Wild Nahani
Per una natura selvaggia e profonda
"C'è una sola speranza di respingere l'ambizione tirannica della civiltà di conquistare ogni luogo sulla terra. Questa speranza è l'organizzazione delle persone più sensibili ai valori dello spirito, affinché combattano per la libera continuità della natura selvaggia" (Robert Marshall)
"Come i venti e i tramonti, la vita selvaggia era considerata sicura finché il cosiddetto progresso non ha iniziato a portarla via. Ora ci troviamo di fronte al problema se uno standard di vita ancora più elevato valga il suo spaventoso costo in tutto ciò che è naturale, libero e selvaggio" (A. Leopold)
"La battaglia per la conservazione della natura continuerà indefinitamente, perché fa parte della battaglia universale tra il bene e il male" (J. Muir)
"La natura deve essere rispettata e salvaguardata per il suo valore in sé. È l'uomo che deve adattarsi ai propri bisogni e non viceversa. Se possibile, dobbiamo garantire che il mondo selvaggio viva nella sua libera continuità e nel suo orgoglio, che la libertà e quell'orgoglio che l'uomo, prigioniero e schiavo delle proprie convenzioni, forse inconsciamente invidia"
____________
In questo documento vogliamo mettere in luce la parte più profonda del Concetto di Wilderness, ovvero il valore in sé che riconosce agli elementi della natura. Emendiamo quindi gli aspetti di ecologia di superficie, intrisi di antropocentrismo, a cui molto spesso approdano i vari movimenti wilderness (tra cui quello italiano). Scrive infatti Franco Zunino, praticamente il "padre" italiano di questo movimento, con un pensiero tipicamente "occidentale": "Secondo me non possiamo ignorare l'uomo. Che ci piaccia o no, l'uomo è al centro del mondo e non sarà mai possibile evitarlo. E poiché siamo uomini dotati di coscienza e intelligenza, è inevitabile che qualsiasi cosa facciamo, la facciamo sempre per l'uomo. Quindi la conservazione della natura non è altro che una reazione a quella parte dell'uomo che la sta distruggendo. Ma anche chi la vuole difendere vuole sempre farlo per gli uomini. È quasi pleonastico dire che essa va preservata in sé e che così facendo sarà comunque utile all'uomo, perché in realtà, per chi la ama, lo facciamo, che sia per scopi materiali, scientifici o spirituali. E poi non cerchiamo di negare una realtà che magari non ci piace ma che è tale, nell'illusione di una natura che vive di sé (ma che certamente non si apprezza!). Se non ci fosse l'uomo, la natura stessa non avrebbe senso. Sono contento di sapere che la natura di L'isola di Papua esiste di per sé, ma è di per sé un'esperienza appagante e appagante per l'uomo. Quindi è sempre per l'uomo che desideriamo la conservazione di luoghi che non vedremo mai nella nostra vita, ma che finché viviamo siamo lieti di sapere che esistono. È un concetto difficile da spiegare, ma alla fine l'uomo ritorna sempre. Altrimenti, prima di opporci alla distruzione della natura di questo nostro pianeta dovremmo farlo per impedire all'uomo di scoprirne altre, che certamente esistono e vivono di per sé. Ma ha senso pensarlo? Potremo mai accontentarci dell'idea di un mondo naturale che vive di per sé ma che non sappiamo nemmeno se esiste?! Non credo. Per accontentarci dobbiamo sapere che esiste, e nel momento in cui sappiamo che esiste, ecco che l'uomo torna al centro, a quell'ombelico che l'ecologia profonda negherebbe”. Lo stesso Zunino, in un altro passo del suo pensiero, sembra sconfitti da soli, quando afferma: “la tutela di un territorio naturale può certamente avere molti ruoli, molte finalità, ma credo che uno solo debba essere lo scopo per cui si dovrebbe attuare: preservare il territorio come fine a se stesso”. E poi ancora: “…. Chi sente il desiderio di un rapporto diverso con l’ambiente, più legato a bisogni interiori di bellezza e solitudine, di riflessione, di godimento della bellezza, dei momenti della vita e dell’evoluzione della natura, più facilmente comprenderà la necessità di un maggiore rispetto, comprenderà che i diritti della natura, devono avere il primo posto e che l’uomo deve frequentarla sempre pronto a tirarsi indietro non appena diventino evidenti i segni del cambiamento che la sua presenza provoca, che vanno dal degrado ambientale al disturbo della fauna, alla perdita di certi stati di pace e solitudine (che sono un diritto della fauna prima che nostro); pronto quindi anche a rinunciare alla natura quando è il caso”.
