se solo in otto casi ho avuto la fortuna di vederne il successo finale. E’ infatti cosa estremamente difficile e rara poter osservare in dirette tutte le fasi venatorie del rapace. Degli otto casi citati solo in 5 ho potuto vederne la “presa” vera e propria. Le osservazioni hanno tra l’altro confermato l’alta percentuale degli insuccessi.
Riassumendo abbiamo i seguenti dati:
Tentativi di caccia osservati: 36
Esiti positivi: 8
Caccia a rastrello o similare: 23
Caccia da appostamento: 13
Successi della caccia di appostamento: 3
Successi della caccia a rastrello o similare: 5
Un’Aquila adulta che non può alimentarsi a causa del cattivo tempo o per altri motivi, può sopportare lunghi digiuni che si protraggono fino ad una decina di giorni. Diverso è il caso dei pulli nel nido che necessitano di una alimentazione abbastanza regolare. Fasce & Fasce (1984) affermano che l'Aquila reale sembra essere in grado di prevedere l'andamento atmosferico con 24 ore di anticipo.
Le prede dell’Aquila hanno nella maggior parte dei casi un peso minore del rapace; sono poco consuete le prede più pesanti. I trasporti di prede superiori a 4 kg sono da considerare già eccezionali, sono tuttavia documentati trasporti di oltre 5 kg, anche se in condizioni particolari, con vento a favore e in scivolata (Glutz, 1971 in Fasce & Fasce, 1984). E' ovvio che le prede che superano di molto il predetto limite di peso vengono consumate sul posto. Non bisogna tuttavia dimenticare che l’Aquila reale ha una straordinaria potenza di impatto sulla preda, al punto che i falconieri della Mongolia e quelli chirghisi l'addestrano alla caccia al lupo oltre che alla gazzella, alle capra selvatica e alla volpe! (Love & Watson, 1990). Chiavetta (1981) afferma che le prede di maggiori dimensioni predabili dall’Aquila reale raggiungono i sei-sette chilogrammi.
Il fabbisogno alimentare giornaliero di un'Aquila oscilla intorno ai 300 grammi netti (320 g secondo Brown & Watson, 1964 - 250 g in media secondo Chiavetta, 1981). Durante la stagione più fredda il fabbisogno si accresce di almeno 50-70 g. Gli alimenti indigeriti vengono rigettati sotto forma di pallottole, dette boli o borre. La loro analisi facilita lo studio dell’alimentazione delle Aquile; esse hanno forma allungata e misurano mediamente una lunghezza di 8 x 2-3 cm di larghezza, anche se a volte si rinvengono borre di 10-12 cm. (osservazione personale). Secondo gli studi compiuti da Brown e Watson (1964, in Fasce & Fasce, 1984) il territorio dove è stanziata una coppia di Aquile reali in Scozia deve poter fornire alla coppia e ai giovani nell’arco dell’anno una quantità approssimata di 320 kg di prede e carogne. Il prelievo alimentare operato dall’Aquila reale in un determinato territorio è, come si è visto, minimo ma esso risulta nel contempo prezioso per l’equilibrio delle popolazioni delle specie predate. Nel complesso l'Aquila è un commensale alquanto eclettico, non tanto per propria scelta, quanto per la carenza trofica che affligge spesso il proprio territorio (per esempio nell'Appennino). In Svezia paradossalmente se le arvicole sono abbondanti, l’Aquila reale ne trae indirettamente un grande vantaggio. Infatti, la volpe e l’ermellino, principali predatori del gallo cedrone (preda eletta per l’Aquila reale di quelle contrade), vengono “orientati” verso la cattura degli abbondanti roditori, ponendo in secondo piano i galliformi, che più numerosi sono preda più facile per il rapace (Klaesson, 1985).
Le specie predate da un'Aquila sono anche in funzione del periodo stagionale. Infatti durante l'estate la dieta del rapace si arricchisce per esempio di numerosi rettili (Appennino) che invece non può catturare in inverno. Avremo così una variazione stagionale anche in funzione del successo riproduttivo delle prede potenziali.
Dai miei appunti di campo si ricava l'alimentazione di quattro coppie di Aquila reale nell'Appennino centrale nel corso di dodici anni sulla base di 327 prede di cui discontinuamente si è potuto individuare la specie o per lo meno la classe. I dati sono probabilmente incompleti e quindi semplicemente indicativi.
Ammontare complessivo delle prede: 327
Mammiferi: 129
Uccelli: 107
Rettili: 79
Altro: 12
La mentalità che porta a considerare nocivi i predatori nell’ambito dell’economia naturale è frutto di ignoranza, al pari di quanto lo è per il lupo, perseguitato in tutte le latitudini e da tutte le culture. Per concludere occorre sfatare un altro pregiudizio: l'Aquila non sembra essere mai aggressiva nei confronti dell'uomo, neppure quando questi saccheggia le uova o i pulli. Forme aggressive possono registrarsi qualora si entri all’improvviso in un nido mentre l’Aquila è al suo interno. Il rapace per fuggire potrebbe attaccare o almeno disturbare l’intruso.
Prospetto sinottico indicativo dello spettro alimentare dell’Aquila reale in Europa
(elenco in ordine alfabetico)
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Mammiferi
Animali domestici (agnelli, capretti, gatti, cani)
Arvicole
Camoscio (Rupicapra rupicapra)
Capriolo (Capreolus capreolus)
Cinghiale (Sus scrofa, piccoli)
Citello (Spermophilus citellus)
Coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus)
Donnola (Mustela nivalis)
Ermellino (Mustela erminea)
Faina (Martes foina)
Gatto selvatico (Felis silvetris)
Istrice (Hystrix cristata)
Lepre comune (Lepus europaeus)
Lepre variabile (Lepus timidus)
Lupo (Canis lupus, cuccioli)
Marmotta (Marmota marmota)
Martora (Martes martes)
Puzzola (Mustela putorius)
Quercino (Eliomys quercinus)
Ratti
Renna (Rangifer tarandus)
Riccio (Erinaceus europaeus)
Scoiattolo (Sciurus vulgaris)
Stambecco (Capra ibex)
Tasso (Meles meles)
Volpe (Vulpes vulpes)
Uccelli
Anatidi
Colombaccio (Columba palumbus)
Colombella (Columba oenas)
Cornacchia grigia e nera (Corvus corone cornix e Corvus corone corone)
Corvo (Corvus frugilegus)
Corvo imperiale (Corvus corax)
Coturnice (Alectoris graeca)
Fagiano (Phasianus phasianus)
Fagiano di monte (Lyrurus tetrix)
Folaga europea (Fulica atra)
Francolino (Francolinus francolinus)
Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus)
Gallo cedrone (Tetrao urogallus)
Gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus)
Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax)
Gru (Grus grus)
Oca granaiola (Anser fabalis)
Oca lombardella minore (Anser erythropus)
Otarda comune (Otis tarda)
Pernice bianca (Lagopus mutus)
Pernice rossa (Alectoris rufa)
Piccione selvatico (Columba livia)
Quaglia (Coturnix coturnix)
Rapaci diurni e notturni (Gheppio, Smeriglio, Falco pellegrino, Poiana,
Poiana calzata, Sparviero, Allocco, Allocco di Lapponia, Civetta, ecc.)
Starna (Perdix perdix)
Taccola (Corvus monedula)
Tortora (Streptotelia turtur)
Trampolieri
Turdidi
Altri, in misura minore
Rettili e Anfibi
Ramarro (Lacerta viridis)
Rane e rospi (da riconfermare)
Serpenti (comprese le vipere)
Tartarughe terrestri (Testudo sp.)
Altri
Citati casi di catture di insetti e di pesci.
Carogne, specie di mammiferi (fonte rilevante di alimentazione, specie nel periodo invernale).
Osservate Aquile che si alimentano in discariche isolate (almeno 4 osservazioni personali).
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6.4. La tecnica di alimentazione
La tecnica che il rapace usa nella sua alimentazione è abbastanza semplice. L’Aquila con le robuste zampe tiene ferma la preda, quindi servendosi del temibile rostro le strappa le carni tirandole con forza non prima di averla spiumata (penne o pelo a seconda della preda) anche solo parzialmente. Quando si ciba invece di una preda molto grossa (camoscio, capriolo, stambecco, volpe, ecc.) l'Aquila si posa su di essa e strappa le carni col solo aiuto del becco senza che debba usare le zampe. La stessa tecnica imita il pullo nel nido, ma le prime volte lo fa in maniera scomposta e squilibrata. Un serpente non viene ingoiato per intero ma smembrato pezzo a pezzo.
Mi è accaduto di osservare un giovane di 70 giorni di vita alle prese, nel nido, con una piccola preda che si dimenava pur essendo in procinto di morire. In quell’occasione il giovane, pur tenendo saldamente stretta tra gli artigli la preda, sembrava alquanto spaventato, fin quando - superato il trauma - non incominciò a lacerare le carni di quella che appariva una misera arvicola.
Grazie a numerose osservazioni personali esperite su individui di Aquila reale intenti ad alimentarsi su carcasse di varia natura (cavalli, pecore, cervi, caprioli, camosci, ecc.), posso sintetizzare i seguenti dati:
1. Nella fase iniziale della presenza della carcassa, le Aquile veleggiano a lungo a più riprese senza scendere subitaneamente; a volte non scendono affatto.
2. Mentre gli adulti mantengono in genere una certa diffidenza, i giovani dell’anno, se presenti, in quasi tutti i casi osservati hanno dimostrato un comportamento relativamente più deciso e spregiudicato sia nell’avvicinarsi che nell’alimentarsi. Tuttavia a volte ho anche rilevato una certa diffidenza. Spesso i giovani dell’anno quando sono ancora insediati nel territorio di origine, richiamano costantemente i genitori anche mentre si alimentano. Ciò ovviamente non si verifica per i giovani e subadulti erratici non più legati al territorio di origine e alle cure parentali.
3. I vari esemplari di Aquila non si sono mai alimentati insieme, ma sempre a turno. Questa consuetudine comunque non può essere elevata a legge, perché necessiterebbe di ulteriore, lunga osservazione.
4. Se nella zona della carcassa è presente la coppia con il giovane dell’anno, ho sempre osservato che il giovane è quello che si alimenta di più (non nel senso della dominanza). Gli adulti restano infatti sempre dominanti.
5. Da quanto direttamente osservato, ho potuto constatare che le Aquile sono solite iniziare il pasto di una carogna di mammifero cominciando dai muscoli della schiena, sin quando, terminati questi, passa a mangiare la carne posta negli interstizi ossei, senza mai toccare le interiora (regola non generalizzabile). Se però la carcassa è stata predisposta già completamente pulita (senza pelle, interiora, ecc.), le Aquile possono iniziare ad alimentarsi in modo del tutto casuale.
6. Sulle carcasse l’Aquila reale è sempre dominante rispetto a tutte le altre specie di uccelli (solo in riferimento alle osservazioni personali).
A titolo di esempio riporto un prospetto riferito al riassunto dei dati rilevati su una carcassa di camoscio frequentata attivamente da 3 individui di Aquila reale (2 adulti + il giovane dell’anno - osservazioni svolte a circa 400 metri di distanza).
n° giorni presenza della carcassa: 7
n° presenze complessive al carnaio: 19
n° presenze del giovane: 10
n° presenze maschio adulto: 5
n° presenze femmina adulta: 4
tempo trascorso dalle Aquile sul carnaio: giovane 5,25 h; maschio adulto 2,12 h; femmina adulta 1,54 h.
presenza in ore del giovane vicino al carnaio senza alimentarsi: 13,50 h.
presenza in ore del maschio adulto vicino al carnaio senza alimentarsi: 4,08 h
presenza in ore della femmina adulta vicino al carnaio senza alimentarsi: 3,26 h.
