venerdì 30 giugno 2023

Il concetto del valore in sé della Natura

                                        Wild Nahani


Il concetto del valore in sé della Natura








“Un filosofo ha definito questa essenza imponderabile il noumenon delle cose materiali. Esso è in opposizione al phenomenon, che è ponderabile e prevedibile, fin nel moto delle più lontane stelle” (Aldo Leopold, 1949-1997). La conoscenza di un fenomeno è puramente empirica, cioè frutto della mediazione sensibile del soggetto. Tale acquisizione però, non può essere elevata a concetto universale, essendo del tutto arbitrario generalizzare un’esperienza strettamente individuale. Una personale esperienza, poi, presenta dei limiti anche verso se stessa, perché è il frutto di un “momento” empirico continuamente variabile.

Il “valore in sé o intrinseco” di un fenomeno (noumeno), valore privo di esperienze e mediazioni soggettive, assume invece carattere duraturo, universale e reale. Il “valore in sé” è qualcosa di superiore, qualcosa di non definibile forse non conoscibile, che trascende il soggetto per divenire essenza dell’oggetto: “il Tao definito non è l’eterno Tao” (Lao Tse). Ecco dunque apparire nella mente un profondo concetto universale e “nobile”.

Solo in una fase successiva potremo “interpretare” il noumeno trasformandolo in un “fenomeno” cioè oggetto dei sensi. Nasce quindi la contrapposizione tra le “cose in se stesse” e le “cose rispetto a noi”. Questo dualismo è un concetto fondamentale, come vedremo, anche per la protezione e conservazione della natura. La visione dualistica del mondo naturale si impose in larga misura in occidente grazie ad una negativa influenza religiosa (p.e. il cristianesimo poneva l’uomo dominatore da una parte e la natura soggiogata dall’altra), ed era propria, tra l’altro, della filosofia greca che collocava l’uomo, soggetto pensante e sensibile, all’esterno di una natura oggettivata e subalterna. Solo nel pensiero orientale sarà possibile discernere, almeno in parte, una filosofia vitale non antropocentrica e quindi mancante del dualismo. Nell’occidente si esalta l’io a danno del tutto, in oriente si esalta il tutto a danno dell’io.”Il controllo della natura è una frase piena di presunzione, nata in un periodo della biologia e della filosofia che potremmo definire l’Età di Neanderthal, quando ancora si riteneva che la natura esistesse per l’esclusivo vantaggio dell’uomo” (Carson, 1963). La filosofia di vita della maggior parte degli indiani d’America è un altro vivido esempio di globalità e di assoluta assenza di dualismo. “E’ una cultura del rispetto per la natura, per tutte le forme in cui si manifesta; una visione del mondo come globalità, scambio continuo e reciproca dipendenza; una concezione della vita come partecipazione incessante alla creazione” (Kaiser, 1992). Citando ancora Kaiser si evidenzia che “Il dualismo divide l’uomo dalla natura, separandolo così da se stesso, in quanto anch’egli è natura......Una concezione dualistica della relazione dell’uomo con il suo prossimo implica che l’individuo si senta innanzi tutto separato dall’altro, contrapposto a lui......Il pensiero dualistico divisore vede l’uomo come opposto alla natura, per cui l’uomo sarebbe chiamato a dominare sulla natura, sottomettendola al proprio volere. La natura non ha alcuna rilevanza etica e l’uomo non ha quindi nessuna responsabilità morale nei suoi confronti....Sotto questo aspetto, il pensiero indiano tradizionale ruota intorno ai concetti di una grande famiglia cosmica e della solidarietà col tutto....”.

Occorre tuttavia evidenziare la differenza che intercorre con il concetto di dualità. Scrive a tal proposito Kaiser (1992): “Nella nostra riflessione è necessario distinguere nettamente la ‘dualità’ dal dualismo. La confusione tra questi due concetti, che possiamo rilevare assai spesso, impedisce, infatti, una chiara differenziazione tra il dualismo occidentale e il modo di pensare, in termini di equilibrio, tipico delle culture asiatiche e degli indiani d’America.

L’idea del bilanciamento, dell’equilibrio, della compensazione, che contraddistingue l’interpretazione indiana del mondo, si basa interamente sul concetto di ‘dualità’. Abbiamo accennato alla dualità uomo-donna, ma è la realtà intera a essere ordinata sulla base di quel concetto: giorno-notte; estate-inverno; terra-cielo; attrazione repulsione; amore-odio; gioia-tristezza.......

Nell’idea di equilibrio è fondamentale considerare la dualità non come formata da realtà opposte, di valore diverso, dominate dalla discordia, ma da realtà di pari valore, esistenti in un rapporto complementare e che pertanto si integrano a vicenda. Il vero motore del mondo è quindi il desiderio delle contrapposizioni di riunirsi e riconciliarsi. E’ importante, inoltre, non intensificare o protrarre all’infinito le divisioni e le dissonanze all’interno delle dualità, perché altrimenti esse si trasformano in dualismi. Il dualismo, infatti, è indice di una dualità intesa antagonisticamente e non in modo complementare........

La fisica moderna, pertanto, interpreta determinate contraddizioni non più come realtà che si escludono a vicenda, ma come aspetti diversi di un’unica realtà”. Scrisse J. Muir: “…….Ci è stato detto che il mondo è stato creato per l’uomo. E’ una supposizione completamente smentita dai fatti. Sono in molti a stupirsi quando nell’universo di Dio trovano qualcosa, vivo o morto, che non è commestibile o non è, come si dice, utile per l’uomo. Non contenti di prendere tutto dalla natura, pretendono anche lo spazio divino come fossero le uniche creature per le quali è stato progettato questo insondabile impero...