Proseguendo con Dalla Casa, risponde a Zunino dicendo: "Sono rimasto piuttosto sorpreso nello scoprire che la filosofia della wilderness, secondo la visione di Zunino, è completamente antropocentrica.
Le aree wilderness sarebbero preservate in uno stato completamente naturale, ma per la rigenerazione spirituale dell'uomo e non per un valore in sé o per la loro intrinseca spiritualità. In sostanza, la filosofia della wilderness si adatta ai principi dell'ecologia di superficie e al pensiero corrente, salvo il fatto (encomiabile) di chiedere una gestione completamente diversa delle aree naturali-selvagge protette, che tuttavia rimangono isole in un mare di "progresso"". L'unica cosa davvero insostenibile è che l'ecologia profonda sarebbe "materialista" e la filosofia della wilderness avrebbe invece aspetti più "spirituali". Infatti:
- la filosofia della wilderness, come esposta da Zunino, vede la parte spirituale-psichico-mentale solo nell'uomo: le aree selvagge devono essere preservate, ma per il miglioramento spirituale dell'uomo;
- l'ecologia profonda vede un aspetto profondamente mentale-psichico-spirituale in tutte le entità naturali e nelle loro relazioni. Vede la nostra specie come una componente interrelata in queste relazioni e quindi anche dotata di profondo valore spirituale in quanto parte inscindibile di questa Natura, di questa Anima del mondo.
Come si fa a dire che l'ecologia profonda è più "materialista" della filosofia della wilderness? A me sembra esattamente il contrario. Nella filosofia della wilderness lo spirito è prerogativa di una singola specie, nell'ecologia profonda è ovunque.
Inoltre, a mio avviso, il concetto di "primitivo" è privo di significato. Mi sembra invece che Zunino segua sostanzialmente le idee correnti che portano l'attuale civiltà industriale al vertice del cosiddetto "progresso": al massimo ne chiede qualche correzione. Capisco che consideri il "cristianesimo", chiaramente inteso come l'attuale tradizione ebraico-cristiana, come un "progresso" rispetto alle visioni animiste-panteiste di molte altre culture umane.
La visione giudaico-cristiana-islamica, d'altra parte, è solo il frutto di profonde scissioni, di dualismi inconciliabili tra Dio e il mondo, spirito e materia, uomo e natura. Diventa così facile passare al puro materialismo, basta togliere uno dei due termini, già ben distinti. Non c'è "superiorità". È forse superfluo aggiungere che questa visione non ha praticamente nulla nell'insegnamento di Cristo, di cui non sappiamo quasi nulla. Resta solo l'impressione che questo insegnamento si riferisca molto all'"amore compassionevole verso tutti gli esseri senzienti" del Buddhismo Mahayana. Per essere più precisi, esistono circa un centinaio di specie fossili intermedie con altri Primati, dagli Australopitechi ai Neanderthal e poi all'Homo sapiens. Vorrei sapere in che modo questi esseri senzienti vengono collocati da coloro che sostengono le fratture tra uomo e animale.
E poi aggiungo che non stiamo parlando di due contrasti tra filosofia della natura selvaggia ed ecologia profonda. L'una è insita nell'altra e, soprattutto l'ecologia profonda, contiene una visione universale che include tutta la nostra prospettiva positiva delle cose. Infine, è un grave errore inquadrare l'importanza della filosofia della wilderness in una visione meramente antropocentrica (sarebbe più logico e significativo attribuirle una peculiarità ecocentrica e olistica)”.
È invece necessario riaffermare con forza il concetto del valore della natura stessa affinché possa emergere un intimo legame tra il concetto di Wilderness classica e l'Ecologia profonda, che porta con sé una nuova etica ambientale integrata dal Manifesto per la terra; tutto ciò produce elementi fondamentali che universalizzano i concetti di conservazione e quindi di tutto il pensiero ecologico. Non basta, infatti, impegnarsi (anche se è ovviamente già un atto lodevole) nella tutela dei territori (wilderness e non), ma è anche necessario impostare una nuova forma di pensiero affinché la tutela della natura diventi un tutt'uno con l'esistenza quotidiana. Spegnere il dualismo e abbracciare la visione olistica e bioregionale dell'insieme. In questo modo il concetto di Wilderness si epura dai marcati riflussi dell'ecologia di superficie che, come abbiamo accennato, troppo spesso appartengono a esso, esporterà principi non solo di tutela diretta e reale delle aree selvagge, ma anche di pensiero.