Non ho mai visto che un’Aquila intenta a cibarsi di una carogna sia stata allontanata dai corvidi o dagli avvoltoi, mentre al sopraggiungere dei lupi il rapace vola via (osservazione personale). In due circostanze ho osservato due giovani Aquile picchiare con insistenza su un adulto intento a cibarsi su una carcassa di cervo nel tentativo di indurlo ad allontanarsi. Tale comportamento è stato rilevato anche da Gensbol (1992).
Anche le Aquile al pari di molti altri rapaci hanno dei luoghi, in genere tranquilli ed isolati, preferenziali dove consumare una preda (pluking place) (osservazioni personali - Chiavetta, 1981). Tuttavia molte volte capita che il rapace consumi la preda nel luogo dove l'ha catturata. Ciò accade soprattutto quando si tratta di una preda grossa, difficile da trasportare o di piccole prede. Le Aquile non sembra che abbiano l’abitudine di occultare il cibo, come per esempio fanno i corvidi, per farsi delle scorte (da verficare); l’unica forma di pseudo-occultamento, è quella di coprire nel nido con foglie o rami i resti di una preda da utilizzare successivamente (tale pratica tra l’altro non viene sempre eseguita).
Per completare le note sull'alimentazione dell'Aquila reale un'ulteriore osservazione mi sembra importante: in condizione di necessità il rapace aumenta molto lo spettro alimentare; ciò sembra dare l'ennesima smentita a chi vede l'Aquila come la spietata sterminatrice delle prede più nobili e più significative dello scenario ecologico.
Per quanto attiene alla defecazione del rapace si osserva che esso defeca quando è sistemato su un posatoio, oppure quando è in volo. In molte occasioni ho infatti visto l’Aquila “spruzzare” le deiezione mentre era in volo.
6.5. Carnai artificiali
Molto spesso soprattutto nell'ambito di territori protetti e non ancora riequilibrati dal punto di vista trofico, si da corso all'istituzione di carnai artificiali per favorire l'approvvigionamento alimentare delle Aquile e di altre specie selvatiche (per esempio lupi, orsi, avvoltoi).
I carnai vengono di solito realizzati specialmente durante il periodo invernale fornendo di volta in volta carcasse intere (per esempio di pecora), dislocandole in punti facilmente accessibili dal rapace e sufficientemente tranquilli. Tuttavia agli indubbi vantaggi che tale pratica può apportare alla vita del rapace si contrappone il rischio della possibile dannosa assuefazione del rapace alla facilità di approvvigionamento alimentare nonché il pericolo di avvelenamento delle carcasse da parte di malintenzionati.
Tuttavia per ridurre il rischio di assuefazione l'intervento andrebbe fatto in maniera irregolare, con lunghe pause nei periodi in cui esso è meno necessario (primavera-estate). Per contrastare il rischio di avvelenamento si deve mantenere segreta l'operazione e spostare frequentemente la dislocazione del carnaio. In ogni caso è bene attuare sempre una adeguata sorveglianza.
Una volta constatato il buon recupero dalla fauna selvatica predabile dal rapace (lepri, coturnici, marmotte, ecc.), è opportuno sospendere del tutto o quasi la pratica dei carnai.
N.B. E’ indispensabile impiegare esclusivamente carcasse di animali indenni da malattie e non trattate con farmaci chemioterapici (rigido controllo veterinario).
Occorre ricordare che la temibile pratica dell’avvelenamento di carcasse intere o di piccoli bocconi di carne, largamente attuata negli anni passati, ha causato vere e proprie stragi tra la fauna selvatica, Aquile comprese. Fortunatamente in questi ultimi tempi il fenomeno ormai integralmente bandito dalle leggi, si è sensibilmente ridotto anche se di tanto in tanto si registrano casi anche gravi di avvelenamenti di massa. Come accennato anche le Aquile sia in forma diretta che indiretta possono cadere vittima del veleno. Tuttavia durante la stagione invernale il rischio è maggiore in quanto la scarsità delle prede, il tempo avverso o in ogni caso la maggiore difficoltà della predazione attiva, induce le Aquila a cibarsi di carcasse occasionali e finanche di piccoli bocconi. Al contrario durante la stagione estiva quando le prede potenziali sono più numerose e la stabilità del tempo favorisce l’attività venatoria, le probabilità sembrano ridursi (osservazione personale).
VII. Dinamica della popolazione,
rapporti interspecifici, varie
7.1. Le proprietà della popolazione
Si definisce popolazione un gruppo di organismi della stessa specie che vivono in una determinata zona ed hanno caratteristiche peculiari rispetto ai fenomeni connessi alla natalità, mortalità, densità, potenziale biotico, dispersione e forme di accrescimento (Odum, 1973).
La natalità è il rapporto esistente tra il numero delle nascite e la somma dei soggetti che formano una popolazione.
La mortalità è il complesso dei decessi considerati quantitativamente in relazione ad una determinata popolazione.
La densità esprime il rapporto che intercorre tra il totale degli individui esistenti in un dato territorio e il territorio stesso.
Il potenziale biotico è il potenziale riproduttivo massimo teorico di una specie.
Per dispersione si intende la diffusione dei vari individui nell'ambiente.
Le forme di accrescimento sono quelle che si verificano tra gli organismi viventi differenziati a seconda della specie - (Odum, 1973).
7.2. Struttura delle popolazioni di Aquila reale
Si chiama popolazione dell'Aquila reale il complesso delle coppie della specie insediate in un determinato territorio (regione, catena montuosa, come le Alpi o gli Appennini, ecc.); si parla di individui quando si considerano i singoli esemplari che compongono la popolazione.
L’Aquila reale è un rapace che, come ben sappiamo, colonizza i territori montani nonché le grandi pianure dell’estremo nord di quasi tutta la Regione oloartica. Gli individui isolati si uniscono per formare una coppia stabile monogamica che si insedia in un dato territorio, energicamente difeso dai conspecifici. Il giovane che è stato portato all’involo a coronamento del periodo riproduttivo rimarrà con i genitori per diversi mesi, in genere fino alla stagione riproduttiva successiva e, anche oltre, se la coppia non si riproduce.
Le caratteristiche del territorio generano una maggiore o minore densità delle coppie, al punto che queste possono distare da un minimo di 2-3 chilometri sino a molte decine di chilometri.
7.3. Interazione tra conspecifici
Come abbiamo visto in precedenza, l’intera area occupata e frequentata abitualmente dalla coppia viene definita home range, ed ha una ampiezza che varia a seconda delle condizioni ambientali. L'home range comprende a sua volta delle sotto-zone, come i siti di caccia, quelli di nidificazione e i nidi stessi. E' da notare in proposito, come più volte detto, che la coppia non tollera in modo assoluto la presenza dei consimili nel sito di nidificazione, che è il “fulcro” dell’home range, mentre nei territori di caccia marginali quella presenza è relativamente tollerata, al punto che in alcuni casi può verificarsi una specie di sovrapposizione di territori (Gordon, 1955 in Fasce & Fasce, 1984 - Chiavetta, 1981 – Watson, 1997 - osservazioni personali). Appare indubbiamente strano, ma non privo di una sorta di spirito "francescano", che in alcune circostanze un giovane erratico venga accolto per un certo periodo di tempo nella comunità di coppia (osservazione personale).
La difesa ininterrotta del proprio territorio è un'attività stressante che richiede un forte dispendio di energie. L'intruso viene affrontato subito con manifestazioni aggressive che consistono principalmente in continue picchiate. Se l'Aquila intrusa, di solito un giovane in cerca di territorio, non si ritira, ha luogo una vera e propria battaglia che si conclude di solito in forma incruenta con la fuga dell'invasore. L'attacco è fulmineo: le due Aquile si afferrano per gli artigli e si lasciano cadere per un tratto. Poi mollano la presa, riprendono quota e ripetono l'azione. Spesso l'Aquila padrona del territorio conteso compie numerose picchiate "a raso" verso l'intruso che alla fine abbandona la zona. Alcune volte però, sebbene raramente, gli "incontri" possono anche produrre gravi ferite o causare addirittura la morte di uno dei contendenti.
Come detto, questi spossanti combattimenti sono tanto più frequenti quanto maggiore è la densità delle Aquile nella zona, e maggiore è la presenza dei giovani. Gli adulti infatti, quando occupano stabilmente un territorio, rispettano quasi sempre i limiti territoriali.
La competizione che si instaura tra le Aquile per la spartizione dei territori vitali è di estrema importanza per la sopravvivenza dei singoli individui, in quanto un eccessivo carico di Aquile nello stesso territorio porterebbe in breve tempo a gravi squilibri alimentari e alla successiva scomparsa della nidificazione. La consistente presenza di Aquile estranee in un territorio occupato favorisce l’innalzamento del tasso di mortalità delle nidiate (Baumgartener, 1988). Infatti la forte presenza degli estranei spinge i residenti, come abbiamo visto, ad affrontare continui scontri, a “trascurare” la cova e a compromettere la caccia per l’alimentazione del pullo (Baumgartenr, 1988). Nelle Alpi svizzere negli anni cinquanta, quando il numero delle coppie era inferiore rispetto ad oggi, l’esito negativo della cova e dell’allevamento era inferiore (Baumgartener, 1988). Attualmente invece, con una popolazione quantitativamente più salubre, si invola, mediamente, solo un giovane per coppia ogni due anni (Baumgartener, 1988).
Raramente si registrano casi dell’allontanamento di un individuo della coppia insediata stabilmente in un territorio da parte di un soggetto erratico a volte immaturo (osservazione personale dubbia - Love & Watson, 1990).
7.4. Il cambio di un membro di una coppia
Nel corso degli anni sono stato testimone in diverse circostanze (4) del cambio di un elemento della coppia (in tutti i casi decesso o “scomparsa” della femmina).
Dalle osservazioni esperite durante le fasi della sostituzione/integrazione, ho riassunto i seguenti dati:
il maschio rimasto solo controlla attivamente il territorio, dal quale scaccia altri eventuali maschi che si trovano a passare nella zona centrale del territorio;
una volta che la femmina erratica ha "conquistato" il partner, l'affiatamento tra i due avviene abbastanza velocemente;
la nuova femmina aiutata dal maschio acquista in breve una notevole conoscenza del nuovo territorio; in un caso già dal 5/7 giorno di presenza aveva ispezionato accuratamente tutti i nidi che aveva a disposizione. In altre circostanze comunque la presa di conoscenza dei vari siti riproduttivi è avvenuta ugualmente abbastanza celermente;
su quattro femmine cambiate tre di esse erano subadulte con una età media di 3-4 anni (o per lo meno avevano sembianze tali);
in una circostanza la femmina venne a mancare (probabile morte per avvelenamento) quando i pulli nel nido avevano pochi giorni; il maschio superstite non riuscì a far sopravvivere la prole;
le coppie si ricostituirono dopo i seguenti giorni (dati solo indicativi): I°e II° caso 15/25 - III° caso 30/50 - IV° caso 55/60 (quest’ultimo dato solo di riferimento;
il pronto insediamento di nuovi membri delle coppie, dimostra la presenza di numerosi erratici sul territorio;
malgrado le femmine cambiate erano subadulte, 3 su 4 tentarono subito la nidificazione (due coppie involarono un pullo ciascuna).
Sono stati registrati casi di inserimento di un nuovo membro dopo appena 8 giorni (Borlenghi, 1992).
7.5. Rapporti interspecifici
L’Aquila reale occupa il vertice della catena alimentare di un ecosistema, posizione condivisa nella zona centroappenninica con il lupo e con l’orso; temuta dalla maggior parte degli animali che vivono nella sua zona, svolge un ruolo fondamentale per la selezione naturale delle sue potenziali prede.