E’ molto più probabile che la natura abbia creato gli animali e le piante per la loro stessa felicità piuttosto che per la felicità di uno solo dei suoi elementi. Perché l’uomo dovrebbe reputarsi più importante di una entità infinitamente piccola che compone la grande unità della creazione?…..”.

Si ricorda quindi che la compenetrazione degli opposti pur nella diversità genera sempre unità all’interno della dialettica della natura a patto che la visione del mondo sia unificatoria e centripeta.

Il “valore in sé o intrinseco” della natura (noumeno naturale), è l’espressione più alta del pensiero. Affermare quindi che la sostanza naturale (nel senso generale del termine) debba essere conservata e rispettata per il suo valore in sé, senza nessuna nostra mediazione o intuizione, è la massima elevazione concettuale di conservazione che possa essere formulata. Ogni azione deve sempre essere fine a se stessa senza attribuirgli un valore positivo o negativo in relazione alle eventuali conseguenze che genera.

Al contrario, nella comune speculazione mentale della conoscenza, ci si riferisce “sempre” a concetti “rispetto a noi”. Infatti si stimolano interventi solo se portano “guadagni” materiali o spirituali o in ogni caso utilitaristici. Traducendo, avremo: proteggiamo un bosco secolare affinché nella presente e nelle future generazioni l’uomo possa goderne materialmente e spiritualmente.

Ecco, invece, un concetto superiore: “La natura deve essere conservata e rispettata per il suo valore in sé, non per un nostro interesse materiale o spirituale che sia”.

Un fenomeno naturale ha la sua massima valenza in sé stesso, e si manifesta indipendentemente dalla conoscenza e dalla mediazione sensibile. E’ fondamentale comprendere che un “luogo” ha qualcosa in sé che noi non possiamo e non dobbiamo cercare di interpretare. Solo in tal guisa riusciremo a dare al mondo naturale quel giusto valore che gli appartiene. Un tempo lo spirito umano aveva in se stesso, nell’inconscio, questo concetto, come lo possiede un lupo selvaggio o un orso delle foreste, ma il distacco traumatico dalla natura ce ne ha privato. Ogni essere ha in fondo una propria “visione” della vita e inconsapevolmente pone se stesso (soprattutto come individuo) al “centro” della realtà. Ma questa centralità è solo apparente, utile alle esigenze della sopravvivenza del momento. L’uomo invece trasforma quella centralità in una subordinazione totale di tutta la realtà esterna da lui, facendo prevalere unicamente i diritti universali e assoluti della propria specie. Il tutto con il massimo della consapevolezza.

Quando si “studia” un fenomeno naturale è impossibile conoscerlo senza essere influenzati dalle speculazioni personali di chi opera tale indagine. La pretesa della scienza occidentale di capire asetticamente gli “oggetti” della natura senza considerare l’apporto del soggetto, è una pura illusione cartesiana. J. Wheeler, fisico della Princeton University ci ricorda che “non c’è nessuna legge tranne la legge che non c’è nessuna legge”.

Se, come abbiamo visto, l’uomo è stato in passato membro a tutti gli effetti della wilderness del mondo, progressivamente è diventato l’unico soggetto, è uscito dal palcoscenico della natura, ha falsificato la verità, e ha condizionato verso i suoi subdoli interessi quasi tutti gli elementi della natura.

Dinanzi a questa profonda dialettica così articolata e ricca di variabili, nasce la necessità, all’interno dello stesso pensiero umano, di invertire lo stato delle cose, mentali e materiali, per ricondizionare l’uomo ad una “equilibrata e giusta” dimensione. Questa “giusta” dimensione, era propria, come accennato, nei popoli selvaggi o in coloro che vivevano in ogni caso in “essenza” con la natura.

Se l’uomo rimaneva in connessione con il mondo selvaggio, come elemento indistinto nell’ordinato ed imprevedibile caos naturale, non sollevava nessun problema di distruzione e di invadenza e, quindi, conseguentemente, di tutela, di rispetto o di conservazione della natura. Ma la sua ribellione alla verità naturale lo ha portato ad estinguere dentro se il senso dell’armonia e della purezza originaria, trasformandolo in un vorace essere accecato dalla propria affermazione e dal proprio egocentrismo. Ecco, dunque, che l’essenziale diventa superfluo e il vacuo diventa essenziale. Avviene il distacco totale dalla natura, avviene la sopraffazione verso le cose e l’annientamento del mondo esterno da sé. L’uomo si considera allora il centro di tutto e il solo metro delle cose. “La Natura può aver destinato la terra fertile anche ad altri scopi che al nutrimento degli esseri umani”. (J. Muir).

Il pensiero conservazionistico, visto nella sua globalità, ha spesso ignorato il concetto del “noumeno” nel proporre una nuova impostazione mentale verso la natura, ribadendo invece ancora una volta la centralità dell’uomo come fine ultimo della protezione (etiche antropocentriche). Solo le etiche ecocentriche hanno introdotto questo nuovo paradigma sia in forma di valore intrinseco non utilitaristico che transpersonale (deep ecology). Molto importante è invece quello che si ravvisa nel “concetto di wilderness”, nel quale viene dato molto rilievo alla preservazione di un territorio per il suo valore in sé e non utilitaristico, diffondendo proficuamente questi principii, compiendo passi fondamentali in direzione di una nuova e reale filosofia della conservazione.