Questo è un punto fondamentale poiché pensare di preservare un luogo il più selvaggio possibile senza nemmeno andare a incidere su una nuova concezione del mondo, è certamente un fatto importante, concreto e lodevole, ma ha alla base i piedi d'argilla, poiché si ferma a una visione miope rivolta a un solo elemento conservativo "superficiale", in una proiezione futura verrà inesorabilmente fagocitato da un sistema di pensiero fermo alla centralità dell'uomo e sempre allo sfruttamento della natura, in tutti i sensi che questa concezione intende. Infatti, vedere la Wilderness in funzione dell'uomo, anche se in forma prevalentemente spirituale, è anche una vera e propria forma di "uso" utilitaristico della natura. In questo caso è meno grave, poiché si tratta di un utilitarismo volto a esaltare fondamentalmente gli aspetti spirituali che l'uomo assume nel vivere la Wilderness (anche se non mancano quelli materiali), ma ha un "cancro" dentro di sé, poiché Egli pone la questione nel senso di proteggere un territorio per un ulteriore beneficio umano. È vero che la visione classica della natura selvaggia riconosce il valore di un territorio in sé, ma questo si concretizza solo se l'uomo può "trarne beneficio" in qualche modo. Ricordiamo invece il precetto fondamentale che recita: "la natura deve essere salvaguardata per il suo valore in sé e non per i nostri beni materiali, interesse spirituale o etico"; allora, a questo punto e con questa visione, se anche l'uomo troverà un beneficio, è benvenuto, anzi è auspicabile, ma questo deve essere esclusivamente un riflesso, non lo scopo di quel "salvataggio". Bisogna capire che se non si cambia la mentalità utilitaristica, il libero dispiegarsi della natura non troverà mai spazio, perché sarà sempre "frenato" dagli interessi diretti dell'uomo. E senza una visione olistica, ecocentrica e universale, in futuro tutto naufragherà nella distruzione totale della madre terra, poiché essendo stata prima totalmente posseduta dall'uomo, viene di conseguenza distrutta. Nessuno dubita che l'uomo "originario" vedesse nella natura quasi esclusivamente elementi della sua utilità, ma in questo caso si parla di "sopravvivenza" e, come il resto della vita sulla terra, "sfruttava" ciò che trovava disponibile, ma non è mai riuscito a distruggere ciò che era il suo pane. Ma l'uomo di cui stiamo parlando è un uomo che ha sviluppato un modo eccessivo, direi addirittura unico, di sfruttamento/utilizzazione delle risorse naturali che, essendo andato oltre i fini della sussistenza, è arrivato agli interessi "economici" e sta annientando tutto, solo perché ormai vede nella natura un immenso "forziere di banca" a cui "rubare" a più non posso tutto il denaro che vi trova.
"Quando si parla di ecologia e protezione della natura, occuparsi di 'visioni del mondo' sembra più astratto, o meno pratico, che dare consigli sullo smaltimento dei rifiuti o sulla conservazione delle foreste, ma è solo perché parlare di 'visioni del mondo' ha effetti molto più a lungo termine. Si tratta però di aspetti che toccano comportamenti e atteggiamenti molto più profondamente, rispetto ai più immediati consigli pratici della piccola ecologia” (G. Dalla Casa).
È certamente vero che voler cambiare la forma mentis, spostandola dall’attuale visione antropocentrica verso una centrata sulla Terra, non è cosa facile e immediata, ma sviluppare questa visione rinnovata (rinnovata com’era all’origine dei tempi vissuti) è fondamentale perché nel tempo, seppur lungo, se consolidata, arriverà a risultati universali, unici ed essenziali. “L’uomo è un fenomeno filosofico superato. L’universo è troppo vasto perché solo l’uomo possa abitarlo” (HD Thoreau) e, citando J. Muir “La natura ha molti altri scopi, non certo gli interessi degli uomini” oppure “La natura potrebbe aver destinato la terra fertile ad altri scopi che al nutrimento degli esseri umani”.