7.5.1. I corvidi
Nell'ambito della storia dei suoi rapporti con le altre specie merita una particolare menzione l'imperturbabile filosofia con la quale l'Aquila reale sopporta i frequenti attacchi intimidatori provenienti dai corvidi (mobbing) (cornacchie nere e grigie, gracchi alpini e corallini, corvi imperiali, ghiandaie, nocciolaie) anche in forma congiunta (a volte si intromette anche qualche rapace come per esempio il gheppio); in questo caso la sua reazione consiste più che altro nell'ignorare del tutto i disturbatori, o nel minacciarli piuttosto “benevolmente” con gli artigli e con un simbolico colpo d’ala. I corvidi infastidiscono il rapace con ripetute picchiate, sia quando esso è in volo, che quando è posato; quando un corvide “perseguita” un’Aquila emette continui richiami per attirare l’attenzione dei conspecifici, cosa che spesso disturba la caccia delle Aquile. Il richiamo dei corvidi, specie quello delle cornacchie (Corvus corene cornix) e del corvo imperiale (Corvus corax), costituisce un prezioso indicatore per il naturalista, in quanto lo informa della presenza in zona delle Aquile. Una nota curiosa: alcune volte le ghiandaie (Garrulus glandarius) imitano il verso delle Aquile, e vi riescono anche molto bene, ma un “orecchio” allenato è in grado di scoprire “il trucco”.
In numerose occasioni ho avuto modo di osservare attacchi predatori dell'Aquila reale nei riguardi del gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax). La maggior parte dei tentativi sono sempre andati a vuoto, mentre in due occasioni un corvide cadde vittima del rapace. In genere quando i gracchi vengono attaccati dalle Aquile, se numerosi, cercano di spappargliarsi per disorientare il rapace e per allontanarsi con agili manovre di fuga. La coesione del gruppo si smembra leggermente, mentre appena l'Aquila si allontana, i corvidi se non intendono disturbare il rapace (picchiate), prontamente si allontanano (osservazione personale non generalizzabile).
Se un gracchio viene predato, gli altri individui del gruppo dopo una eventuale disturbo al rapace, sono portati ad allontanarsi (osservazione personale). Le cornacchie invece, se attaccate o addirittura predate, picchiano con veemenza e determinazione verso l'Aquila per moltissimo tempo. Più volte ho osservato un adulto di Aquila reale che aveva tra gli artigli una cornacchia grigia. Quasi sempre le compagne della preda picchiarono instancabilmente sul rapace e in un caso il disturbo durò oltre 15 minuti (l’Aquila era posata su uno sperone roccioso intenta a spiumare la vittima).
Dalle osservazioni sul campo ho notato che i gracchi corallini attaccano meno costantemente le Aquile rispetto alle cornacchie.
Il corvo imperiale (Corvus corax) invece, al pari delle cornacchie, attacca di gran lena tutte le Aquile che gli vengono a tiro perdurando nell'operazione anche per molto tempo. Sembra che a volte il corvo imperiale riesca a predare le uova delle Aquile (Durrell, 1992). In Finlandia, mi fu riferito un evento simile.
Su un totale di 97 attacchi dei corvidi sull’Aquila reale presi a riferimento per dare l’idea, ho riassunto il seguente dato indicativo:
cornacchia grigia: 34
corvo imperiale: 31
gracchio corallino/alpino: 17
altri (ghiandaia, ecc): 15
Occorre ribadire che il disturbo delle cornacchie e del corvo imperiale è stato sempre più lungo rispetto agli altri corvidi.
7.5.2. I rapaci
Spesse volte, alle petulanti picchiate delle cornacchie o corvi imperiali (mobbing) si affiancano quelle agili e insistenti del gheppio (Falco tinnunculus) che opera spesso in coppia (se sono presenti possono intervenire anche i giovani dell’anno). Oltre al gheppio anche altri rapaci, come per esempio il falco pellegrino (Falco peregrinus), la poiana (Buteo buteo), lo sparviero (Accipiter nisus), il nibbio bruno (Milvus migrans) e le albanelle (Circus sp.), possono disturbare le Aquile (si registrano anche azioni di disturbo congiunto) (osservazioni personali).
La competizione territoriale nei confronti di altre specie rupicole è quasi del tutto assente, ma occorre rilevare comunque che difficilmente l'Aquila riesce a sloggiare il falco pellegrino (Falco peregrinus) da un territorio occupato (osservazione personale - Fasce & Fasce, 1984), anche perché il falcone, specie durante l'allevamento della prole, è molto aggressivo. In ogni caso però l'Aquila è sempre dominante soprattutto se essa è presente in una valle prima del pellegrino; in questo caso ha il "diritto" di precedenza al nido. Si registrano comunque rari casi di nidificazione del pellegrino a meno di 1 chilometro dall’Aquila reale (Ractliffe, 1993) e ancor più episodici a 300 metri (Wormell in Ractliffe, 1993). In una località dell’Appennino centrale una coppia di falco pellegrino nidifica a circa 600 metri dai nidi delle Aquile; si registrano violenti scontri tra le due specie ed è sempre il pellegrino a cominciare. MacNally (1979) registra con riserva anche casi di predazione di Aquila reale su pellegrino, predazione accertata nella Svezia settentrionale (Klaesson, 1985), menzionata anche da Love & Watson (1990) in altro territorio. Non sono invece rari i casi di nidificazione del gheppio (Falco tinnunculus) in zone limitrofe ai nidi dell’Aquila reale (osservazione personale). Nessun problema per le altre piccole specie rupicole (picchio muraiolo, rondine montana, ecc.). L'Aquila reale e l'Aquila imperiale possono dividere lo stesso territorio in quanto tra le due specie non c'è competizione diretta (de la Fuente, 1983). In una occasione sono stato testimone della sottrazione di una preda (colombaccio) ad un falco pellegrino da parte di un maschio adulto di Aquila reale (cleptoparassitismo).
Per quanto attiene al rapporto con gli avvoltoi, in particolare con il gipeto (Gypaetus barbatus), si osserva che tra le due specie non vi è sovrapposizione della nicchia alimentare in quando, come noto, il gipeto si alimenta prevalentemente di animali morti, in particolare delle loro ossa. I siti di nidificazione delle due specie si mantengono ben distinti, ma ciò non toglie che le due specie possano incontrarsi in volo, e qui ingaggiare spettacolari battaglie aree (Fasce & Fasce, 1984 - Genero 1994, comunicazione personale), tuttavia quasi sempre incruenti. Nel 1993 nel Parco Nazionale dello Stelvio si verificò un “duro” incontro tra un’Aquila reale e un gipeto, quest’ultimo proveniente dalla reintroduzione effettuata nel limitrofo territorio svizzero. Nel 1993 un gipeto, anch’esso proveniente dalle reintroduzioni effettuate sull'arco alpino, collaborò alla costruzione di un nido con una coppia di Aquila reale! (Genero 1995, comunicazione personale). L'Aquila reale è in genere dominante nell'alimentarsi sulle carogne nei riguardi del grifone (Gyps fulvus) e del gipeto, anche se quest'ultimo si lascia intimorire di meno (Genero 1994, comunicazione personale). Per contro, come detto, si allontana prontamente se accorrono sulla carogna un branco di lupi (osservazione personale). In certe località della Spagna, l'espansione del grifone sta sottraendo i siti di nidificazione al gipeto, al capovaccaio, all'Aquila reale e ancor più all' aquila del Bonelli. Infatti i grifoni si "impadroniscono" dei nidi di queste specie in quanto, come noto, iniziano in anticipo la riproduzione (deposizione gennaio-marzo) (Donazar, 1993; Fernandez & Donazar, 1991 in Dentesani et al. 1995).
Dal punto di vista alimentare si registrano, da parte dell’Aquila reale, numerosi casi di predazioni riuscite nei riguardi dei rapaci diurni e notturni (tra i notturni si registrano rari casi di predazione sul gufo reale: 4 casi riportati da Penteriani, 1996 - v. anche Mikkola, 1983).
7.5.3. Il mobbing
Come abbiamo visto, le azioni di disturbo effettuate sull’Aquila reale da parte degli altri uccelli (prevalentemente corvidi), vengono definite con il termine inglese “mobbing”. Il mobbing viene attivato sia quando l’Aquila è in volo che quando è posata. A volte si manifesta anche mentre il rapace è intento ad alimentarsi su una preda o su un carnaio. In genere la durata va dai pochi secondi a diversi minuti, fino a perdurare molto soprattutto quando l’Aquila è posata e si trova vicino ad una fonte di cibo che ha radunato un nutrito stuolo di “avventori”. Caratteristica è la “corte” di corvi e cornacchie che seguono a lungo un’Aquila mentre transita in una data località.
Le osservazioni personali sul campo sembrano dimostrare che le azioni di disturbo sono più frequenti durante la stagione riproduttiva (su 610 casi registrati 397 sono avvenuti in periodo riproduttivo, mentre 213 nel resto della stagione). Tuttavia durante questo periodo ho sempre svolto un maggior numero di rilievi che potrebbero aver determinato l’impressione dell’affermazione precedente. Nelle zone dove i corvidi sono scarsi il primato degli attacchi spetta senza ombra di dubbio al gheppio anche se alcune volte quest’ultimo è al primo posto anche dove i corvidi sono abbondanti (osservazione personale, non generalizzabile). Come poc’anzi accennato a volte il mobbing viene esercitato in forma congiunta da diverse specie (rapaci e corvidi) senza poter parlare però di attacco coordinato. Tutti i rapaci medio-grossi sono soggetti al fenomeno anche se per certe specie è certamente più ridotto (per esempio il grifone viene attaccato con molta meno veemenza e costanza). I rapaci più piccoli come per esempio il gheppio, il grillaio o lo smeriglio subiscono disturbi molto contenuti e sporadici.
7.6. La produttività
L’Aquila reale si riproduce con bassi valori di produttività (numero giovani involati/numero periodi riproduttivi delle coppie controllate).
Tali valori variano sensibilmente da una coppia all'altra; tale variabilità permane alta in tutte le zone geografiche dove l’Aquila reale è distribuita.
Le cause di un siffatto fenomeno sono molteplici ed alcune di esse non sono state ancora spiegate, ma semplicemente supposte; la teoria più accreditata ritiene che alla base delle accennate differenze vi sia l'alimentazione (abbondanza delle prede - Chiavetta, 1981). Altri fattori potrebbero individuarsi nelle tendenze all'autoregolamentazione delle popolazioni, alla necessità fisiologica del riposo produttivo, alle condizioni climatiche e, molte volte, al disturbo arrecato dalle attività antropiche.
I parametri che si prendono a riferimento per calcolare la produttività delle popolazioni di Aquila reale sono 3 (tratto con parziali modifiche da Fasce & Fasce, 1984):
la produttività, ovvero il rapporto tra giovani volati e il numero dei periodi riproduttivi delle coppie controllate;
il tasso di involo, ovvero il rapporto tra i giovani volati e le nidificazioni riuscite (Cheylan, 1981);
percentuale di coppie che si riproducono rispetto al totale delle coppie esistenti nel territorio.
La produttività media annua oscilla tra 0,5 e 1,5 giovani per ciascuna coppia (Chiavetta, 1981). In Europa il dato risulta inferiore rispetto al Nordamerica (Chiavetta, 1981), così come nell’Appennino rispetto alla zona alpina (0,5 -1 Alpi; ± 0,5 Appennini; Chiavetta, 1981). La forte oscillazione della produttività risente dunque del luogo considerato.
Secondo Everett (1971) il numero di coppie che annualmente non nidifica si aggira tra il 10 ed il 25% della popolazione complessiva (dati riferiti alla Scozia). Secondo l’ipotesi di Haller (1982) il grado di produttività è in relazione alla densità delle popolazioni; infatti è facile intuire che una coppia facente per esempio parte di una popolazione ad alta densità è impegnata assiduamente alla difesa del territorio vitale dai conspecifici, e ciò si traduce in evidente scapito della cura e dell’assistenza della prole. Da ciò si deduce che più bassa è la densità di Aquile, maggiore è la produttività. Haller (1982 in Fasce & Fasce, 1984) afferma inoltre che l’inibizione alla riproduzione di una coppia può anche essere causata dal vedere qualcosa che ha un effetto frenante, come può essere l'input negativo connesso alla presenza di giovani in zone limitrofe ai siti di nidificazione.