L’ecologia superficiale, esclusivamente antropocentrica, è nettamente incline verso una valutazione utilitaristica della natura (la natura rimane strumento, risorsa al servizio dell’uomo - Naess, 1994). L’ecologia profonda, invece, tende ad attribuire un valore intrinseco alle cose della natura (viventi e non) universalizzando il senso di identificazione.

Andare oltre il valore intrinseco della natura, significa perdersi in speculazioni conservazionistiche che si allontanano dall’assunto di questo valore e si snaturano in un profitto soggettivo ed egocentrico. Il passo successivo, ma già contenuto nel noumeno, è quello di riconnettersi con l’uno naturale valicando e disperdendo la weltanschauung dualistica della vita. Occorre dimensionarsi al di sopra delle parti e della mente soggettiva. Ciò non vuol dire che l’io personale debba essere sopraffatto, ma al contrario deve praticare una vera e propria rivoluzione soggettiva per confluire nell’infinito mare dell’impersonale.

“Sarebbe una grave ingiustizia liquidare il pensiero utopico come pura fantasia, immaginaria e irrealizzabile; relegarlo alla letteratura definita utopistica significa sottovalutare la sua ampia diffusione a molti livelli in tutte le culture. In qualsiasi modo venga espresso, il pensiero utopico è essenzialmente una critica dei difetti e dei limiti della società ed espressione di qualcosa di migliore” (P. Sears, 1965 in Devall e Sessions 1989).

Non è possibile prescindere dalla wilderness e, aggiungo, ancor più dal suo valore in sé. Chi recepisce il valore intrinseco delle cose, avrà una visione totalizzante della vita che sarà nuova e profonda (nel lavoro sarà onesto, nell’amicizia sarà sincero, nell’amore sarà leale, nel respiro sarà profondo, con il prossimo sarà gentile, e così via).

Giustamente Aldo Leopold asseriva che i problemi ambientali sono fondamentalmente di matrice filosofica, nella quale va ricercata la soluzione di un nuovo rapporto con la natura (Hargrove, 1990).

“Abbiamo cercato di metterci in relazione con il mondo intorno a noi soltanto attraverso il lato sinistro della nostra mente, e stiamo chiaramente fallendo. Se intendiamo ristabilire un rapporto vivibile, ci sarà necessario riconoscere la saggezza della natura, consapevoli che il rapporto con la terra e il mondo naturale richiedeva l’intero essere” (Dolores LaChapelle in Devall & Sessions, 1989).

Disse John Muir: “Ero uscito solo per fare una passeggiata ma alla fine decisi di restare fuori fino al tramonto: perché mi resi conto che l’andar fuori era, in realtà, un andar dentro”.


“Dichiaro di capire

cosa c’è di meglio

che dire il meglio.

E lasciare sempre il meglio inespresso. (W. Whitman, A Song on the Rolling Earth)


“La natura selvaggia è un bisogno spirituale che ognuno di noi si porta dentro e che va dal semplice amore per il bello al preponderante bisogno di solitudine che sentono alcuni. E’ il senso di fastidio che proviamo in natura di fronte all’opera dell’uomo, anche quando quest’opera è minima o ha fini di conservazione o di studio. La natura selvaggia è acqua libera di scorrere, di erodere, di gonfiarsi e straripare; è la libertà di volare e di correre degli animali; sono gli orizzonti intatti di montagne o di piatte paludi; è l’immensità del cielo su un panorama d’erba; è il silenzio della natura e lo scrosciare d’acque nelle valli montane; l’urlo del temporale nella foresta; il sibilo della bufera e il boato pauroso della valanga; il lento volo dell’aquila che annulla lo spazio tra le montagne; è il gioco delle onde sulle scogliera. La natura selvaggia è girare attorno lo sguardo e non vedere segno d’uomo; è ascoltare e non udire rumori d’uomo” (Franco Zunino).


“La protezione di un territorio naturale può certamente avere molti ruoli, molte finalità, ma credo che solo uno debba essere lo scopo per cui la si debba attuare: conservare il territorio fine a se stesso. E conservarlo vuol dire, o dovrebbe voler dire, far si che non venga alterato volutamente, vuol dire decidere di sottrarlo alla logica dello sviluppo (che è la logica del profitto) che è prettamente umana.

Decidere di conservare un luogo è decidere di tenere per quel luogo un comportamento ancestrale, animale, quale è la nostra origine, che è l’unico modo per poterci definire in equilibrio con l’ambiente: nessun cervo, nessun lupo, nessun orso ha mai potuto o preteso di “sviluppare” o “valorizzare” o “far produrre” il proprio habitat. Semplicemente da millenni lo utilizzano per quello che spontaneamente esso offre loro e lasciandolo immutato per altre generazioni. E’ solo l’uomo l’unica specie animale ad essere uscita da questo “cerchio della vita” (Franco Zunino).

martedì 30 maggio 2023

L’Unione Europea: solo parametri economici? E la Natura?

                                          Wild Nahani


L’Unione Europea: solo parametri economici? 

E la Natura?








“Questo capitolo si rivolge agli aspetti dell’Unione Europea, ma è solo un esempio in quando l’argomento trattato ha valenza per ogni altra parte del pianeta dove sono i gioco i valori dell’economia e dello sviluppo continuo e senza limiti”.