Dalla Casa, ricordando la figura di Arne Naess, scrive a questo proposito: “In realtà, come filosofia e comportamento fondamentale, l’ecologia profonda era ben nota agli sciamani Hopi o Lakota, ad altre culture native o ad alcune filosofie di origine asiatica, ma Naess fu il primo a definirla in termini scientifico-filosofici occidentali. In quell’articolo divenuto celebre, Naess distingueva tra un’ecologia “superficiale”, che si batte per la conservazione della natura, che tuttavia rimane una risorsa al servizio dell’uomo, e un’ecologia “profonda”, che sostiene il valore intrinseco delle realtà naturali. Se tutto ciò che esiste è interrelato, cioè se “tutto dipende da tutto”, l’essere umano non è più separato dal mondo naturale ma ne è solo una parte, che interagisce con gli altri e verso la quale deve assumere un atteggiamento empatico.
Il grande merito dell’ecologia profonda è quello di spostare la coscienza da centrata sull’uomo a centrata sulla Terra. Naess definì il movimento dell’ecologia superficiale, molto più più diffuso di quello dell'ecologia profonda, come "la battaglia contro l'inquinamento e l'esaurimento delle risorse, che spingerà gli esseri umani a spostarsi verso le cosiddette nazioni sviluppate". L'approccio di superficie dà per scontato l'ottimismo tecnologico, la crescita economica, lo sfruttamento basato sulla scienza e la continuazione delle attuali società industriali. Naess si esprime così: "I sostenitori dell'ecologia di superficie pensano di poter cambiare i rapporti umani con la Natura all'interno della struttura della società odierna".
"La principale forza trainante del movimento dell'Ecologia Profonda - scrive Naess - rispetto al resto del movimento ambientalista, è l'identificazione e la solidarietà con tutta la Vita". Il primato del mondo naturale è considerato "un'intuizione" e non una derivazione filosofica o logica. In linea di principio, ogni essere vivente ha diritto a una vita libera, autonoma e dignitosa. Per Naess, i singoli organismi, gli ecosistemi, le montagne, i fiumi e la Terra stessa devono essere inclusi tra gli esseri senzienti.
Il libro di Rachel Carson "Primavera silenziosa" (1962) lo colpì profondamente. Gli esseri viventi, pensava Arne Naess, hanno un valore in stessi. Come gli uccelli delle campagne americane sempre più silenziose, hanno bisogno di essere protetti dall'invadenza di miliardi di esseri umani. Dobbiamo ricercare una nuova armonia ecologica tra gli esseri viventi che abitano il pianeta Terra. Questo rinnovato equilibrio passa a livello teorico attraverso la rinuncia ad ogni forma di antropocentrismo: il diritto alla vita di ogni essere vivente è assoluto e non dipende dalla maggiore o minore vicinanza alla nostra specie. A livello pratico, il nuovo equilibrio ecologico passa attraverso la riduzione della popolazione umana, l'uso di tecnologie a basso impatto ambientale e la mancanza di interferenza umana in molti ecosistemi...
Infine, il significato dell'opera di Naess era anche quello di presentarci un percorso verso il ritrovamento di un rapporto preindustriale, animistico e spirituale con la Terra, nel rispetto di tutte le specie e non solo di quella umana. Questo è il messaggio di cui il nostro tempo ha bisogno: che la Terra non è solo una "risorsa" per l'umanità, qualcosa che deve essere sfruttata commercialmente. Purtroppo i personaggi più noti del movimento ecologista non hanno mai nominato pubblicamente l'ecologia profonda, né parlato della sua grande importanza: non a caso, dato che i suoi principi comporterebbero cambiamenti considerati troppo drastici per la società e soprattutto per il sistema economico".
"Non si può toccare un fiore senza disturbare una stella" (G. Bateson).
Afferma Hargrove "La bellezza è un carattere intrinseco e oggettivo dell'entità naturale (che quindi è bella per il solo fatto di esistere), pertanto essa è svincolata dalla percezione da parte di un soggetto..." e conclude "...la Wilderness è oggi simbolo universale di un territorio selvaggio non manomesso dalla mano dell'uomo in cui la natura, libera di rappresentarsi, si manifesta in tutto il suo splendore".