Il tasso di mortalità dell'Aquila reale è alto tra i giovani e gli immaturi; il predetto tasso decresce notevolmente con l’età adulta, tanto che - superato il punto critico - l'Aquila raggiunge una notevole longevità che compensa in parte le bassa produttività e le morti precoci. In questa maniera le popolazioni mantengono una certa stabilità e, ove non intervengano fattori antropici distruttivi, la specie può lentamente espandere il proprio territorio e la propria popolazione; così potrà raggiungere il picco dell'espansione, per oscillare poi, al pari di ogni fenomeno naturale, tra crescita e decrescita (costante K).
Nel censire la popolazione residente in un territorio occorre considerare, oltre alle coppie stabili, anche la presenza di individui isolati alla ricerca di territorio, come i giovani, gli immaturi, i subadulti e gli adulti erratici. Molti Autori sono concordi nel calcolare che il numero massimo degli individui isolati non supera il 30% della popolazione (Fasce & Fasce, 1984).
Per quanto attiene ai motivi che conducono una coppia al fallimento o alla non attivazione della stagione riproduttiva si possono affacciare le seguenti ipotesi indicative:
Fallimento
1. La coppia depone le uova, ma le abbandona durante il ciclo di cova (disturbo, forti carenze alimentari, ecc.).
2. Le costanti avverse condizioni climatiche determinano l’interruzione del ciclo riproduttivo.
3. Le uova, regolarmente deposte e covate per tutto il ciclo, non si schiudono per varie cause (uova non fecondate, uova raffreddate, ecc.).
4. La nidificazione non va in porto per l’inesperienza della femmina (subadulta, prima nidificazione, ecc.).
5. Le uova si schiudono, ma i pulli muoiono dopo pochi giorni.
6. Il pullo rimasto orfano di entrambi i genitori muore; uguale sorte tocca al pullo allorché rimane in vita il genitore maschio, poiché questo non è capace di assisterlo durante la prima fase dell'allevamento.
Non attivazione della riproduzione (cause presunte ma non certe)
1. La coppia non è atta alla riproduzione.
2. La forte carenza alimentare (se costante nel tempo può causare l’abbandono definitivo del sito).
3. La mancanza di nidi alternativi (disturbo su quello principale o necessità di farlo “riposare”).
4. Disturbo generale eccessivo (se costante nel tempo può causare l’abbandono definitivo del sito).
5. Stato fisico debilitato soprattutto della femmina.
6. La continua inclemenza atmosferica (accertato nei territori settentrionali, dubbio in altri)
7. Fase fisiologica di riposo.
8. Adattamento per il non eccessivo sfruttamento delle risorse alimentari determinato dai continui allevamenti (Fasce & Fasce, 1992).
Il successo riproduttivo di una coppia di Aquila reale può essere favorito, oltre che da una serie di fattori concomitanti positivi, come la tranquillità del sito, l’abbondanza di prede, l’andamento stagionale favorevole, e così via, anche dalla maggiore o minore abilità della coppia ad effettuare l’allevamento con la dovuta cura. E' fuori dubbio infatti che al comportamento "standard" di base, proprio della specie, si affiancano varianti connesse alle caratteristiche etologiche delle singole coppie. Durante i lunghi anni di osservazione ho notato evidenti disparità tra una coppia e l'altra, per cui si passa dalla scoperta di individui estremamente premurosi nell'allevamento, a quella di altri meno solerti e meno provvidi (queste considerazioni sono evidenziate anche da Fasce & Fasce 1984). A volte il fallimento della nidificazione può essere imputato all’inesperienza della femmina che non accudisce con la giusta cautela le uova o non assiste bene la prole (ciò potrebbe essere vero soprattutto in riferimento alle prime nidificazioni).
Come è stato più volte evidenziato, il miglioramento dello status dell'Aquila reale in un dato territorio è certamente correlato oltre che a determinati fattori specifici (disponibilità di siti riproduttivi, tranquillità dei territori, ecc.), anche alla presenza abbondante e non di popolazioni di mammiferi di dimensioni medio-piccole (lepri, conigli, marmotte, citelli). Un esempio concreto ci viene offerto dal raffronto tra le popolazioni del rapace dell'arco alpino con quelle dell'Appennino. Sulle Alpi infatti si riscontra un'abbondante presenza in ambienti aperti di prede di questo tipo (soprattutto della marmotta); ne consegue che lo status dell'Aquila reale è nettamente migliore rispetto all'Appennino dove al contrario dette prede sono più scarse o addirittura assenti.
7.7. La longevità e la mortalità
Vi è una certa relazione tra la longevità massima e dimensione del rapace. I rapaci più grossi, e quindi le Aquile, vivono più a lungo di quelli piccoli.
Per ottenere informazioni precise sulla longevità di un' Aquila (e così di ogni altro rapace) è possibile utilizzare due sistemi: 1. raccolta di dati da animali allevati in cattività o dai falconieri; 2. raccolta di dati da animali selvatici contrassegnati (anelli). Quando un'Aquila è stata inanellata, manterrà il contrassegno per tutta la vita e qualora verrà ritrovata dopo morta sarà possibile risalire con precisione all'età del soggetto (ovviamente il sistema non è sempre efficace perché gli individui selvatici dopo morti molte volte non vengono recuperati e quindi sfuggono alle indagini). Sistemi più empirici e non sempre attendibili si basano invece sulle conoscenze dirette di una certa coppia che consente di poter valutare l'età in base ad una serie di parametri (particolari colorazioni del piumaggio, segni distintivi, ecc.). Dai dati disponibili in letteratura si evince che le Aquile reali in natura se superano il periodo critico dei primi anni di vita affinando nel frattempo l'esperienza per sopravvivere, hanno un tasso di mortalità molto basso e possono quindi essere molto longeve con punte di anche 25-30 anni (in Francia è stata registrata la morte di un individuo avente un’età di 25 anni e otto mesi - Chiavetta, 1981; Love & Watson, 1990). Fasce & Fasce (1984) sono propensi a considerare che in natura un soggetto sano di Aquila reale può superare i 30 anni. Il record vitale spetta però ai soggetti in cattività che in certi casi hanno raggiunto i 40-50 anni (si registra un caso di 57 anni - Glutz, 1971 in Fasce & Fasce, 1984). Seton Gordon (in Love & Watson, 1990) riporta un caso ritenuto dai più inverosimile di un’Aquila vissuta in cattività 95 anni!
Le cause della morte di un'Aquila reale (e così degli altri rapaci) è da imputare nella maggior parte dei casi all'uomo sia per via indiretta che diretta (oltre l'80%). Uno studio al riguardo di Doug Keran e del Raptor Rehabilitation Laboratory dell'Università del Minnesota rivelò che l'84,3% dei rapaci esaminati erano deceduti per opera umana (in Henny, 1991). Nella mia esperienza quasi tutte le aquile che ho rinvenute morte lo era per causa umana.
Una accurata ricerca sulla morte dei rapaci per causa dell'uomo permette di poter intraprendere varie iniziative (legislative, comportamentali, ecc.) per ridurre o eliminare le cause.
Le principali cause di morte di un’Aquila reale possono pertanto essere così riassunte:
Avvelenamenti
Bracconaggio
Elettrocuzione
Incidenti vari
Inedia
Malattia
Vecchiaia
Le specie a bassa produttività, come è appunto l’Aquila reale, sono eccezionalmente sensibili alle uccisioni e a qualsiasi danneggiamento.
Tuttavia, se si garantiscono condizioni ambientali ottimali o per lo meno soddisfacenti (prede abbondanti, tranquillità dei siti, ecc.), e si evitano le uccisioni dirette degli adulti, la longevità di questi ultimi permette di recuperare saldamente il numero degli effettivi e di rioccupare velocemente territori lasciati liberi.
7.8. Malattie parassitarie ed infettive
L'Aquila reale in libertà (come gli altri rapaci) possono ospitare un gran numero di organismi, dai batteri ai pidocchi. La maggior parte degli ospiti sono innocui a patto che si trovano su un soggetto sano e che il loro numero non sia eccessivo. Tuttavia molti agenti patogeni possono causare seri disturbi ad un soggetto di Aquila reale ed in certi casi condurlo anche alla morte.
(alcuni esempi: vaiolo aviario, malattie batteriche trasmesse dalle prede, infezioni da protozoi, Triconomoniasi, Elminti, pidocchi, Miasi, Ippoboscidi).
7.9. La dispersione degli individui
Come noto esistono tre forme di dispersione: emigrazione (movimento di allontanamento), immigrazione (movimento di avvicinamento) e migrazione (movimento periodico di andata e ritorno). La dispersione è influenzata sia dalle barriere naturali che dalla vagilità, cioè dalla capacità di movimento (Odum, 1973).
Nel caso dell’Aquila reale la popolazione comprende individui che, a seconda dell’età e della collocazione geografica, esprimono un particolare comportamento. L'Aquila reale è in genere una specie sedentaria, in quanto i suoi individui rimangono legati per tutta la vita ad un determinato territorio. Questa caratteristica di base è però specifica degli individui che hanno formato una coppia stabile e che sono geograficamente distribuiti nei territori meno nordici. Infatti, come sappiamo, gli individui che popolano le estreme regioni settentrionali del pianeta (Siberia, Nord del Canada, Alaska, Scandinavia settentrionale, ecc.), si spostano d'inverno verso sud alla ricerca di un clima meno inclemente e di giornate più lunghe.
I giovani e i subadulti ancora privi di un territorio sono erratici, per cui si spostano da una zona ad un'altra coprendo a volte lunghe distanze tanto da poter parlare di migrazione vera e propria. Fasce & Fasce (1984), rilevano che in certi Paesi le giovani Aquile prive di territorio spesso si disperdono largamente, come è il caso dei soggetti stanziati in Norvegia, Finlandia e Scozia, a differenza dell’Italia dove il fenomeno è molto più contenuto. Confermo il dato sulla Finlandia.
La dispersione degli esemplari di Aquila reale può dunque essere ricondotta ai seguenti fenomeni:
Migratori invernali. Adulti-giovani-subadulti in coppia stabile, stanziati nelle estreme regioni settentrionali del pianeta.
Erratici. Giovani, subadulti e adulti in cerca di territorio e del rapporto di coppia.
In base ad osservazioni ben documentate sembra che l’erraticità degli individui si attenui nei paesi con clima temperato (Cramp & Simmons, 1980).
7.10. La telemetria nelle ricerche sul campo
Una pratica sempre più diffusa in questi ultimi anni in campo zoologico è la radio-marcatura (o telemetria) che permette di rintracciare ognora le specie animali sottoposte alla ricerca. Nei rapaci la telemetria è stata impiegata per registrarne i movimenti, la dispersione nel territorio, le migrazioni, il comportamento, l'alimentazione, ecc. Tale pratica è risultata particolarmente utile soprattutto per le operazioni di reintroduzione di rapaci in determinati territori (per esempio grifoni). Anche l'Aquila reale è stata oggetto di studi telemetrici (Village, 1991).
Caratteristica generale che debbono avere le radiotrasmittenti è l'efficenza del segnale di emissione e la leggerezza; è stato calcolato che i rapaci possono portarsi dietro senza accusare disturbo fino al 4% del loro peso corporeo (Village, 1991). E' sempre preferibile utilizzare apparecchiature leggere e di minimo impaccio per il rapace. In genere sono di due tipi:
- a mo' di zainetto posto sulla schiena;
- piccola struttura da applicare su una penna (di solito timoniera).