La singolare conformazione geografica dell’Europa ha influenzato in modo determinante lo sviluppo storico dei popoli che la abitano perché la straordinaria articolazione delle sue coste che, attraverso le tre grandi penisole, l’iberica, l’italiana e la balcanica, l’avvicinano e la protendono verso l’Africa e l’Asia Minore, le hanno assegnato - fin dagli albori della “civiltà” occidentale - un ruolo rilevante nella “misera” storia dell’uomo. Infatti le sue caratteristiche geografiche, assecondando i contatti e i rapporti commerciali tra i popoli, accentuarono lo scambio delle culture come avvenne, per esempio, attraverso gli insediamenti della Magna Grecia o attraverso le proiezioni dell’ellenismo. La sua posizione fu poi provvidenziale per la formazione e lo sviluppo dell’impero romano che dalla centralità del mare Mediterraneo attinse lo slancio per estendere la sua conquista ai Daci e ai Britanni, ai quali portò, unitamente alla propria costituzione giuridica, anche il messaggio di Cristo. L’idea unificante dell’Europa germogliò dunque sia nella concezione dell’impero che in quella della Chiesa, e se le successive invasioni barbariche ne arrestarono lo sviluppo non ne spensero tuttavia le esigenze e le motivazioni. Esse riaffiorarono infatti già nel IX° secolo attraverso il disegno politico di Carlo Magno e, quattrocento anni dopo, lo spirito universale di Dante le unificò nella concezione della supremazia dell’Aquila e della Croce, in contrapposizione all’insicurezza che scaturiva dalla polverizzazione politica del mondo medievale. Successivamente si affacciarono tentativi unificanti che non andarono oltre la formazione delle Grandi Monarchie. Bisogna arrivare alla rivoluzione del 1789 per riscoprire, attraverso la diffusione degli “immortali principi”, un tentativo di unificazione europea. Ma le degenerazioni del bonapartismo e i nazionalismi insorgenti, blanditi anche dal trionfante romanticismo, determinarono, per sempre, un’Europa delle patrie e degli attriti imperialistici. Verso la fine del secolo XIX° il marxismo, travalicando la concezione paneuropea, lanciò il suo messaggio internazionalistico che trovò, peraltro, i suoi limiti nella diversa maturazione storica dei popoli. La crisi ebbe il suo epilogo nella prima guerra mondiale che, non a torto, Benedetto XV° definì, come detto, “l’inutile strage”. Il declino dell’Europa si completa poi con gli effetti della seconda guerra mondiale che sposta definitivamente l’asse della politica mondiale dal vecchio al nuovo continente. Ma l’ultimo conflitto, pur facendo pagare il tremendo prezzo di indicibili orrori e di immani devastazioni, genera un risveglio dell’Europa, che riprende coscienza della propria identità forte del razionalismo cartesiano, dell’empirismo di Bacone, dell’idealismo hegeliano, dell’universale costruzione di Newton e delle rivoluzionarie intuizioni di Einstein. 

Da questa presa di coscienza germoglia l’idea di un’Europa unita, e la singolarità di questa idea è che essa si propone di conseguire l’unità del continente mediante libere trattative e pacifici confronti. L’idea è singolare perché la storia ci insegna che le formazioni unitarie furono conseguite attraverso il travaglio della violenza e delle guerre, come accadde per quella tedesca che nacque sui campi di battaglia di Sadowa e di Sedan, per quella italiana che germogliò dal sangue versato a Solferino o a Calatafimi, o per quella americana che fu conseguita dopo una cruenta guerra di secessione. L’Europa di oggi invece - dilaniata ed esaurita da due tremendi conflitti - trae le proprie ispirazioni unitarie dal desiderio della pace e dall’affermazione dei suoi “presunti” principi di civiltà (il termine “civiltà” è un concetto molto relativo). Un’ulteriore esigenza che spinge i popoli europei a confederarsi può essere individuata nell’intento di bilanciare, con la creazione di una grande unità economica e politica, la forza di gigantesche concentrazioni che traggono la propria potenza dalle risorse di sconfinati continenti, come gli USA e la Russia e l’emergente Cina ed India.

Fin qui abbiamo tratteggiato, in una estrema sintesi poco più che simbolica, parte degli aspetti “umani” della vicenda europea, ma, in contrapposizione alle idilliache esternazioni di vanto e di gloria (leggasi “civiltà”) e ai magniloquenti progetti di potenza, occorre guardare il risvolto ambientale della medaglia, ricordando, semplicemente, come la civiltà europea nel corso del suo sviluppo abbia lasciato un’impronta estremamente negativa nei confronti del mondo naturale, trasformando integralmente interi territori (si pensi alla sola Gran Bretagna o alla bassissima percentuale di wilderness rimasta) o annientando un numero incalcolabile di animali e di piante. Fiorenti ed estese foreste lasciarono spazio ai campi coltivati, alle fabbriche ed alle città, mentre il distacco progressivo dalla dimensione naturale, produsse una cultura ordinata, razionale e metodicistica (vedasi per esempio quella anglosassone), che dava senso alla natura solo se sopraffatta, governata e controllata (leggasi cartesianesimo). Il cristianesimo infine, con l’assoluta centralità dell’uomo, contribuì definitivamente alla “soppressione” del mondo selvaggio ed al disconoscimento del suo valore in sé.