DEDICATO....... "A una Wilderness che preserva per sempre gli ultimi territori selvaggi stando esclusivamente dalla parte della natura, grazie alla sua visione olistica, ecocentrica, profonda che riconosce, nel suo massimo significato, il valore in sé dell'insieme natura".
"La civiltà non può ignorare la natura selvaggia, selvaggia e incorrotta! " (John Muir)
***
Ma elaborare il profondo disaccordo tra uomo e natura è un compito tutt'altro che facile, anche se si volesse semplicemente giungere alla pura consapevolezza del fatto. È in parte come voler ricomporre un complicato puzzle composto da tanti elementi disuguali senza avere davanti a sé l'immagine guida. Ciò è dovuto anche al fatto che è necessario sradicare una forma di pensiero che negli ultimi secoli si è progressivamente indirizzata verso una disgiunzione totalizzante dove le monoculture mentali, fondate sul profondo solco del dualismo (uomo da una parte e natura, ben distinta dall'altra), si sono fortemente radicate in una visione unilateralmente rivolta all'unica verità ed esistenza del genere umano. Un pensiero nuovo, libertario e di mentalità aperta, deve quindi affrontare un doppio ostacolo; il primo è sradicare il pensiero globalizzato sul predominio e l'unilateralismo dell'uomo (un pensiero che anche in forma inconscia è ormai insito nelle menti), il secondo sarà quello di spodestare il falso certezze così fortemente radicate da intravedere, seppur in lontananza, una visione olistica dell'insieme. Quanti personaggi autorevoli con il loro parlare e le loro azioni hanno cercato di svolgere questo enorme compito, ma, almeno in prima battuta, si sono visti nella difficoltà di essere metabolizzati da "monocolture mentali" volte all'esatto opposto. Ma forse un giorno ciò che per ora, per certi aspetti, sembra ancora lontano, verrà compreso e praticato in totale consapevolezza e comprensione. All'inizio gli acuti "profeti" (Aldo Leopold, John Muir, H.D. Thoreau, ecc.) di un profondo cambiamento non furono compresi o addirittura del tutto ignorati, ma anche se il tempo è ormai molto limitato, un cauto ottimismo sulla anche parziale inversione di rotta, potrebbe aleggiare nell'aria (?!). Comprensione, comprensione, autoesame sembrano terminologie e concetti difficili da digerire, ma non è da escludere che facciano invece la loro giusta strada per arrivare, alla fine, ad essere acquisiti. La speranza, seppur flebile, è sempre l'ultima a morire. Ma per il momento, finché lo sfruttamento, il saccheggio e la distruzione del pianeta Terra (sotto tutti i fronti) rappresenteranno ancora un enorme vantaggio economico, la strada per procedere verso la giusta gestione e visione delle cose apparirà estremamente ardua. Finora, infatti, l'uomo dalla sua cecità ha iniziato a vedere qualcosa, ma solo il fumo rimane dietro il suo percorso devastante e sarà così saggio e lungimirante da invertire la rotta? I dubbi restano molti e in gran parte irrisolti. Molteplici azioni che ora sembrano positive sono ancora una piccola goccia d'acqua in un grande oceano eccessivamente sporco di "petrolio"!
"La tutela di un territorio naturale può certamente avere molti ruoli, molti obiettivi, ma credo che uno solo debba essere lo scopo per cui dovrebbe essere attuata: preservare il territorio come fine a se stesso. E preservarlo significa, o dovrebbe significare, fare in modo che non venga deliberatamente alterato, significa decidere di sottrarlo alla logica dello sviluppo (che è la logica del profitto) che è puramente umana. Decidere di preservare un luogo è decidere di mantenere un comportamento animale ancestrale per quel luogo, che è la nostra origine, che è l'unico modo in cui possiamo definirci in equilibrio con l'ambiente: nessun cervo, nessun lupo, nessun orso ha mai potuto o preteso di "sviluppare" o "migliorare" o "far produrre" il proprio habitat. Semplicemente per millenni lo usano per ciò che spontaneamente offre loro e lasciandolo inalterato per le altre generazioni. Solo l'uomo è l'unica specie animale ad essere uscita da questo "cerchio della vita" (Franco Zunino).