Quest'ultimo tipo è probabilmente il migliore (alcune pesano solamente 12 gr.) e certamente non disturba il rapace. La massima portata di ricezione si ha se c'è linea retta senza ostacoli tra l'uccello e l'osservatore. Negli ultimi tempi in certi casi particolari si utilizzano finanche radiocollari satellitari collegati con un computer in grado di poter rilevare sempre gli spostamenti precisi dell’uccello (o mammifero).
E’ buona norma, comunque, non esagerare con tali apparecchiature in quanto la soglia tra il “necessario” e il “superfluo” è sempre molto labile!
7.11. La reintroduzione dell’Aquila reale
L’Aquila reale non è stata oggetto nel corso degli anni a particolare opere di reintroduzione nei territori in cui era scomparsa. Tuttavia negli ultimi tempi alcune operazioni in varie parti del mondo sono state effettuate o sono in corso. Un esempio europeo ci viene offerto dall’Irlanda dove, grazie ad un progetto cofinanziato dall’Unione Europea e da altri membri locali, si sta cercando di reinserire il rapace che si è estinto in queste contrade sin dai primi del secolo scorso (l’area interessata è il Glenveagh National Park e gli esemplari utilizzati provengono dalle coppie scozzesi). Ovviamente, come per ogni altra specie che si voglia reintrodurre in un territorio, occorre un largo spettro di studi onde verificare tutta una serie di fattori che possono rendere plausibile e durevole un tale tipo di intervento: potenziali siti di riproduzione, valenza trofica degli ambienti, fattori limitanti dovuti all’attività dell’uomo (inquinanti, antropizzazione, disturbo, ecc.), contrasti con le popolazioni locali, valenza temporale dell’operazione, ecc.
7.12. I meccanismi di controllo delle popolazioni di Aquila reale
Prescindendo dai fattori limitanti connessi all'antropizzazione del territorio, lo sviluppo di una popolazione di Aquila reale è soggetto a impulsi di autocontrollo che tendono a conseguire il giusto rapporto tra il numero degli individui presenti in un territorio e le risorse del territorio stesso. E' noto infatti che nessuna specie può svilupparsi indefinitivamente in quanto trova un limite nel potenziale biologico del territorio in cui vive. Possono verificarsi fenomeni di crescita o decrescita, ma sempre oscillanti rispetto ad un’asse medio definito“capacità biologica specifica” (carryng capacity level, costante K di crescita) che può essere considerata come il tasso di popolazione ottimale della specie.
Le fluttuazioni di una popolazione di Aquila reale possono dunque essere influenzate da due fattori generali: fattori estrinseci (di solito irregolari e dipendenti da uno o più fattori limitanti), ovvero le interazioni esterne alla popolazione, e fattori intrinseci (regolari o ciclici), ciò fattori interni alla popolazione. Ora, nell’ambito della consistenza delle popolazioni di Aquila reale, sappiamo che intervengono sia i fattori estrinseci riferiti principalmente all’intervento antropico, che i fattori limitanti intrinseci legati alla biologia dell’Aquila stessa.
Tra i principali meccanismi intrinseci che agiscono come fattori di autocontrollo di una popolazione di Aquila reale possiamo ricordare:
la divisione del territorio tra conspecifici;
l'emigrazione degli individui;
l'esubero dei giovani degli anni precedenti;
la bassa produttività;
il lento raggiungimento della maturità sessuale.
Questi meccanismi di controllo sono estremamente importanti per l’economia della specie e per il suo equilibrio nel territorio.
Tra i fattori estrinseci che intervengono sulla limitazione delle popolazioni di Aquila reale si ricordano:
persecuzione diretta (uccisioni, saccheggio dei nidi)
le alterazioni antropiche di svariata natura (manomissione del territorio, disturbo diretto ed indiretto durante la nidificazione, ecc.);
la carenza alimentare;
l'andamento stagionale climatico particolarmente avverso.
VIII. La protezione dell'Aquila reale
8.1. Premessa
La forte contrazione della consistenza delle popolazioni di Aquila reale, e perciò del loro areale di distribuzione, ha fatto si che negli anni passati il rapace venisse inserito nella “Red list” (rara, categoria III di abbondanza, < 10.000 coppie - Frugis & Schenk, 1981; Watson, 1994); fortunatamente in questi ultimi decenni, grazie ai più solerti e adeguati interventi protettivi, sia diretti che indiretti, si è avuto una inversione di tendenza, almeno per quanto attiene ad alcune subpopolazioni (Fasce & Fasce, 1984), ma ciò non deve indurre ad un facile ottimismo poiché l’Aquila reale, soprattutto in certe località, è tuttora una specie a rischio principalmente per l'effetto determinato dalle gravi alterazioni del territorio. L'Aquila reale rappresenta "un'ammiraglia" della salubrità dei territori montani, quindi, se abbandona una montagna vuol dire che si sono create delle condizioni negative non solo per il rapace.
8.2. Agenti negativi
Le cause che si pongono all'origine del rischio-Aquila sono molteplici; col seguente elenco si indicano le più significative:
Uccisioni dirette (caccia, bracconaggio).
Disturbo della nidificazione, con conseguente insuccesso della stessa.
Manomissione dei territori vitali del rapace (apertura di strade, costruzioni di manufatti come impianti di risalita, forestazione industriale in luoghi delicati per il rapace, ecc.).
Tagli forestali nelle zone di nidificazione dove le aquile utilizzano gli alberi per il loro nido (territori settentrionali, europei, nordamericani, orientali).
Escursionismo, alpinismo di massa ed altre attività ricreative (eliski, motocross, fuoristrada, birdwatchers, fotografia naturalistica, ecc.); fonti di turbativa delle attività di caccia del rapace, moltiplicano anche le occasioni che compromettono la nidificazione.
Avvelenamenti con bocconi o tramite carogne intossicate.
Avvelenamenti da fitofarmaci e similari (causa apparentemente secondaria, tranne casi localizzati)
Saccheggio di uova o di nidiacei.
Falconeria (almeno in certe forme)
Rarefazione delle prede (causa indiretta).
Morti per folgorazione (elettrocuzione) e collisioni con i fili degli elettrodotti.
Collisione con gli impianti eolici industriali
Collisioni con alianti, aerei o deltaplani (eventi rari ma accaduti).
La lettura del precedente elenco non può che suscitare grave allarme tra gli ornitologi; ci sembra tuttavia che l'allarme debba trasferirsi con più drammaticità agli ecologi, giacché l'alterazione del territorio causata dalla presenza antropica non è esiziale soltanto per la sopravvivenza dell'Aquila reale, ma è soprattutto un grave pericolo per l'equilibrio dell'ecosistema nel suo complesso.
In molte parti del pianeta, dove la specie è protetta, gli abbattimenti illegali anche se notevolmente diminuiti sono sempre una realtà. In Scandinavia, per esempio, l’Aquila reale non è minacciata di estinzione, ma la caccia illegale è molto diffusa soprattutto da parte dei Lapponi (Klaesson, 1985). Se questi abbattimenti non si verificassero la popolazione Scandinava incrementerebbe il proprio status con un 10% di giovani in più l’anno (Klaesson, 1985).
8.2.1. Fattori di disturbo
Si definiscono fattori di disturbo le attività umane che arrecano danno alla riproduzione del rapace o in ogni caso agli adulti stessi (Tormen & Cibien, 1991).
Si dividono in diretti ed indiretti. Possono interessare sia i siti di nidificazione che i territori di caccia principali e secondari del rapace.
1 - Diretti: attività umane che deliberatamente disturbano il rapace avvicinandosi pericolosamente ai siti riproduttivi.
Esempi: bracconaggio, fotografi, curiosi, ecc.
Reazione dell'Aquila: fuga e abbandono del nido (momentaneo o permanente se il disturbo è continuo). Riduzione dell'attività di caccia.
2 - Indiretti: attività umane che inconsapevolmente disturbano il rapace nei siti riproduttivi e nei territori di caccia.
Esempi: escursionisti, alpinisti, gitanti, pastori e boscaioli, ricercatori, fuoristrada, deltaplani, alianti, parapendio, eliturismo, ecc.
Reazione dell'Aquila: fuga ed abbandono del nido (momentaneo o permanente se il disturbo è continuo). Riduzione od impedimento dell'attività di caccia.
8.2.2. Fattori di rischio
Vengono definiti fattori di rischio le alterazioni subite dall'ambiente dove una coppia di Aquila reale ha il proprio home range. Possiamo suddividere i fattori di rischio in due aspetti:
1. Fattori di rischio ricadenti nel sito di nidificazione
2. Fattori di rischio ricadenti nel territorio di caccia
Nel primo caso essi possono causare l'abbandono della cova e quindi il fallimento della riproduzione. Nel secondo invece, i fattori di rischio possono alterare e compromettere non poco le attività del rapace squilibrando le sue esigenze vitali (indirettamente possono anche mettere a rischio la riproduzione).
I fattori di rischio principali sono (Tormen & Cibien, 1991 modificato):
Attività agro-silvo-pastorali
Cavi elettrici a fune
Impianti eolici industriali
Centri abitati
Costruzioni isolate e in alta quota (per esempio rifugi)
Impianti di risalita o altre piste di sci
Sentieri escursionistici o alpinistici
Strade di vario genere
Altro
Un elemento importante dei fattori di rischio è la loro distanza dai siti riproduttivi dell'Aquila.
Tuttavia occorre evidenziare che la maggior parte delle alterazioni elencate sono più deleterie se avvengono dopo che una coppia di Aquila si è inserita in un dato territorio. Altrimenti se accade il contrario i fattori di rischio in certe circostanze si attenuano.
Durante la nidificazione se l'Aquila si sente disturbata entro i limiti di sicurezza, tenta a mimetizzare ulteriormente il suo rientro al nido. In una occasione proprio sotto ad un nido di Aquila reale era in corso, durante la cova, un taglio boschivo. Malgrado il disturbo palese, il rapace non abbandonò la cova (probabilmente il distrubo anche se evidente non era oltre il limite di sicurezza), ma mise in atto una strategia di difesa mimetizzando al massimo i rientri al nido (in verticale o con altra traiettoria mimetica) (Borlenghi 1992, comunicazione personale).
N.B. I fattori di disturbo e di rischio per l’Aquila reale nelle provincie di Belluno e di Treviso sono ben riassunti in Tormen & Cibien (1991).
8.3. Agenti negativi: breve approfondimento
8.3.1. Alterazioni dell’ambiente
Come si è più volte osservato, il danno ambientale derivato dall’attività umana è gravissimo. Le cause dirette e indirette che sono all’origine del cennato declino ambientale, e perciò delle gravi conseguenze apportate alla vita dell’Aquila reale e ovviamente al resto della fauna selvatica, possono così riassumersi:
1. Costruzione di strade. Il proliferare di strade di varia natura, specie di quelle di montagna, ha largamente contribuito a sovvertire l’equilibrio ecologico di vaste zone, poiché la viabilità moltiplica la presenza umana originata dai più vari motivi, come il turismo, la ricreazione, le attività produttive, ecc. Il venir meno delle condizioni di isolamento e di tranquillità di cui l’Aquila necessita, produce ovviamente gravi mutazioni all'habitat della specie.