Dinanzi all’estremo degrado dello scenario naturale europeo (antropizzazione, inquinamento, omogeneizzazione del territorio, cementificazione, ecc.), la creazione dell’Unione, unione nata sostanzialmente per fini economici, poteva rappresentare tuttavia un’ottima occasione per reimpostare unitariamente tutta la normativa e la visione del mondo naturale. Se nel concreto sono nate molte direttive comunitarie di materia ambientale anche con riscontri pratici e a volte lodevoli (tralasciamo in questa sede gli aspetti economici), nella sostanza reale non è nato quasi nulla di veramente conservazionistico, che abbia evidenziato in forma capillare e profonda tutte le devastazioni che l’uomo, in questo caso europeo, quotidianamente apporta nei confronti del mondo naturale. D’altra parte, intervenire realmente e radicalmente, vorrebbe dire mutare lo stile di vita e mettere in discussione le certezze del consumismo, vorrebbe dire mettere in crisi, in altri termini, la politica del capitale e dell’occidentalismo (questa ovviamente non è una considerazione valida per la sola Europa). Ecco allora che leggi e leggine, appositamente mirate a mutare in piccola parte l’apparenza, ma a non toccare a fondo i veri problemi ambientali, vengono progressivamente alla luce, apportando a volte, come detto, anche buone normative (si vedano per esempio le norme antinquinamento), ma veramente utili solo se inserite in un contesto conservazionistico fortemente e radicalmente voluto.

Dopo una prima fase comunitaria, che potremmo definire dal punto di vista economico di assestamento (regolamentazione della produttività, allineamento di regolamenti e direttive, ecc.), i vari partner europei, con il famoso accordo di Maastricht, si sono posti l’obiettivo di unificare la moneta per costituire una unione economica forte e duratura. Per raggiungere l’obiettivo ciascun Stato si è impegnato, nelle specifiche politiche economiche, a rientrare all’interno di determinati parametri, per non essere escluso da questa “seconda fase”. A questo punto vogliamo approfittare dell’importanza data ai parametri economici prefissati, per evidenziare, al lettore, di come si è tanto rigidi e analitici quando sono in gioco le sorti del capitale e poco attenti quando si vuole porre in prima linea la qualità della vita sociale e naturale nel suo insieme (negli ultimi tempi comunque sembra che qualcosa di positivo al riguardo si stia attivando). Perché allora non si è posto tutta una serie di parametri, non solo economici, che “rigidamente” ogni membro comunitario avrebbe dovuto impegnarsi ad attuare e a rispettare entro una certa data, pena l’allontanamento dall’Unione o la non adesione per un nuovo stato? Eccone un piccolo esempio:


Severi parametri antinquinamento sotto molteplici aspetti.

Assicurare che una buona parte del territorio (almeno un 5%/10%, variabile in più a seconda dei casi) venga mantenuto quanto più selvaggio possibile, lontano dall’addomesticamento e dall’invadenza umana, ivi incluse le cosiddette attività ecocompatibili ed ecoturistiche.

Ogni Stato europeo deve garantire che almeno il 20%/30% del proprio territorio venga realmente protetto.

Assicurare a tutto il territorio, rigide regole di sviluppo e di urbanizzazione ponendosi come obiettivo la salvaguardia del territorio anche dietro l’angolo della propria casa.

Ciascun Stato deve assicurare una qualità della vita sociale ad alto livello inteso in senso ecologico.

L’insegnamento scolastico deve garantire un equilibrato studio di tutte le tematiche sociali ed ambientali per inculcare sin dall’infanzia i “reali” valori della conservazione della natura e della convivenza pacifica tra i popoli. In altri termini esplicitare nell’educazione una nuova e reale etica della terra, non nel senso del’indottrinamento, ma in quello della chiarificazione e della consapevolezza.

Eliminazione totale di tutte le forme di burocratizzazione della vita quotidiana dalle cose più piccole  a quelle di maggior rilievo.

Eliminazione progressiva, ma totale, di tutte le attività che producono “l’inutile” a grave impatto ambientale sia in questione di inquinamento che di richiesta energetica e di materia prima.

Ogni Stato deve eliminare la disoccupazione, impostando politiche economiche stazionarie, sulla logica del bene comune (e non del profitto dei singoli) e sull’impiego della mano d’opera che si libera dalla progressiva abolizione delle attività “parassite” ed inutili (ivi inclusi i beni di produzione superflui), verso lavori socialmente utili soprattutto in materia ambientale.

Severe riduzioni e reali controlli sull’uso e abuso delle sostanze chimiche in agricoltura e negli altri settori interessati.

Parametri di risparmio energetico nelle numerosi articolazioni del problema.

Riciclaggio pressoché totale di tutto ciò che è possibile riciclare (carta, plastica, vetro, ecc;); ciò in parte si sta facendo, ma è ancora insufficiente poiché a volte c’è un abisso tra uno stato membro d un altro.

Massima efficienza di tutti i sistemi di produzione nonché dello smaltimento dei rifiuti.

Sviluppare con la massima tempestività le forme di energia rinnovabile non inquinante, forme ecologiche non perché il petrolio è destinato a finire, ma perché è basilare per garantire il continuo della vita sulla terra.

Porre in essere una Costituzione europea che abbia come parte basilare una reale etica e carta della terra.

Esportare principi di solidarietà, di fratellanza e di interessi globali di un’etica della terra e della qualità della vita.

Garantire al massimo lo sviluppo della biodiverssità.

Farsi promotore di una visione olistica ed ecocentrica della dimensione del mondo. 

.........................la lista potrebbe non finire mai!


Occorre poi evidenziare che spesso le politiche comunitarie sulle tematiche ambientali presentano in certe circostanze delle palesi stranezze come se la mano destra non sa quello che fa la sinistra. Infatti, da una parte si incoraggiano e finanziano progetti per lo studio e la salvaguardia di specifiche tematiche (specie animali a rischio, alterazioni di habitat, ecc.) e nel contempo si finanziano iniziative che pur avendo agli occhi di molti connotati “ecologici”, comportano in sé gravi danni sia agli aspetti faunistici che ambientali. Sarebbe quindi opportuno creare un po’ più di equilibrio e di armonia sia negli intenti che nell’operatività. 

Come accennato, ma è bene ribadirlo, le buone normative europee in tema ambientale e sociale oggi in vigore dovrebbero rigidamente entrare a far parte dei specifici requisiti cui ogni membro deve applicare e rispettare, pena l’esclusione o attuazione di forti sanzioni sino a quando non si ristabilisce il rispetto delle norme. I parametri ambientali/sociali devono essere richiesti anche ai nuovi stati che vogliono entrare nell’Unione Europea. 

L’Europa, con l’unione monetaria e praticamente anche quasi militare e costituzionale vuole dunque riprendere il suo ruolo di primato, vuole essere protagonista e non oggetto della politica mondiale, vuole insomma che - come accadeva una volta - dire Roma, o Parigi, o Vienna, voglia dire Europa, voglia dire “civiltà”. Ma una nazione o un continente può definirsi veramente “civile” solo quando avrà ristabilito una giusta armonia tra gli elementi, una giusta armonia sociale, una tolleranza universale paritetica (con tutte le culture e tutte le comunità minoritarie) e un “primitivo” rapporto uomo-natura, dove l’unitarietà delle parti sia totale e annulli quella tipica visione occidentale dualistica tra Natura e Cultura (Natura = selvaggio, indomito, desolato, negativo, da sfruttare, ecc. – Cultura = gentilezza, sapienza, pacatezza, supremazia, intelligenza, saggezza, ecc.). Solo dove la vita selvatica è garantita realmente, possiamo sentirci in una nazione civile perché in fondo impegnarsi per una reale conservazione della natura vuol significare preoccuparsi anche dell’uomo (olismo), altrimenti quel mondo tanto “civile” fatto di cultura, di grandi opere, di sicurezza, di archeologia, di forza economica verrà ben presto spazzato via dalla distruzione del mondo naturale che, nell’annientarsi per opera dell’uomo, si trascina con se, inevitabilmente, finanche tutto ciò che è umano. 

Scrive Dalla Casa (1996): “Lo stesso termine ‘civiltà’ è inutile e pericoloso, perché sottindente un giudizio di merito basato su una scala di valori particolare, considerata ovvia.

‘Civile’ significa oggi infatti ‘conforme ai principi dell’Occidente’ e niente di più. Non c’è nessun motivo per considerare la civiltà occidentale migliore della civiltà degli Yanomani, dei Papua, degli Eschimesi, dei Dogon, o delle mille altre culture comparse sulla Terra”.







domenica 30 aprile 2023

Etica della terra

                                                              Wild Nahani


Etica della terra






"Stavamo mangiando su una sporgenza rocciosa, ai cui piedi un torrente turbolento piegava a gomito. Vedemmo quello che pensammo fosse una cerva guadare, immersa fino al torace nell’acqua bianca spuma. Quando si arrampicò sulla sponda dalla nostra parte e scosse la coda ci accorgemmo del nostro errore: era un lupo. Un’altra mezza dozzina, evidentemente piccoli già cresciuti, balzò dal folto dei salici, radunandosi per dare il benvenuto, scodinzolando e litigando giocosamente. Insomma, un vero e proprio mucchio di lupi si agitava e ruzzolava allo scoperto proprio sotto il nostro masso.

A quei tempi non avevamo mai sentito che qualcuno si lasciasse sfuggire l’occasione di uccidere un lupo. In un attimo stavamo scaricando piombo sul branco, con più eccitazione che precisione.......

Raggiungemmo l’animale agonizzante, che era una lupa, in tempo per vedere un feroce fuoco verde spegnersi nei suoi occhi. Mi resi conto allora, e non l’ho mai dimenticato, che c’era qualcosa di nuovo per me in quei occhi, qualcosa che solo lei e la montagna sapevano. A quel tempo era giovane e mi prudeva il dito sul grilletto; pensavo che meno lupi significasse più cervi, e quindi niente lupi equivalesse al paradiso dei cacciatori. Ma quando vidi spegnersi quel fuoco verde, sentii che né la lupa, né la montagna condividevano quel punto di vista......

Forse è proprio questo che significa il detto di Thoreau: ‘La salvezza del mondo si trova nella natura selvaggia’. Forse questo è il significato nascosto nell’ululato del lupo, che le montagne conoscono da molto tempo, ma che gli uomini raramente percepiscono” (A. Leopold, 1949-1997).