2. Turismo ed insediamenti turistici. Tra i pericoli che insidiano gravemente gli ecosistemi naturali (marini, costieri, collinari, montani, ecc.) emerge l’esplosione turistica che, sotto varie forme come per esempio gitanti, escursionisti, alpinisti, free-climbing invade in massa anche le zone più remote del territorio. La domanda turistica sollecita la costruzione di insediamenti permanenti che implicano la cementificazione di coste marine, lacustri, di ambienti montani e collinari. Le attività sciistiche poi, oltre che tradursi nella realizzazione di strutture ricettive (alberghi, ristoranti, ecc.), danno anche luogo alla costruzione di imponenti impianti di risalita; in Italia le funivie che si sviluppano in ambiente montano raggiungono lo sviluppo complessivo di tremila chilometri, per cui riescono a concentrare grandi masse turistiche in zone montane proprio durante il periodo invernale che per la fauna è estremamente delicato (lo stesso vale ovviamente anche per altri paesi come Austria, Svizzera, ecc.). Grave danno è provocato anche dal cosiddetto "sci fuori pista" come lo sci-alpinismo, lo sci-escursionismo e lo sci di fondo, in quanto esso diffonde i praticanti, su vasti, e remoti, territori montani. L'ondata turistica che si riversa sulla montagna è arrivata al punto che nelle Dolomiti c’è chi propone addirittura il numero chiuso dei turisti, allo scopo di limitare i danni arrecati all’ambiente, tra cui quelli che concernono la nidificazione dell’Aquila reale e degli altri rapaci; si pensi che in molti distretti europei ed italiani i nidi posti a basse quote devono essere sorvegliati durante l’intero periodo di nidificazione per salvaguardare la cova e la conseguente nascita dei pulli.
Grande disturbo apportano anche i voli con il parapendio, il deltaplano e il volo a vela con gli alianti (oltre ovviamente agli elicotteri quando volano a bassa quota). Soprattutto durante la nidificazione del rapace queste pratiche sono estremamente dannose tanto che in certe circostanze sono la causa preminente del fallimento riproduttivo. In una occasione ho avuto modo di constatare direttamente l'abbandono del nido da parte di una coppia di Aquila reale in cova a causa di un elicottero che per oltre un'ora ha sorvolato a distanza ravvicinata le pareti rocciose dove era insediato il rapace. Il passaggio vicino ai siti di nidificazione dell'Aquila reale oltre a spingerla ad abbandonare il nido può addirittura determinare sporadicamente l'attacco del velivolo (il deltaplano in caso di attacco può subire gravi lacerazioni alle vele). In tal senso si registrano casi nella zona delle Dolomiti (Tormen & Cibien, 1991). Personalmente ho assistito in diverse occasioni a deboli “attacchi” nei confronti di alianti. Ciò può accadere in quanto questi velivoli possono essere considerati dalle Aquile come uccelli antagonisti invasori del territorio di nidificazione.
3. Riprese cine-fotografiche e la ricerca scientifica. Anche l’attività esplicata da fotografi e cineasti spregiudicati è a volte fonte di notevole turbamento per la vita dell’Aquila; infatti non è raro che, per ottenere la foto o la ripresa desiderata, qualche operatore insista con riprovevole ostinazione nel ritrarre l’esemplare oggetto dell’estemporaneo interesse, sino a provocare l’interruzione della nidificazione per l’eccessivo avvicinamento al nido.
Analoga considerazione vale per alcuni ricercatori impropriamente definiti “naturalisti” che, pur di ottenere i dati per i loro studi, spesso finalizzati soltanto alla carriera scientifica, ricorrono a comportamenti che offendono proprio la wilderness della natura; questo giudizio vale a maggior ragione per gli effetti derivanti dalle ricerche effettuate su alcuni animali selvatici (p.e. mammiferi) spesso oggetto di vere e proprie aggressioni costituite dall'applicazione esasperata di radiocollari e di marcature, sempre in nome della ricerca scientifica.
4. Insediamenti industriali. Lo sviluppo industriale è alla base dell’economia della società contemporanea ed è perciò favorito dai programmi governativi, oltre che dalla molla del profitto. Le attività industriali, soprattutto chimiche ed energetiche, esercitano nei confronti della fauna una duplice azione nociva: a)inquinamento del territorio (per esempio rilascio di metalli pesanti come il mercurio); b) distruzione di preesistenti ecosistemi.
5. La distruzione e l’errata gestione dei boschi. La progressiva distruzione dei boschi ha rarefatto la presenza della fauna tipica dello specifico ambiente, sia perché li ha privati dei siti di nidificazione, per quanto attiene agli uccelli, sia perché li ha disturbati nelle loro azioni di caccia. Gli errati rimboschimenti che colonizzano territori come pascoli o praterie di altitudine, riducono, come abbiamo già osservato, il territorio di caccia dell’Aquila reale. In Scozia ho rilevato l’esistenza di estesi rimboschimenti industriali che alterano non poco il territorio delle Aquile stanziate in quei luoghi. E' da osservare infine che la meccanizzazione dei tagli boschivi comporta una grave distruzione degli ambienti, sia per effetto dell'apertura di strade, sia a causa dell'eccessivo rotolamento del legnatico e dei complessi lavori annessi. Se tale pratica è operata nei pressi dei nidi di una coppia di Aquila reale, può comportare l’abbandono della nidificazione o in ogni caso mutamenti del suo comportamento (rientri alternativi al nido, riduzione dell’alimentazione dei nidiacei, riduzione dell’alternanza nella cova, ecc.).
6. La pastorizia. La forte riduzione della pastorizia nei territori montani ha causato un serio danno a certi rapaci, privati delle fonti alimentari costituite sia dall'occasionale predazione di agnelli, sia - soprattutto - dal non infrequente ritrovamento di placente e di carogne di ovini morti per malattia, o a causa di incidenti. Basti pensare che in Sardegna la contrazione della pastorizia ha causato gravi danni alla sopravvivenza del grifone, tanto che si deve sopperire con appositi carnai. L’avvoltoio grifone in Spagna trova il suo più abbondante alimento proprio nel bestiame domestico (ovini), lasciato in gran numero allo stato brado. Anche l’Aquila reale ha risentito della riduzione degli allevamenti bradi zootecnici in quanto, come più volte sottolineato, nella sua dieta le carcasse assumono un ruolo non indifferente soprattutto durante la stagione invernale. Di solito le carogne rinvenute in montagna appartenevano e appartengono quasi sempre a specie domestiche, almeno in certe località (p.e. sugli Appennini), poiché la grossa fauna selvatica era, ed è, fortemente contratta. La riduzione di queste carcasse non è solo dovuta alla diminuzione del bestiame brado, ma anche ai progressi della medicina veterinaria che ha ridotto notevolmente la mortalità del bestiame. In aggiunta, si ricordano le numerose disposizioni sanitarie che obbligano quasi sempre l’interramento degli animali morti in montagna. Quanto detto non deve però far dimenticare che la pastorizia eccessiva, capillare, localizzata e non controllata apporta un gravissimo danno all'ambiente (danneggiamento del cotico erboso, impedimento alla rinascita del bosco, disturbo eccessivo, costruzione degli annessi, competizione con gli erbivori selvatici, ecc.).
7. Incidenti legati ad attività umane. Ogni anno un rilevante numero di animali perde la vita per incidenti causati dall’operato dell’uomo, come accade per esempio quando sono investiti da mezzi meccanici, o sono colpiti da folgorazioni da elettrodotti (elettrocuzione) o dal roteare delle immense pale dell’energia eolica industriale.
Le linee elettriche sospese rappresentano una grave minaccia per i rapaci soprattutto se di grandi dimensione come l'Aquila reale. Negli Stati Uniti è stato verificato che la maggior parte delle folgorazioni, per quanto riguarda l’Aquila reale e l’Aquila di mare testabianca, colpiva gli esemplari giovani e subadulti (Olendorff et al. 1981 in Fasce & Fasce, 1984).
Le morti o gravi danneggiamenti possono accadere per diverse cause: scontri con i fili (collisioni), contatto con i due poli, oppure un polo e la terra (Ledger, 1991). All'opposto di questi aspetti negativi, vi è il "vantaggio" di utilizzare i pali e i fili come posatoi per la caccia o adirittura per la riproduzione nelle zone aride prive di alberi (Ledger, 1991).
Uno studio mondiale sulle collisioni di rapaci con le linee di servizio (elettriche, telefoniche, ecc.), ha rilevato che il 70% delle presumibili collisioni colpivano il falco pellegrino (Falco peregrinus), l'aquila reale (Aquila chrysaetos), l'aquila di mare (Haliaeetus albicilla), la poiana dalla coda rossa (Buteo jamaicensis) e il falco pescatore (Pandion haliaetus) (Ledger, 1991). Nella sola Europa ogni anno sono milioni gli uccelli che muoiono per elettrocuzione e collisione con le linee elettriche. Per esempio in certi distretti l’elettrocuzione rappresenta una delle principali cause non naturali delle morti del gufo reale (Penteriani, 1996).
Negli Stati Uniti i continui decessi dell'Aquila reale sollecitarono gli studi volti a trovare una soluzione, almeno verso le morti per folgorazione. Furono ottenuti buoni successi con una maggiore spaziatura tra i fili, o posizionando diversamente i bicchierini; furono inoltre approntate strutture in legno in sostituzione di quelle in metallo e furono predisposti specifici posatoi (Olendorff et al. 1981 in Fasce & Fasce, 1984).
Anche l'Aquila reale (così come il falco pescatore, la poiana dalla coda rossa, l'aquila rapace, ecc.) tenta di nidificare, anche se non eccessivamente, sopra le torri dei grandi tralicci (Ledger, 1991). Per favorire ciò negli USA sono state attivate in certe località delle piattaforme appositamente progettate da Morlan Nelson (Ledger, 1991).
Altro grave esempio di danno alla fauna ornitica è rappresentato dai grandi complessi di energia eolica industriale che causa ogni anno l’uccisione di centinaia di migliaia di uccelli, ivi inclusi quelli di grandi dimensioni come aquile e avvoltoi. Ciò è particolarmente evidente nelle strutture poste in ambienti montani (si ricorda che i rotori raggiungono una altezza finanche di un centinaio di metri).
8.3.2. Avvelenamento chimico
L’impiego di alcune sostanze tossiche, usate sia in agricoltura che nell'industria, ha causato gravissimi danni anche ai rapaci, soprattutto in riferimento alla loro produttività. L’avvelenamento chimico, ormai capillarmente diffuso, ha alterato quasi tutti i cicli naturali della campagna, privando la biocenosi di fondamentali elementi che sono alla base degli equilibri dei singoli ecosistemi. Molte sostanze chimiche, nell’ambito della catena alimentare, si concentrano ad ogni passaggio. A farne maggiormente le spese sono ovviamente i predatori ed i superpredatori, posti al vertice della piramide. Oltre ad evidenti danni diretti di avvelenamento acuto, si verifica anche un subdolo accumulo nell’organismo delle sostanze tossiche causando gravi squilibri fisiologici non ultimo quello che incide sul metabolismo del calcio (Chiavetta, 1981), da cui consegue una fragilità del guscio delle uova che è talmente sottile da rompersi col semplice peso dell’uccello in cova (Chiavetta, 1981). Un palese esempio ci viene offerto dai danni di tal genere subito dal pellegrino in quasi tutti i distretti nordici di presenza, ma anche da altre specie (p.e. lo sparviere). Si nota inoltre un aumento della sterilità delle coppie (Chiavetta, 1981), sterilità che è spesso dovuta alla ricaduta delle radiazioni derivanti da apparati nucleari. Anche l’Aquila reale ha subito e subisce danni per l’impiego di sostanze tossiche in agricoltura. Per esempio in California una specifica ricerca sembra aver dimostrato l’avvelanamento di esemplari di Aquila reale e anche di altre specie per l’uso del Chlorophacinone, un rodonticida antiguagulante (Peeters, 1994). In Scozia nei primi anni sessanta l’avvelenamento da pesticidi incise profondamente sulla produttività dell’Aquila reale (Lockie & Ratcliffe, 1964 in Fasce & Fasce, 1984). In particolare su 39 coppie seguite solo il 29% ebbe successi riproduttivi e quasi il 40% subì la rottura delle uova (Lockie & Ratcliffe, 1964 in Fasce & Fasce, 1984).