Nella società contemporanea per una reale conservazione degli spazi naturali e per poter adempiere ad uno sviluppo sostenibile della comunità umana è necessario mettere in gioco molteplici atti pratici, ma che prendano le mosse dall’acquisizione di una nuova mentalità che ormai, pur se in forma ancora embrionale, serpeggia in una qualche misura nel mondo. Ecco dunque affacciarsi la necessità di esprimere al meglio e con la massima chiarezza una nuova etica della terra in cui, la sommatoria di svariati aspetti, deve portare al radicamento di una conoscenza che può palesarsi nella realtà effetttiva delle cose. Non è infatti sufficiente parlare di conservazione della natura o di un nuovo stile di vita disquisento solamente su ciò che si dovrebbe fare, ma è fondamentale portare alle luce numerose questioni che riguardano soprattutto la politica, la società, la filosofia più profonda. In altri termini se non si radica nella mente del genere umano una visione olistica del tutto, ogni discorso avulsamente inalberato per affermare la giusta via, non trova nessuna base concreta di attuazione. “Che cosa ha a che fare la filosofia con i problemi ecologici? Non è forse meglio che parlino la chimica, la biologia, la geografia, l’ingegneria oppure la sociologia e la politologia? L’incombere della catastrofe ecologica provoca reazioni di rassegnazione o di cinico edonismo e trova le sue radici nella frammentazione del sapere e delle sue tecniche che sta anche alla base della crisi filosofica attuale. Il compito della filosofia appare allora quello di domandarsi come l’uomo sia arrivato a minacciare l’intero pianeta e che senso abbia, in questa prospettiva, l’idea tradizionale di progresso. Ma non solo: la filosofia deve individuare nuovi valori e categorie per reimpostare il rapporto uomo-natura in modo da formare esseri umani in grado di affrontare la crisi. Ecologia è, letteralmente, dottrina della casa. Ma oltre la dimora materiale, la Terra, è necessario ricostruire la dimora spirituale (e con essa una nuova idea della politica) che garantirà la sopravvivenza della casa planetaria” (quarto di copertina in Hosle, 1992).

A questo punto appare fondamentale ricordare i concetti, più volti citati in questo lavoro, che espresse Aldo Leopold (simbolicamente la sua presa di coscienza partì proprio dal giorno che vide spegnersi quel “fuoco verde” degli occhi della lupa). Infatti nella sua “Etica della terra” contenuta nel suo capolavoro “A Sand County Almanc”(1949, 1997), un libro che rappresenta una pietra migliare per la mentalità conservazionista, Leopold va oltre l’antropocentrismo ed elabora l’“etica della terra”; tutte le etiche si basano su un’unica premessa: che l’individuo è un membro di una comunità di parti interdipendenti ... una volta che si riconosce questo è difficile negare i diritti alle varie parti ... l’uomo essendo membro della comunità biotica della terra non può negare a questa i suoi diritti. Una decisione è giusta quando tende a preservare l’integrità, la stabilità, la bellezza della comunità biotica. E’ sbagliata quando tende all’opposto (Pagano, 2001). Con questo semplice ed acuto ragionamento Leopold è considerato la fonte più importante del biocentrismo moderno e dell’etica olistica. Scrive sempre Pagano (2001): “….. la natura non era solo un oggetto di cui l’uomo poteva disporre a piacimento. Leopold capì che rimanendo ancorati alle banalità quotidiane il pensiero diventa incapace di percepire la grandiosità della natura……. Nessuna, fino ad allora, aveva pensato ad un’etica che operassse a livello di specie, habitat e persino a processi ecosistemici. In quel breve ragionamento Leopold sostiene che l’etica umana impone dei limiti al singolo uomo in quanto parte di una comunità di parti interdipendenti: la società umana. Ma, allargando il ragionamento, se la specie umana riconosce il suo ruolo di parte integrante delle comunità ecologiche deve anche, automaticamente, riconoscere i diritti della natura. La consapevolezza di essere ‘compagni di viaggio’ degli altri essseri naturali implica che la natura ha un valore proprio indipendente da quello che gli dà l’essere umano. Scrive a tal proposito Leopold:’In breve, un’etica terresstre modifica il ruolo dell’Homo sapiens da conquistatore della terra a semplice membro e cittadino della sua comunità’”.

Ma come abbiamo accennato poc’anzi, l’affermazione di una nuova etica della terra deve confrontarsi, per poter essere realmente metabolizzata, con numerosi eventi sociali, politici e filosofici. “Il problema non è più se i problemi ambientali siano meglio risolvibili attraverso l’azione etica o l’azione politica, bensì se questi problemi siano risolvibili attraverso un’azione complementare a entrambi i livelli.

Perché questo duplice approccio alla soluzione dei problemi ambientali possa funzionare, come lo stesso Leopold vedeva chiaramente, lo Stato democratico deve educare i cittadini a quei valori ambientali che sono necessari sia per l’azione etica sia per quella politica……..L’obiettivo dell’insegnamento dei valori non deve essere l’indottrinamento, ma il chiarimento…..” (Hargrove, 1990).

Il concetto di chiarimento è molto importante perché pone la questione su un punto fondamentale: un’etica della terra biocentrica ed olistica non deve tanto essere insegnata come qualcosa partorita da un atteggiamento filosofico e metafisico avulso dalla realtà, ma semplicemente come qualcosa che è già in essere, sin dalla formazione del pianeta terra, un qualcosa che solo nel corso dei millenni il cammino dell’uomo l’ha smarrito dalla sua dimensione e che ora non lo vede più o al massimo lo percepisce molto debolmente. In altri termini non si deve affermare qualcosa di inventato da una nuova visione della vita, ma bensì “chiarire” che i precetti non antropocentrici sono già in essere nella realtà della madre terra sia a livello biotico che abiotico. Ecco dunque l’appello affinché la nuova etica della terra (occorre dire nuova perché se un tempo era presente, cammin facendo, come detto, l’abbiamo completamente smarrita), si riappropri del proprio essere e rientri trionfante nella visione del tutto da parte del genere umano.

Il compito di questo chiarimento non è affatto semplice, anche se stiamo parlando di qualcosa che esiste già, perché l’uomo contemporanea si è gettato a capofitto verso precetti che lo vedono sempre più al centro delle cose con la pretesa che ogni elemento è di sua esclusiva proprietà e lo utilizza a suo libero, ma insensato piacimento. “Ci possono essere innumerevoli scale di valori, ma da quanto accennato è evidente che il primo valore dovrebbe essere quello di consentire la vita della Biosfera, da cui dipendiamo: la sopravvivenza della Terra è essenziale.

L’etica della Terra non è solo una posizione filosofica, è soprattutto una necessità per mantenere in vita e in salute l’Organismo cui apparteniamo, assieme alle altre specie, agli ecosistemi, all’atmosfera, al mare, ai fiumi, alle montagne”. (Guido Dalla Casa).

Un riassunto schematico sui principi basilari di una reale etica della terra sono simili a quelli esposti nel capitolo sull’ecologia profonda, ma per una maggiore chiarezza e completezza è bene riesporli con ulteriore aggunte e precisazioni (da Devall & Sessions, 1989, modificato):


1. Il benessere e la prosperità della vita umana e non umana sulla Terra hanno valore per se stesse (in altre parole: hanno un valore intrinseco o inerente). Questi valori sono indipendenti dall’utilità che il mondo non umano può avere per l’uomo.

2. La ricchezza e la diversità delle forme di vita contribuiscono alla realizzazione di questi valori e sono inoltre valori in sé.

3. Gli uomini non hanno alcun diritto di impoverire questa ricchezza e diversità a meno che non debbano soddisfare esigenze vitali.

4. La prosperità della vita e delle culture umane è compatibile con una sostanziale diminuizione della popolazione umana: la prosperità della vita non umana esige tale diminuizione.

5. L’attuale interferenza dell’uomo nel mondo non umano è eccessiva e la situazione sta peggiorando progressivamente.

6. Di conseguenza le scelte collettive devono essere cambiate. Queste scelte influenzano le strutture ideologiche, tecnologiche ed economiche fondamentali. Lo stato delle cose che ne risulterà sarà profondamente diverso da quello attuale.

7. Il mutamento ideologico consiste principalmente nell’apprezzamento della qualità della vita come valore intrinseco piuttosto che nell’adesione a un tenore di vita sempre più alto. Dovrà essere chiara la differenza tra ciò che è grande qualitativamente e ciò che lo è quantitativamente.

8. Le culture religiose antropocentriche (quasi tutte) devono mutare radicalmente la loro visione e diffondere il pricipio ecocentrico della terra.

9. Le forze che devono promuovere una visione olistica del tutto devono operare con sinergia e coinvolgere una multitudine di settori: sociologia, politica, economia, filosofia, scienza, ecc.

10. Il concetto del valore vita non deve essere riferito nelle dissertazioni solo nella sfera umana, ma deve comprendere ogni forma di essere vivente.

11. Nell’attuale diffusione della globalizzazione occorre universalizzare concetti di valore olistici ed ecocentrici e non solo aspetti di utilità economica e liberalistica. Occorre inoltre diffondere a livello mondiali precetti di sobrietà, parsimonia ed semplificazione dello stile di vita.

12. I parametri fondamentali di uno stato non devono essere misurati solo dal punto di vista economico (la cosiddetta crescita illimitata, lo sviluppo, il PIL, ecc.), ma soprattutto dalla qualità ambientale, sociale e dalla più assoluta preservazione degli spazi naturali.

13. Occorre pensare che i dovuti cambiamenti devono cominciare dal singolo e non solo dalla società nella sua interezza, altrimenti con la scusa che in generale nulla cambia, anche il singolo non opera in nessun campo. Si riccorda che la moltitudine è fatta dalla somma di tante singole unità.

14. Ricordarsi sempre di proteggere e sviluppare al massimo la biodiversità sulla terra. 

15. Chi condivide i punti precedenti è obbligato, direttamente o indirettamente, a tentare di attuare i cambiamenti necessari.


L’etica della terra deve dunque celebrarsi non secondo pricipi relativistici e incasellati in archetipi dogmatici scanditi da visioni unilaterali e miopi, ma occorre mettere in campo una larga gamma di modelli che portano con estrema chiarezza a quel chiarimento che potremmo tradurre anche con il termine “consapevolezza”. E’infatti fondamentale rendere consapevoli i cittadini del mondo per ricondurli, sia pure per gradi, verso quei valori etici e pratici che una volta erano insiti nella visione del quotidiano. Unire le forze, moltiplicare gli sforzi, ma ogni azione deve tendere con fermezza all’affermazione di una olistica etica della terra. Forse il compito e gli intenti potranno sembrare ardui e quasi utopistici, ma almeno un tentativo occorre farlo prima che il mondo degeneri nella catastrofe che è già in essere ed è ad un passo da essere completata!

“Quando si parla di ecologia e protezione della Natura, occuparsi di ‘visioni del mondo’ sembra una cosa più astratta, o meno pratica, rispetto a dare consigli sullo smaltimento dei rifiuti o la conservazione delle foreste, ma è soltanto perché parlare di ‘visioni del mondo’ ha effetti a scadenza molto più lunga. Sono però aspetti che toccano molto più in profondità il comportamento e gli atteggiamenti, rispetto ai più immediati consigli pratici di ecologia spicciola” (Dalla Casa, 1996).

Disse una volta WA-SHA-QUON-ASIN:“Questa non è la voce di Gufo Grigio che parla, ma la voce di un esercito potente e che aumenta in continuazione: i difensori della fauna selvaggia, le cui voci dovranno essere ascoltate. Che le vostre orecchie stiano aperte” (Dickson, 1999). E poi, come già citato in questo libro, per concludere, una sua bellissma quanto eloquente affermazione: “ Voi siete stanchi di questi anni di civilizzazione. Io vengo, e cosa vi offro? Una singola foglia verde”.