La proibizione pressoché totale di pesticidi particolarmente dannosi, come per esempio il DDT, ha favorito in certi Paesi il parziale riequilibrio di alcuni elementi e, per quanto attiene ai rapaci, una leggera ripresa di certe specie (si ricorda il falco pellegrino nella fascia settentrionale di presenza), ripresa a volte incoraggiata da specifiche operazioni di reintroduzione. Ad onor del vero occorre però ricordare che l’inquinamento ambientale è talmente incontrollabile e così capillarmente diffuso che difficilmente potrà trovarsi una soluzione che riduca i suoi danni. I grandi interessi economici, alla base di tutte le attività dell’uomo contemporaneo, nascondono le verità e fanno si che non vada avanti ciò che è giusto ma solamente quello che è più redditizio! L’economia umana non collima affatto con quella della natura.
8.3.3. Caccia ed altre persecuzioni dirette
Caccia. L’Aquila reale, al pari degli altri rapaci e dei grossi mammiferi predatori, è stata spietatamente perseguitata, abbattuta con ogni mezzo ed in ogni modo. Con la falsa credenza, spesso in malafede, della nocività dei predatori, si è dato corso fino a pochi anni or sono ad una vera e propria campagna di decimazione che ha portato nel volgere di breve tempo alla rarefazione di moltissime specie e alla scomparsa di altre (si pensi al lupo in molti distretti europei e nordamericani). Vi è stato un periodo in cui l’Aquila reale, per non parlare degli altri uccelli da preda, venne perseguitata in mille modi, per mezzo di bocconi avvelenati (avvelenamenti diretti ed indiretti), trappole (persino tagliole nei nidi), distruzione dei nidi, uccisioni dirette con fucili, ecc. tanto che, nel volgere di pochi anni, la popolazione del rapace si ridusse enormemente.
Emblematico lo sterminio dell’Aquila dalla coda lunga (Aquila audax), praticato sino a poco tempo fa in Australia ove, dal 1950 al 1959, furono uccisi più di 120.000 esemplari (Brooker, 1991)! In Alaska nel periodo 1917-52 furono uccise 128.273 aquile di mare dalla testa bianca (Newton, 1991). In Norvegia nel periodo 1846-1900 furono uccisi 223.487 rapaci tra cui 61.157 Aquile reali e aquile di mare (Newton, 1991). La lista potrebbe essere lunga.
Grazie alle pressioni effettuate dalle associazioni ambientaliste, dagli ornitologi e da altri scienziati, oggi in molti Paesi la maggior parte dei rapaci è compresa tra le specie protette (in Italia sono protette tutte). Fortunatamente dopo la bandita di caccia, l’Aquila reale, come abbiamo più volte visto, sta ricolonizzando molti dei territori che le erano propri, ad eccezione di quelli che hanno subìto particolari mutamenti (ambientali, trofici, ecc.) tanto da non consentirle di sopravvivere pur diminuendo fortemente le persecuzioni dirette. Ma occorre notare che, quantunque tale protezione sia in vigore da molti anni, si verificano ancora atti di bracconaggio con la conseguente perdita di molti esemplari; ad un danno di tale gravità si aggiunge quello provocato dal disturbo che l’attività venatoria causa per sé stessa sul territorio. Si deve purtroppo soggiungere che le attività di bracconaggio, specie quelle esercitate in Italia, sono agevolate dalla quasi totale assenza di efficace e concreta sorveglianza sul territorio, nonché dall’incoscienza di molti cosiddetti “cacciatori”. Si calcola che in Italia l’attività venatoria, unita alla “lotta ai nocivi”, abbia causato una riduzione dei Falconiformi nidificanti nella misura del 40% (Chiavetta, 1981). Fortunatamente, oggi la situazione va gradualmente migliorando, sebbene l’effetto prodotto dalla distruzione ambientale costituisca, per suo conto, un serio ostacolo alla ripresa.
Esempio di altre persecuzioni. Gli allevatori di ovini, nella maggior parte dei casi, hanno sempre visto negativamente la presenza dell'Aquila reale. In alcune zone del pianeta (per esempio nel Texas e nel New Mexico) sino agli anni sessanta, usavano abbattere tutte le Aquile della zona, molte delle quali provenienti da territori più a nord, per mezzo di apposite battute di caccia organizzate con gli aerei (si uccidevano anche 1000-2000 Aquile all'anno) (Newton, 1991). Gli allevatori affidavano l'operazione a piloti esperti. La maggior parte delle battute, che spesso duravano anche diversi giorni, erano effettuate poco prima della nascita degli agnelli. Man mano che le Aquile venivano eliminate, altre iniziavano ad arrivare dalle zone vicine, e quindi si ripetevano le battute di caccia (venivano "bonificate" zone distanti anche 240 km. da un aeroporto) (Newton, 1991).
8.3.4. Falconeria, commercio, collezionismo
Uno dei motivi principali della scomparsa dell’Aquila di mare (Haliaeetus albicilla) dai territori scozzesi fu la depredazione delle uova dai nidi. L’esempio della Scozia ci ricorda che questa assurda pratica, unita alla cattura dei giovani, ha ovviamente toccato tutti i rapaci quasi in ogni parte del mondo, tra cui l’Aquila reale. Attualmente sebbene tali attività siano ufficialmente proibite nella maggior parte degli Stati, hanno ancora molti cultori (collezionisti, commercianti, falconieri, ecc.). La cattura di adulti da imbalsamare per costituire poi ingloriosi trofei, oltre che essere espressione di una necrofilia di pessimo gusto, provoca anche la scomparsa di esemplari appartenenti, come per esempio le Aquile, alle specie che esprimono particolare fascino. La falconeria dal canto suo alimenta un notevole mercato illeggittimo sollecitato dalla domanda che proviene dai Paesi arabi, concernente - per la maggior parte - richieste di specie del tipo del falco pellegrino (Falco peregrinus).
L'origine della falconeria si perde nella notte dei tempi tanto che alcuni autori la fanno risalire nelle regioni orientali al 2.000 a. C. (Burnham, 1991). Lo stile di vita delle popolazioni nomadi asiatiche ben si congeniava con la falconeria, che era praticata con aquile e falconi con il precipuo intento di procurarsi la carne per l'alimentazione (Burnham, 1991) (le Aquile venivano impiegate anche per la caccia al lupo). Con il trascorrere del tempo la falconeria si diffuse largamente anche in Cina, India, Persia e Arabia.
Nell'area mediterranea si sviluppò a partire dal 400 d. C., mentre nel sesto secolo entrò nella pratica delle tribù germaniche (Burnham, 1991).
Poco alla volta la falconeria assunse sempre più la connotazione di un'attività sportiva ed il periodo tra il 500 e il 1600 d. C. vide il suo culmine nell'Europa cristiana e nell' Islam (Burnham, 1991).
Nel Medio Evo molto spesso vi era una corrispondenza tra il rango sociale e il rapace posseduto. I falconi entrarono a far parte sempre più della vita quotidiana e molti personaggi storici divennero appassionati falconieri (Gengis Khan, Federico II, ecc.). Con l'avvento dei fucili per la caccia, il disboscamento, l'istituzione di riserve di caccia e le modificazioni del sistema dei latifondi furono le cause preminenti del declino della falconeria nel diciassettesimo e diciottesimo secolo (Burnham, 1991). Inquadrati come animali nocivi e potenziali rivali per la caccia incominciò una radicale opera di distruzione. Intanto la falconeria continuava ad esistere solo nell'ambito di un ristretto gruppo di persone (Burnham, 1991). Tuttavia nei paesi arabi la falconeria è rimasta nel tempo quasi del tutto immutata nella forma e nello stile anche se recentemente l'impiego nel deserto di mezzi fuoristrada in sostituzione dei cammelli durante le "battute" con il falcone ha alterato e sconvolto integralmente il rito della falconeria dei vecchi beduini (Burnham, 1991).
Ai giorni d'oggi la falconeria, certamente ridotta, viene anche impiegata per allontanare dagli aereoporti gli uccelli che ostacolano l'attività degli aerei.
Nella pratica della falconeria le specie di rapaci più ambìte sono stati sempre i falconi (falco pellegrino, falco sacro, girfalco, ecc.), mentre in misura minore lo erano le aquile e le altre specie più grandi. Infatti nel senso puro la falconeria fa riferimento solo ai falconi del genere falco, mentre le persone che cacciano con le aquile vengono chiamati austringers (Burnham, 1991). A volte si ricorre anche agli ibridi per miscelare le qualità di due specie (per esempio falco pellegrino-girfalco).
Oggigiorno la maggior parte dei falchi impiegati nella falconeria provengono esclusivamente (o dovrebbero provenire) da allevamenti autorizzati che riescono a riprodurre con successo tutte le specie desiderate (soprattutto falconi). Spesse volte da questi allevamenti (la maggior parte nati proprio con l'obiettivo primario della conservazione) sono pervenuti i falchi impiegati per la reintroduzione in natura nei luoghi dove erano quasi del tutto scomparsi (per esempio il falco pellegrino nel Nordamerica); molte volte in queste operazioni di reintroduzione hanno dato il loro contributo anche esperti falconieri. Ovviamente in certe località si impiegano ancora ufficialmente rapaci catturati in natura (per esempio in Mongolia) o là dove è proibito non mancano prelievi illegali ed irresponsabili. Non può essere taciuto il fatto che soprattutto negli anni passati la predazione ai nidi delle uova o dei pulli da parte dei falconieri è stata una delle cause della decimazioni di intere popolazioni di rapaci in determinati località.
Tuttavia la falconeria non può essere vista solo dall'ottica umana, ma soprattutto dal giusto verso della natura. Allora essa apparirà come un'ennesima espressione di dominio umano verso l'“indifeso” e selvaggio mondo naturale. E' fuori dubbio che nessuna attività umana potrà essere assolta se la confrontiamo con la storia naturale. Si tratta di una legame distorto tra uomo e animale che porta l'animale ad un irreversibile snaturamento. Una volta imprintati questi uccelli non possono praticamente essere "riconsegnati" al mondo della natura selvaggia. Un'Aquila selvatica si ritrae sempre dinanzi ad un uomo, mentre un'Aquila da" falconeria" cerca sempre l'uomo!! (Mezzatesta, 1984).
8.4. La protezione dell’Aquila reale
Per riservare un futuro migliore alla vita dell’Aquila reale, oltre che ovviamente agli altri rapaci, occorre operare in diverse direzioni, considerando tuttavia che difficilmente i risultati potranno apparire nell’immediato. Se la “regina dei cieli” in diversi distretti sta ricolonizzando vecchi territori di presenza, questo non deve indurci ad abbassare la guardia perché le insidie alla natura sia subdole che palesi sono sempre all’agguato e possono causare, nel volgere di breve tempo, gravi squilibri ambientali che inevitabilmente si riperquoterebbero sulla vita dell’Aquila reale. In breve, i punti essenziali da tener presenti per realizzare una efficace protezione dovrebbero così articolarsi:
1. eliminare le uccisioni dirette ed il prelievo di uova e nidiacei per fini commerciali e per la falconeria (in molti Paesi, tra cui l’Italia, tale protezione è già una realtà da alcuni anni). Le sanzioni dovrebbero essere eccezionalmente severe, sino all'irrogazione di multe elevatissime e all'arresto;
2. dare vigore alle norme di salvaguardia, sia intensificando i controlli, sia attuando una stretta vigilanza sul territorio;
3. divulgare capillarmente le reali nozioni della conservazione della natura e, nello specifico caso, le funzioni che l’Aquila reale svolge nella complessiva economia della natura;
4. organizzare, ove possibile, servizi permanenti di sorveglianza durante tutto il periodo riproduttivo, o almeno per la sua maggior parte, specialmente per i siti di nidificazione a rischio (questa pratica si sta diffondendo anche in Italia, grazie anche all’interessamento delle associazioni protezionistiche e del Ministero delle Politiche Agricoli e Forestali);
5. programmare l’istituzione saltuaria di carnai in punti adatti per surrogare la mancanza, per causa antropica, di prede e di carogne. Limitare l’interramento delle carcasse del bestiame perito per cause non pericolose;
6. ridurre drasticamente l’impiego dei prodotti chimici tossici in agricoltura;
7. chiusura dell’attività venatoria nelle località più frequentate dall’Aquila reale; ove ciò non sia possibile, ridurre i periodi e i giorni di caccia. Vincolare il cacciatore al territorio in maniera che si senta responsabile della zona ed operi con coscienza e raziocinio.
8. proibire l’arrampicata sportiva, l’alpinismo e i lavori di varia natura, nei pressi dei punti di nidificazione;
9. approfondire le osservazioni sul campo per acquisire una completa conoscenza dello status delle varie popolazioni di Aquila reale, del loro tasso di fecondità e di successo riproduttivo; questi studi saranno utili per programmare gli eventuali interventi sul territorio;
10. favorire il ripristino della catena alimentare naturale con l’opportuna reintroduzione di specie scomparse per causa antropica e con la reale conservazione del territorio;
11. per evitare le folgorazione delle Aquile che si posano sugli elettrodotti appare opportuna l'istallazione di appositi posatoi sui tralicci; un tale intervento risulterà utile ovviamente anche per gli altri grandi rapaci (p.e. avvoltoi);
12. evitare di impiantare generatori eolici nei luoghi montani e non ove possono incidere pesantemente sulla mortalità degli uccelli. Prima di istallare un nuovo impianto occorre valutare con estrema perizia l’impatto ambientale che potrebbe determinare. Favorire gli impianti in zone ritenute adatte con rotori di piccole dimensioni e non disposti sul territorio in forte concentrazione;
13. mantenere segreti i siti di nidificazione individuati;
13. ridurre drasticamente la manomissione del territorio, come l’urbanizzazione, l’apertura di strade, la cementificazione, l’uso massiccio degli antiparassitari e degli altri veleni chimici, l’assalto del turismo e delle strutture ad esso collegate, ecc.;
14. istituire aree protette nel maggior numero possibile; finalizzare le aree protette alla vera salvaguardia degli ecosistemi indispensabili alla conservazione della natura. Nelle aree protette non limitarsi al solo divieto di caccia, ma evitare tutte le speculazioni “ecocompatibili” che compatibili non lo sono affatto (turismo, aree ricreative, ecc.).
8.5. Le aree protette
Se, come abbiamo appena visto, l'elencazione dei fattori negativi per l'Aquila reale appare fortemente articolata, univoca potrebbe invece essere la risposta: occorre istituire grandi aree protette, quali, sole ed efficaci garanzie di sopravvivenza del rapace a condizione che si faccia vera protezione della natura (ovviamente in certi casi occorre proteggere anche piccole realtà locali). L’istituzione di aree protette non da ovviamente licenza all’assalto irrazionale dei territori liberi. Una nazione civile dovrebbe proteggere con cura tutto il territorio variando solo i livelli di protezione.
L’istituzione di un’area protetta non sarebbe tuttavia sufficiente per sé stessa a conseguire lo scopo, se le consuete norme che ne regolano la gestione non venissero integrate da una più rigida normativa che, a puro titolo esemplificativo, potrebbe per esempio tenere conto delle seguenti prescrizioni, estendibili peraltro anche ai territori non protetti:
1. Chiusura assoluta al pubblico delle località direttamente interessate alla nidificazione, almeno nel periodo corrispondente alla cova e all’allevamento dei pulli (ciò è necessario se il sito di nidificazione può essere soggetto a disturbo diretto).
2. Rigida sorveglianza durante la nidificazione almeno per i nidi ad alto rischio.
3. Eventuale istituzione saltuaria e occasionale di carnai nell'ipotesi che per causa antropica vi fosse una sostanziale diminuzione della fauna selvatica predabile dall’Aquila. Ciò vale sopratutto durante il periodo invernale. In ogni caso però l’intervento deve essere sempre estremamente contenuto.
4. Inibizione dell'interramento di carogne di animali al pascolo morti per le più diverse cause (con l’eccezzione di avvelenamenti, epidemie o animali trattati con farmaci).
5. Chiusura permanente dei sentieri escursionistici che si sviluppano nelle delicate zone di caccia del rapace.
6. Chiusura permanente delle strade di montagna che interessano il territorio dell’Aquila, sia di fondovalle che di quota.
7. Chiusura totale o forte riduzione con un rigido controllo, dell’attività venatoria nelle zone di una certa valenza ambientale (vale per le aree non protette) per favorire la ripresa della fauna selvatica, potenziale preda del rapace.
8. Eliminazione integrale dei progetti di varia finalità che comportano gravi alterazioni ambientali (impianti sportivi, aperture di strade di montagna, ecc.).
9. Gestire e proteggere con particolare cura l'home range dell'Aquila reale onde evitare errori che si possano ripercuotere negativamente sulla vita della stessa.
Oltre a queste specifiche direttive da seguire per una corretta e concreta protezione dell'Aquila reale, si reputa opportuno formulare alcuni principi basilari per assicurare ad un' area protetta, grande o piccola che sia, una razionale tutela utile per tutta la fauna selvatica.
1. La Riserva deve svilupparsi su una superficie "accettabile", nel senso che la sua ampiezza deve armonizzarsi all'ambiente esterno antropizzato.
2. La Riserva deve rimanere circoscritta in una fascia di protezione esterna che funga da ammortizzatore tra le attività umane degradanti esterne e il territorio vitale dell'area protetta. Detta fascia deve coprire una superficie che sia un terzo maggiore dell'area protetta, meglio ancora se la fascia esterna copre un'estensione che supera di almeno due terzi quella della Riserva.
3. L'accesso del pubblico, almeno per le aree più delicate, deve essere condizionato a specifica autorizzazione e limitato a pochi sentieri.
4. Non appena si è proceduto all'istituzione di una Riserva occorre vietare le attività inquinanti preesistenti, e chiudere le strade che si sviluppano al suo interno fatta eccezione per quelle di interesse pubblico di collegamento; il numero dei sentieri escursionistici deve essere ridotto all'essenziale.
5. Per i primi cinque-dieci anni dalla sua istituzione la Riserva dovrebbe costituire oggetto di studi ecologici approfonditi, al fine di formulare un giudizio sulla situazione esistente (status del territorio e status biologico) e sul grado di ripresa possibile. In questa prima fase si dovrebbero evitare interventi di particolare rilievo (reintroduzioni di specie animali o vegetali, valorizzazioni turistiche, ecc.). Questo periodo potrebbe essere definito "fase di riposo".
6. Il vero intento che si pone all'origine della protezione dell'area oggetto della Riserva, deve essere la salvaguardia integrale della natura, lasciando da parte qualsiasi interesse umano.
7. La Riserva deve essere suddivisa in territori (zonazione), con vari gradi di protezione. La ripartizione delle zone dovrebbero articolarsi così (formulazione solo indicativa soggetta ad assestamenti in relazione della tipologia del territorio esaminato):
- Zona di protezione integrale (inibizione di qualsiasi intervento umano, ivi compreso il semplice accesso o interventi gestionali): 20% dell'area complessiva.
- Zona di riserva integrale generale (soltanto interventi umani che abbiano fini protezionistici, fermo restando il divieto di accesso): 10% dell'area complessiva.
- Zona di riserva generale (accesso umano solo dietro autorizzazione, per fini educativi e altre attività controllate): 30% dell'area complessiva.
- Zona di Riserva generale circoscritta alle zone più esterne o in ogni caso meno delicate (libero accesso, attività ricettiva controllata, ed altro): 40% dell'area complessiva.
A questa zonazione si aggiunge, come già puntualizzato nel punto n°2, un'ampia fascia di protezione esterna; tale fascia, eventualmente interdetta alla caccia, deve essere tutelata in particolar modo mediante severe norme di salvaguardia ambientale, sia per quanto concerne le attività lavorative umane, sia per quanto riguarda l'uso delle risorse naturali (boschi, acqua, ecc.).
8. All'interno delle varie fasce della Riserva vanno individuate, se necessario, aree di particolare interesse, meritevoli di tutela, come, ad esempio, zone delicate di nidificazione, siti con presenza di relitti vegetali rari, ghiaioni. Dette aree devono essere tassativamente precluse alla presenza umana.
9. Il regolamento, correttamente adeguato alla peculiarità del territorio protetto, dovrà essere rigorosamente attuato e rispettato.
10. L’istituzione di un’area protetta non sarebbe per sé stessa sufficiente a conseguire l'effettiva tutela del territorio, o quella di particolari specie animali, se i consueti regolamenti non venissero integrati da normative adeguate ai vari casi come si è visto in precedenza per la tutela dell'Aquila reale.
11. La ricerca scientifica esterna dovrà essere sottoposta alle norme dettate per ogni altro tipo di intervento umano.
12. In generale gli interventi gestionali nella Riserva devono essere molto contenuti. Essi, quando necessari, devono mirare esclusivamente a ripristinare le condizioni naturali compromesse dall’attività antropica; tale obiettivo si consegue a volte mediante la reintroduzione di specie faunistiche e vegetali presenti in epoche anteriori e distrutte dall’uomo, altre volte attraverso l’eliminazione di opere umane come strade, dighe, costruzioni di altri manufatti, ecc. Ovviamente questo tipo di intervento potrà essere attuato solamente in quelle aree che presentino condizioni abbastanza integre, che abbiano un minimo di capacità di ripresa e conservino la potenzialità necessaria ad accogliere le precedenti forme di vita.
13. Se la gestione reputasse utile procedere alla reintroduzione di particolari specie animali o vegetali all'interno dell'area protetta, come visto nel punto 12, dovrebbe far precedere gli eventuali interventi da lunghi e meticolosi studi, come ad esempio: raccolta delle testimonianze storiche sulla passata presenza della specie, individuazione delle cause che hanno determinato la scomparsa della specie, rilievi sulle esistenti condizioni ecologiche della Riserva al fine di appurarne la compatibilità con le specie da reintrodurre. Gli interventi ritenuti scientificamente attuabili dovranno ridurre al minimo le manomissioni del territorio (se per esempio sarà necessario costruire recinti di acclimatazione, occorre ubicarli in luoghi a basso impatto ambientale, preoccupandosi altresì di costruirli con strutture poco appariscenti). Evitare assolutamente di reintrodurre animali estinti nella zona da molti secoli soprattutto se non sussistono più le condizioni trofico/ambientali di un tale ritorno.
14. Il personale preposto alla sorveglianza dell'area protetta deve operare attivamente e concretamente per assicurare un attento ed efficace controllo del territorio (si ricorda che in alcuni paesi del nord europa, come per esempio la Finlandia, il senso civico e mentalmete radicato del rispetto delle regole, fa si che spesso nelle aree protette la soveglianza è minimale in quanto l’autodisciplina è così elevata da non rendere necessario specifici ed analiti controlli. Valgono ovviamente le dovute eccezioni per casi particolari).
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A questo punto, per concludere, domandiamoci se vi è la possibilità di comporre pragmaticamente il dissidio che oppone l'uomo alla natura; si, forse ciò è possibile se si riconsidera il problema nella sua globalità, che significa individuare un nuovo modello di sviluppo, e applicarlo nella sua interezza. Nuovo modello di sviluppo significa eliminare o per lo meno ridurre ogni forma di inquinamento ambientale e di distruzione e pianificare lo sviluppo tecnologico e demografico, nonché valutare realmente tutte le forme di impatto ambientale che l'uomo determina per sviluppare una società al massimo della sostenibilità. Ma significa anche influire drasticamente sul pensiero e quindi sul comportamento del singolo uomo nei confronti della natura; quest’ultimo è un punto essenziale del problema.
“E' l'uomo che deve adattarsi alle esigenze della natura e non viceversa. Se è possibile, facciamo in modo che gli animali selvaggi vivano nella loro libertà e nella loro fierezza, quella libertà e quella fierezza che l'uomo, prigioniero e schiavo delle proprie convenzioni, forse incosciamente invidia”.
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